Con l’ultima stagione di Gomorra – La serie si è chiusa quella che è, senza dubbio, la più importante serie tv italiana. Ciò che fa di Gomorra, al momento, un modello insuperabile è il modo in cui è riuscita a tradurre e ad adattare in uno specifico sistema-serie nazionale un insieme di modelli e principi narrativi, estetici e produttivi; quelle regole, cioè, che hanno portato le serie a diventare il formato più popolare e trasversale nel sempre più globale mercato dell’audiovisivo. Gomorra, in altre parole, è la serie complessa per eccellenza, quella che ha cambiato le forme e i modi della narrazione seriale televisiva nazionale.
Questo valore spartiacque credo lo si possa cogliere bene almeno su due terreni. Il primo è quello degli effetti di Gomorra sulla serialità italiana mainstream. Il successo della serie ha avviato un lento ma deciso processo di trasformazione dell’offerta, penso in particolare alla RAI. Questa trasformazione non riguarda tanto i temi o i generi, ma il modo in cui le storie e i personaggi che le abitano vengono costruiti. Forse il caso più recente ed esemplificativo di questa trasformazione è quello di Non mi lasciare, appena conclusasi su RAI 1, che vede tra i suoi autori proprio Fasoli e Ravagli (insieme a Fachin, Galassi e Matano). Gomorra ci ha fatto vedere che, anche in Italia, un altro modo di raccontare le storie in tv è possibile, un modo meno didascalico e rassicurante, in cui l’immagine, con un suo preciso registro, contribuisce in modo sostanziale alla narrazione, grazie a quella che potremmo definire una matrice che guadagna, episodio dopo episodio, un suo spessore e una sua individualità.
Il secondo terreno su cui si può cogliere il valore spartiacque di Gomorra è quello della transmedialità: Gomorra – La serie (che già, a sua volta, è un adattamento) è riuscita a sviluppare un vero e proprio ecosistema transmediale, imponendosi, prima, nella comunicazione web e nelle forme spontanee di partecipazione online, riportando, poi, gli spettatori in sala con L’Immortale, mantenendo sempre un rapporto stretto con il proprio pubblico, grazie anche a forme partecipative ludiche più o meno esplicitamente orientate dal marketing. Gomorra – La serie ha creato un sistema in cui il mondo eccede la narrazione stessa, un immaginario che ha ormai vita propria e che resiste anche alla fine del racconto.
La trasversalità mediale e la riconoscibilità del mondo della serie, però, ha un prezzo, che forse proprio l’ultima stagione ha dovuto pagare in maniera più esplicita. In un testo sulle tipologie della ripetizione Umberto Eco sosteneva che nella serialità il godimento non deriva dal ritorno dell’identico, quanto dalla «strategia delle variazioni» cioè dal «modo in cui l’identico di base viene lavorato in modo da farlo apparire diverso» (Eco 1984, p. 25). Le serie complesse si basano su questo meccanismo, lavorano sulla matrice tematica e visiva e l’efficacia delle diverse stagioni dipende dalla forza creativa che viene impressa su di essa. Ora, il problema dell’ultima stagione di Gomorra è che questa matrice non ha tenuto più, come se ormai si fosse irrimediabilmente frammentata, sotto il peso delle precedenti variazioni, ma anche delle forme di dislocazione del racconto e di appropriazione da parte dello spettatore.
Questo sgretolamento, per così dire, della matrice della serie, che non permette un’efficace strategia di variazione, si manifesta tanto sul piano narrativo quanto su quello performativo degli attori. Nell’ultima stagione il racconto ritorna, ancora una volta, su quella triangolazione archetipica padre-figlio-fratello su cui si è costruita la saga della famiglia Savastano, a partire dalla prima stagione. Come esplicitato fin dal promo che ha annunciato la nuova stagione, l’ultimo atto è il rinnovato e definitivo scontro tra Ciro e Genny e, ancora una volta, è Ciro, forte anche della digressione cinematografica, a svolgere il ruolo di centro nevralgico, strategico e patetico, degli eventi. Ma se la ricerca del potere sopra ogni cosa è stato il motore dell’azione di questi personaggi, l’unica strada per accedere ad una sorta di individuazione, singola e collettiva, qui lo scontro sembra essere ormai privo proprio di questo desiderio. La vendetta di Genny nei confronti di Ciro per averlo abbandonato, per averlo lasciato solo, tormentato dai sensi di colpa, appare una traccia troppo debole da imprimere rispetto ad una matrice segnata da ben altri traumi ed eventi inemendabili, marcata dal colpo di scena per eccellenza, la sopravvivenza cinematografica dell’Immortale. Insomma, questo ultimo giro di giostra del tragico, appare un pretesto, tutto sommato poco avvincente.
Analogamente, questo medesimo effetto, forse anche più amplificato, lo produce la performance attoriale. Uno dei punti di forza della matrice Gomorra – La serie é la sceneggiatura, in termini di veridicità della lingua, attaccamento al reale e radicamento culturale in senso ampio. Personaggi tridimensionali hanno prestato la voce e il corpo a tutto questo, come se a parlare attraverso di loro fosse una sorta di epica regionale, capace di far riverberare un effetto di realtà su tutta la messa in scena. Ma sappiamo bene che proprio questo incontro tra caratterizzazione dei personaggi e lingua parlata è stato uno degli oggetti su cui maggiormente si è esercitato quel processo di appropriazione da parte dello spettatore. Nell’ultima stagione quasi tutti i personaggi, complici anche delle performance certamente non brillanti, sembrano essere diventati le caricature di sé stessi, ormai rimediati dalla cultura mediale diffusa, svuotati di qualsiasi aura, e quindi incapaci di essere all’altezza di quello stesso immaginario, di quel mondo che hanno contribuito a costruire.
In questa debolezza di soggetto e di scrittura, oltre che di performance, emerge e domina, però, un altro aspetto della matrice, un altro elemento che ritorna dalla prima stagione e che si impone, salvando questo atto finale: l’immagine del paesaggio. Ritroviamo le Vele, luogo simbolo diventato oggetto di moltissimi discorsi pubblici, come quelli politici, che hanno portato alla distruzione di alcuni degli edifici (come premediato in un episodio di The Wire), ma anche quelli interni alla cultura popolare, se pensiamo all’incipit di Ammore e malavita dei Manetti Bros. Sin dalla prima stagione la narrazione si era mossa, sulla spinta di una forza centrifuga, oltre il rione, prima Milano, poi la Bulgaria, poi la città, la Napoli dei quartieri popolari ma urbani, e poi ancora la capitale dove Genny prova ad inventare una nuova versione di sé. Ma nell’ultima stagione le immagini livide di quel luogo dominano nuovamente il racconto, dando vita ad un paesaggio che testimonia non certo una presunta arretratezza meridionale, ma la potenza di una modernità che ha attraversato quel luogo senza concretizzarne la promessa di riscatto. Le Vele sono macerie della modernità, emblema dell’immobilità del futuro che, in fondo, è il vero portato tragico di questa storia.
Così l’ultima scena, che probabilmente vale l’intera stagione, arriva a suggellare questa idea della variazione dell’identico, nella doppia accezione di strategia narrativa tipicamente seriale, ma anche di condizione esistenziale dei personaggi. Di nuovo è un elemento ambientale-paesaggistico a richiamare la matrice. Ci ritroviamo su una spiaggia, che in Gomorra rappresenta il luogo liminare in cui si decide il destino dei personaggi. Nella prima stagione, dopo aver giocato alla roulette russa, Ciro alle prime luci dell’alba correrà in contro alle onde, in un atto liberatorio di affermazione della propria immortalità; nella seconda è sempre su una spiaggia, di notte, che esercita questo desiderato potere di vita e di morte, quando ammazza la moglie. Questa volta, l’eroe mancato di questo racconto sceglie la grazia e lascia Genny e la sua famiglia liberi di scappare. Ma ecco che l’identico incombe. Gomorra – La serie finisce qui, ma la guerra per il potere continua.
Riferimenti bibliografici
F. Cassano, Il pensiero meridiano, Laterza, Roma-Bari 1996.
R. De Gaetano, L’anarchia tragica, in Universo Gomorra. Da libro a film, da film a serie, a cura di. M. Guerra, S. Martin, S. Rimini, Mimesis, Milano-Udine 2018.
U. Eco, Tipologia della ripetizione, in L’immagine al plurale. Serialià e ripetizione nel cinema e nella televisione, a cura di F. Casetti, Marsilio, Venezia 1984.
A. Maiello, Mondi in serie, L’epoca postmediale delle serie tv, Pellegrini, Cosenza 2020.
G. Pescatore, a cura di, Ecosistemi narrativi, Carocci, Roma 2018.
Gomorra – La serie. Regia: Stefano Sollima, Francesca Comencini, Claudio Cupellini, Claudio Giovannesi, Marco D’Amore, Enrico Rosati, Ciro Visco; sceneggiatura: Roberto Saviano, Federica Albano, Luca Carlà, Giovanni Bianconi, Martina Spagnolo, Stefano Bises, Leonardo Fasoli, Ludovica Rampoldi, Maddalena Ravagli, Valerio Cilio, Gianluca Leoncini; fotografia: Arturo Maria Morini, Guido Michelotti, Ferran Paredes Rubio, Paolo Carnera, Ivan Casalgrandi, Michele D’Attanasio; musiche: Mokadelic; interpreti: Marco D’Amore, Salvatore Esposito, Fortunato Cerlino, Maria Pia Calzone, Marco Palvetti, Fabio De Caro, Ivana Lotito, Cristiana Dell’Anna, Cristina Donadio, Gianfranco Gallo, Arturo Muselli, Andrea Di Maria, Carlo Caracciolo, Loris De Luna, Gianni Parisi, Luciano Giugliano, Antonio Gargiulo, Gennaro Apicella, Claudia Tranchese, Mimmo Borrelli, Tania Garribba, Nunzia Schiano, Carmine Paternoster; produzione: Sky, Cattleya, Fandango, Beta Film; origine: Italia; anno: 2014-2021.