Scritto tra il 2020 e il 2021, tra la prima e la seconda ondata di COVID-19, Nouvelle vague italiana. Il cinema del nuovo millennio di Vito Zagarrio, per forza di cose parte dalla pandemia, che ha condizionato e continua a condizionare fortemente l’industria, dalla chiusura delle sale alle difficoltà dei lavoratori del settore, per poi navigare a ritroso e in avanti, tra autori e trame, tendenze e stili, spostandosi dagli anni di transazione a cavallo dei due secoli fino alla chiusura di questo ventennio. Tra i maggiori conoscitori del cinema italiano, Zagarrio, in questa sua ultima ricerca, oltre a fornire una ricca e dettagliata mappatura del panorama cinematografico nazionale, si pone l’intento di individuare se non una vera e propria nouvelle vague, una “certa nuova tendenza” di quello che l’autore definisce «New-New Italian Cinema, mutuandolo dagli studi sulla Hollywood contemporanea» (Zagarrio 2022, p. 34). Dopo essere stato definito il più brutto del mondo (Bertetto 1982), il cinema italiano a cavallo degli anni 2000 vive un periodo di transizione, come sottolinea in un altro volume lo stesso Vito Zagarrio (2001), concentrando l’attenzione su uno scenario non particolarmente apprezzato dalla critica e non molto studiato in ambito accademico. A cavallo dei due millenni si assiste ad un passaggio di testimone dei grandi autori, così come ad un rinnovamento del modo di produzione nelle sue modalità e mentalità, estetiche e tecniche, «una vasta mutazione genetica» dovuta «all’irruzione del digitale, di internet, della virtualità, […] un’enorme rivoluzione tecnologica in atto, una trasformazione che già vedeva i vari mezzi contaminarsi, convergere e fondersi insieme: pellicola e digitale, film e televisione, cinema ed elettronica, e poi il vasto mare della rete» (Zagarrio 2022, p. 16).
Il 2008 viene visto da Zagarrio come anno terminus a quo in cui si può individuare l’emergere di una nuova tendenza nel cinema italiano. La percezione e il riconoscimento del nostro cinema all’estero cambiano sensibilmente a partire dai premi vinti al Festival di Cannes da Garrone con Gomorra e da Sorrentino con Il divo, passando, successivamente, per l’Orso d’oro ai fratelli Taviani con Cesare deve morire (2012), o a Gianfranco Rosi per Fuocoammare (2016) e il Leone d’oro nel 2013 per Sacro Gra, o ancora, l’oscar al migliore film straniero per La grande bellezza (2013).
Il caso di Rosi è emblematico perché porta ad una legittimazione del cinema documentario, su cui Zagarrio si focalizza ampiamente nel corso del volume. L’autore riprende la definizione di cinema del reale, individuando alcuni snodi per comprendere la sua esponenziale diffusione. La rivoluzione digitale consente, con l’accesso a nuove pratiche di ripresa e di montaggio, «una presa diretta sulla realtà, una registrazione dei fenomeni sociali con una camera stylo in grado di prendere immediati appunti sociali» (ivi, p. 35). Il cinema documentario, di conseguenza, diventa il campo autentico della sperimentazione. Dal programma principale della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro (edizione 2012) dedicato a “Il cinema documentario oggi: l’Italia allo specchio”, ai tanti libri, convegni, iniziative, l’attenzione di critici e studiosi si è focalizzata su una nuova idea documentario, il rapporto con il realismo, l’esigenza del contatto con la realtà, l’ibridazione con la fiction.
Parlando di sperimentazione, un altro dei fenomeni sicuramene più a cuore per l’autore è il cinema cosiddetto “fuori norma”, una serie di autori e opere «fuori dalle regole del mercato, fuori dal mainstream, a volte fuori dalla logica della sala, un universo semi-sommerso di film alternativi o complementari a quelli normali» (Zagarrio 2022, p. 83). Cominciato tutto con un evento speciale curato da Adriano Aprà nel 2013 per la Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, in cui viene gettata luce su una serie di interessanti nuovi filmmaker che non necessariamente avevano raggiunto la riconoscibilità nel panorama ufficiale, per poi proseguire con convegni, rassegne, cataloghi e altre pubblicazioni.
Tuttavia, anche nel cinema mainstream, secondo Zagarrio, possiamo rintracciare degli elementi di novità e interesse, a partire dal macro-genere nazionale della commedia, che richiede una sua ri-legittimazione, nelle sue estremamente variegate prospettive e dinamiche, si veda ad esempio il caso di Perfetti sconosciuti (2016) di Paolo Genovese, campione d’incassi, prodotto esportato nei maggiori mercati internazionali e vincitore del David di Donatello come miglior film. Oppure, il ritorno del cinema di genere che ri-assume un’importanza strategica nel sistema audiovisivo italiano, dopo che il declino delle sale e di un cinema di profondità a metà degli anni settanta ne avevano segnato, di fatto, la fine. Nel 2015, Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti, presentato in anteprima alla Festa del cinema di Roma, incassa complessivamente più di cinque milioni di euro posizionandosi al 31esimo posto della classifica nazionale. Oltre al successo di pubblico, il film ottiene il massimo numero di candidature ai David di Donatello, sedici, aggiudicandosi i premi per il miglior attore e la miglior attrice, sia protagonista che non, così come per il miglior produttore e regista esordiente. Due anni dopo, nel 2018, un altro film di genere ma con una forte impronta autoriale come Ammore e Malavita dei Manetti Bros, vince il David per miglior film, un incrocio tra gangster movie, musical e sceneggiata napoletana, tra humor e azione.
Il noir, o neo-noir, rimane negli ultimissimi anni il genere che più ha contaminato le produzioni nazionali, una rinascita che parte anche dalla letteratura, da Carlo Lucarelli, Giancarlo De Cataldo, Giorgio Faletti, Roberto Saviano fino a Niccolò Ammaniti. I nostri autori di punta hanno dialogato fin da subito con i topoi e i codici del genere, da Sorrentino con Le conseguenze dell’amore (2004) a Garrone, con L’imbalsamatore (2002) o con Dogman (2018), fino ai giovani più quotati come i fratelli d’Innocenzo con La terra dell’abbastanza (2018), Favolacce (2020) e America Latina (2021). Dentro coordinate produttive di low budget, da un movimento indipendente ad una platea mainstream grazie all’apertura verso il mercato globale consentita dalle piattaforme, si sta affermando anche un New Italian Horror. Oltre al ritorno dei vecchi maestri, Dario Argento con Dracula 3D (2012) e Occhiali neri (2022) così come Pupi Avati con Il signor diavolo (2019), il cinema horror italiano è animato da un panorama di giovani autori che guardano al gotico e all’exploitation della tradizione nazionale, contaminato da temi ed estetiche che richiamano il cinema americano contemporaneo. Si pensi ad esempio a Federico Zampaglione Shadow (2009) e Tulpa (2013), Roberto De Feo, The Nest (2019), A Classic Horror Story (2021), Lorenzo Bianchini, Oltre il guado (2013), L’angelo dei muri (2021).
Inoltre, aspetti centrali nel comprendere l’evoluzione del cinema italiano del nuovo millennio sono il cosiddetto Decreto Urbani (Legge 21 maggio 2004, n. 128) e la Legge Franceschini (Legge Cinema, n. 220/2016, entrata in vigore il 1° gennaio 2017), così come la nascita e la spinta propulsiva delle Film Commission, punti su cui l’autore si sofferma in maniera puntale facendo un’analisi approfondita della situazione. Vedendo come il cinema italiano ha saputo, per adesso, affrontare la crisi profonda data dalla pandemia e adattarsi a rinnovate dinamiche in termini di produzione e distribuzione, possiamo ben sperare per il futuro, con l’augurio, condiviso nelle conclusioni dallo stesso Zagarrio, che possa ritornare ad essere uno dei più belli e importanti al mondo.
Riferimenti bibliografici
P. Bertetto, Il più brutto del mondo. Il cinema italiano oggi, Bompiani, Milano 1982.
V. Zagarrio, Cinema italiano anni novanta, Marsilio, Venezia 2001.
V. Zagarrio, Nouvelle vague italiana. Il cinema del nuovo millennio, Marsilio, Venezia 2022.