“Non so se ne ero innamorato. Certamente lo amavo”. Un dubbio dischiude la soglia di un racconto che fa dell’ambiguità, della mistificazione il filtro del suo grande inganno. Un’apparente allocuzione allo spettatore, accompagnata da un primo piano e da uno sguardo in macchina, diventa la cornice di un lungo flashback che permette ad Oliver Quick (Barry Keogan), ormai adulto, di narrare dell’incontro, quando era una matricola di bassa estrazione sociale ad Oxford, con Felix Cotton (Jacob Elordi), il ragazzo più popolare e ricco del college, e di un’estate destinata a cambiare la vita di entrambi. Sin dal suo incipit, Saltburn di Emerald Fennell insinua nello spettatore il sospetto che la satira sempre più sfrenata e grottesca dell’upper class, la cui tematizzazione negli ultimi ha trovato felici esiti tanto al cinema quanto nelle serie –  da Parasite (Bong Joon-ho, 2019) a Triangle of Sadness (Östlund, 2022) fino a The White Lotus (2021 in corso) – costituisca solo l’espediente per una più profonda riflessione sulla condizione spettatoriale

Oliver viene connotato come uno spettatore sin dal primo incontro con Felix. Il nuovo arrivato ad Oxford, dopo aver varcato le soglie del college, è nella sua stanza quando, osservando fuori dalla sua finestra, scorge un gruppo di studenti tra cui spicca un aitante belloccio. Ad Oliver, immobile nel buio della stanza (spesso durante il film il protagonista osserva o emerge dall’oscurità, proprio come fosse uno spettatore in una sala buia), basta uno sguardo, filtrato da uno schermo, per essere catturato dalla luce emanata da Felix. Si innesca così un processo di feticizzazione che ricalca perfettamente l’idolatria della star da parte dei fan, che si condensa visivamente nelle sequenze in cui Ollie ricorda Felix, montaggi di soggettive del primo che si rivelano accorati ritratti del secondo che incorniciano bellezza e erotismo. Non è un caso che l’oggetto del desiderio del protagonista sia interpretato da Jacob Elordi, idolo dei giovanissimi per i suoi ruoli in diverse produzioni dal target adolescenziale. Tipica, d’altro canto, dei teen drama o delle commedie romantiche young adult di fine anni ‘90 e degli inizi del 2000 – il film è ambientato nel 2006 e si nutre dell’estetica e dei riferimenti culturali di quel periodo – è la dinamica per cui in cui il personaggio “sfigato” per una serie di accadimenti riesce a farsi notare dal “divo” della scuola/college – con la grande differenza della declinazione queer di questo topos da parte di Emerald Fennell. 

Se inizialmente le situazioni che portano Oliver ad intessere un legame con Felix appaiono guidate dal caso, il ribaltamento finale, anticipato da una miriade di foreshadowing, rivela come queste siano tasselli del disturbante piano messo in atto dal protagonista per avvicinarsi al suo idolo. Il ragazzo venuto dalla provincia, oggetto di scherno perché non abbastanza abbiente, non è uno spettatore passivo disposto a restare acquattato sulla sua poltroncina, ma agisce attivamente al fine di interagire con il “divo” di cui si è invaghito: non si accontenta di osservare, ma cerca una forma di contatto. Oliver, narratore di questo racconto, regista di questa messinscena (tutto ciò che viene mostrato nel film è mediato dallo sguardo e dai sensi tutti del protagonista), plasma la realtà, intesse la sua tela, inganna Felix e lo spettatore di Saltburn, ed entra infine nel mondo straordinario/finzionale dell’amico/idolo. La finestra, medium di interazione al pari dello schermo, diventa porta che Oliver letteralmente attraversa quando varca il cancello del maestoso castello del nobile e ricchissimo Felix, che lo ha invitato a trascorrere l’estate con la sua famiglia.  

La tenuta di Saltburn, con i suoi ampi corridoi costellati di ritratti di antenati e oggetti appartenuti a re e regine, immersa in magnifici giardini baciati dal sole estivo, abitata da una bizzarra famiglia di eccentrici nobili incapaci di dismettere la maschera da membri dell’upper class divenuta un tutt’uno con la loro identità, risulta il palcoscenico ideale per la messinscena di Oliver. Il cortocircuito tra vari livelli di finzione trova un ideale contraltare nell’esplicito riferimento a Sogno di una notte di mezz’estate e alla metateatralità della commedia, in cui il discorso metacinematografico del film si specchia: i confini tra reale e onirico, casualità e capriccio, adorazione e ossessione si fanno labili. Come Titania così Ollie pare stregato da un filtro d’amore, ma a differenza di questa mantiene una lucidità scellerata che lo condurrà a imbastire efferati omicidi, sullo sfondo di un labirinto (quello della tenuta di Saltburn, proiezione dei corridoi del castello) che tanto ricorda il bosco fatato shakespeariano, regno di desideri ed illusioni.

Con la sua apparente ingenuità e proletaria spontaneità Oliver, che si dice essere in lutto per la morte del padre e incapace di gestire i rapporti con la madre alcolista, riesce a conquistare la fiducia di Felix e di parte dei nobili Cotton, pronti a compatirlo e a fare bugiardamente ammenda per il loro status sociale prendendosi cura dell’ennesimo “povero” che il figlio porta a casa come “giocattolo estivo”. La falena attratta dalla luce (come la sorella di Felix definisce Oliver quando il sogno/inganno sta per infrangersi), però, può solo praticare dei fori nel legno, ma non riesce a penetrare nella stanza illuminata. Oliver (lo spettatore) sarà sempre un oggetto estraneo nello spazio finzionale (narrativo, cinematografico) di Saltburn. Pur avendo varcato la soglia del cancello, è ancora costretto a guardare Felix masturbarsi nella vasca da bagno attraverso una porta semichiusa. Pur tentando di penetrare in quella realtà (attraverso i grotteschi rapporti sessuali con alcuni dei membri della famiglia), uno stato di esistenza in quel mondo gli è precluso. Oliver si vede scisso nello specchio (un altro schermo, con tutte le implicazioni psicanalitiche del caso) che distrugge in uno scatto d’ira: l’inganno si sta infrangendo.

Ad accelerare l’escalation verso il sanguinoso finale è un altro movimento attraverso questo telo osmotico che è lo schermo tematizzato nel film. Come in La rosa purpurea del Cairo (Allen, 1985) Tom, e l’attore che lo interpreta, attraversa lo schermo della sala per interagire con Cecilia, spettatrice del film di cui lui è protagonista, così Felix (il divo) sorprende Oliver (lo spettatore fattosi personaggio assumendo in sé il potere di un regista/sceneggiatore convinto di avere il polso della situazione) e si dirige nella città natale dell’amico dove tutte le sue menzogne vengono a galla. Oliver non può sostenere la frattura del rapporto con l’oggetto del suo desiderio e non può accettare che qualcun altro prenda il suo posto, quindi ordisce l’omicidio di Felix, epitome iperbolica dei comportamenti tossici del fandom nella relazione con i loro idoli/feticci. A questo punto Oliver massacra la famiglia di Felix, eredita – nel presente della cornice iniziale – della tenuta di Saltburn e nell’ultima scena del film danza nudo tra le stanze del castello (si appropria di quello spazio) sulle note di Murder on the Dancefloor.

Il delirio di onnipotenza dello spettatore, che si scopre capace di modificare a proprio piacimento le sorti di un’opera e dei suoi personaggi, può trovare compimento solo attraverso la creazione di un legittimo spazio di esistenza nel mondo altro del film (e del cinema tutto). Nel suo fulminante esordio, Una donna promettente (2020), Emerald Fennell puntava il faro sulle molestie femminili e sul labile limite tra irreprensibilità e mostruosità che alberga in ogni essere umano. In Saltburn, mettendo grottescamente in scena la miseria morale tanto di Oliver quanto dei Cotton, torna a ragionare sulle porosità dei confini, quelli di realtà e finzione, amore e ossessione questa volta, problematizzando le derive dei fenomeni di fandom nel panorama mediale contemporaneo. Allo stesso tempo punta un riflettore su quel cinema (e quella parte di industria) che, rinchiuso nella sua polverosa magione autocelebrativa, incastrato nelle dinamiche della ripetizione passiva, incapace di evolvere e sperimentare, rischia di finire bruciato dal sale del suo stesso autocompiacimento. Senza nessuno schermo, sia esso finestra, porta, cornice, telo o specchio, che possa proteggerlo. 

Riferimenti bibliografici
T. Elsaesser, M. Haganer, Teoria del film. Un’introduzione, Einaudi, Torino 2009.

Saltburn. Regia: Emerald Fennell; sceneggiatura: Emerald Fennell; fotografia: Linus Sandgren; montaggio: Victoria Boydell; interpreti: Barry Keoghan, Jacob Elordi, Rosamund Pike, Carey Mulligan, Archie Madekwe, Richard E. Grant, Reece Shearsmith; produzione: LuckyChap Entertainment, MRC Film; distribuzione: Prime Video; origine: Spagna; durata: 30; anno: 2023.

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