Let Them All Talk a.k.a. The Fall of 2019, recitano i titoli di testa. Pertanto, il film e l’esperienza sul set/crociera fatta nell’autunno del 2019 sono la stessa cosa? Ci torneremo. Lunghi fotogrammi in nero, per iniziare, con una voice over (riconosciamo l’inconfondibile intonazione di Meryl Streep) che sussurra speranzosa: “Ci deve essere un altro modo di descrivere le cose. Per ordinare le parole in un modo nuovo, usare le parole per portarti in un posto oltre le parole”. Con la solita lucidità Steven Soderbergh ci ha già concesso ogni chiave ermeneutica del suo film (forse del suo cinema) prima ancora che il primissimo piano della protagonista Alice illumini l’inquadratura. E per l’ennesima volta non possiamo che ripetere un concetto: nell’ossessiva sedimentazione di forme e formati nell’epoca dello streaming e delle narrazioni transmediali, Steven Soderbergh – anche produttore, direttore della fotografia e montatore di gran parte dei suoi film – diventa un caso di studio cruciale per ogni discorso sul cinema contemporaneo.
Negli ultimi quindici anni, infatti, il regista di Sesso, bugie e videotape (1989) ha sperimentato ogni nuova frontiera dell’audiovisivo diventando il prototipo dell’autore-videomaker teorizzato proprio in quel lontano film d’esordio. Si va dalla quality tv (le due stagioni di The Knick a partire dal 2014), alla serialità interattiva (Mosaic, 2018); dai film a basso budget girati con gli iPhone (Unsane, 2018), ai film prodotti per le OTT come Netflix (High Flying Bird e Panama Papers, entrambi del 2019) o HBO Max (Lasciali parlare, appunto, in attesa del già annunciato No Sudden Move). Tutti tasselli di uno strutturatissimo mosaico audiovisivo che rivendica un’avanguardista libertà produttiva (concessagli da questi nuovi player proprio per il peso della dalla sua firma autoriale) riuscendo a piegare il medium-cinema in ogni direzione possibile. Lasciali parlare è il primo film girato con la nuova e leggerissima RED Komodo (la digital camera economica del colosso statunitense) limitando al massimo la troupe e sfruttando solo le luci diegetiche della nave Queen Mary 2.
E arriviamo al film-esperienza. La sceneggiatrice Deborah Eisenberg abbozza una struttura narrativa di base e concorda con il regista di lasciare ampie zone di improvvisazione per il collaudato gruppo di attori che condividerà il tempo reale di una crociera. Lo spunto bergmaniano è il seguente: una celebre scrittrice in forte crisi di ispirazione (Alice, interpretata da Meryl Streep) accetta l’offerta di attraversare l’Atlantico per ritirare un prestigioso premio letterario nell’autunno del 2019 (l’ultima stagione pre-Covid). Decide così di condividere il viaggio con due amiche di università che non vede da trent’anni (Roberta e Susan, interpretate da Candice Bergen e Dianne Wiest) e con il suo giovane nipote ed erede spirituale (Tyler, interpretato da Lucas Hedges). Soderbergh letteralmente “lascia parlare” i suoi personaggi/attori nello spazio perimetrato della nave dove fluttuano rapporti umani da ricostruire perché vissuti da siderali distanze fisiche ed emotive.
E nel frattempo il cinema viene testato all’impatto con nuovi ambienti di visione (le piattaforme streaming), nuovi dispositivi di ripresa sempre più piccoli e performanti (gli smartphone o la RED Komodo), negli spazi sempre più confinati e controllati della nostra vita (la proliferazione di schermi in lockdown). Il regista, proprio come la sua protagonista, è alla ricerca di nuovi posti delle fragole che ridiscutano questi limiti autoimposti espandendo i confini del visibile: un discorso estetico neo-rosselliniano che si interroga testardamente su “che cosa è il cinema” in questo mondo e in questo universo postmediale.
Le inquadrature di Lasciali parlare sembrano prodotte da dispositivi di controllo che osservano/spiano i personaggi come cavie, anticipandoli in profondità di campo e da angolazioni sempre impossibili, con una mancanza frustrante di soggettive che mette in scacco il linguaggio classico e raffredda ogni identificazione. Con queste premesse serve un “altro modo”, appunto, per avvicinarsi alle persone azzerando la mediazione di dispositivi tecnici sempre più invisibili. È questa la straordinaria contemporaneità del cinema di Soderbergh (che ci si trovi in un ospedale nel 1900 in The Knick o in una crociera del 2019): la capacità di cogliere e configurare lo spirito del nostro tempo cercando nuovi modi per riestetizzare immagini sempre più aniconiche e prossime allo spettatore/prosumer. Con straordinaria economia del set il montaggio spezza il flusso potenzialmente ininterrotto del circuito chiuso riconcedendo un tempo di lettura cinematografico a quelle immagini e sfidando lo spettatore a desiderare la possibilità di un fuori campo.
Ecco che i romanzi da scrivere di Alice, l’innamoramento silenzioso di Tyler per l’ambiziosa editor Karen, i rancori sopiti e cristallizzati di Roberta o la ricerca di catarsi classica di Susan, sono tutti sentimenti che ritroviamo nel percorso come effetti collaterali di un’immagine che ontologicamente non potrebbe contenerli più. Frammenti di vita, di storie e di inquadrature non suturate che cercano nei nostri occhi un denominatore comune: i personaggi continuano a confessarsi in lunghi monologhi assertivi, ognuno convinto di possedere una verità su sé stessi e sugli altri, mentre il nuovo manoscritto di Alice che non vedrà mai la luce (You Always, You Never) coltiva il dubbio come unica verità possibile. “Sono curioso di come dev’essere stato crescere insieme senza nessuna tecnologia, l’esperienza di condividere veramente i momenti intimi con un’altra persona”, confessa Tyler a Susan. Il sorriso finale del ragazzo, con lo sguardo rivolto verso il fuori campo, sembra aver raggiunto finalmente questa consapevolezza.
Fermiamoci qui. Steven Soderbergh orchestra l’ennesimo magnifico ragionamento sugli echi sopravviventi del cinema classico (il medico silenzioso di Alice, il personaggio che custodisce il segreto narrativo più importante del film, legge costantemente l’Odissea…) e sulle nuove sintassi possibili del cinema moderno (riecheggiano nitidi i fantasmi delle navi cinematografiche di Fellini e De Oliveira), rifunzionalizzando ogni nuovo ambiente mediale del XXI secolo (ordinare le parole in un modo nuovo) per raggiungere originari orizzonti di senso (usare le parole per portarti in un posto oltre le parole). Insomma, Soderbergh ritrova le potenze del cinema pur privandolo di ogni sua caratteristica mediale… cosa c’è di più urgente e contemporaneo?
Lasciali parlare (Let Them All Talk). Regia: Steven Soderbergh; sceneggiatura: Deborah Eisenberg; fotografia: Steven Soderbergh; montaggio: Steven Soderbergh; effetti speciali: Fernando Torres Idrovo; musiche: Thomas Newman; costumi: Ellen Mirojnick; interpreti: Meryl Streep, Candice Bergen, Dianne Wiest, Gemma Chan, Lucas Hedges; produzione: Extension 765, Gregory Jacobs; distribuzione: Warner Bros; origine: Stati Uniti d’America; durata: 113′; anno: 2021.