Scrive Žižek: «La cosa da accettare, con cui riconciliarci, è che c’è un sostrato di vita, la vita non morta, stupidamente ripetitiva, presessuale dei virus, che da sempre sono qui e che staranno per sempre con noi come un’ombra oscura, insidiando la nostra sopravvivenza» (Žižek 2020).
Ogni virus ha bisogno di un vivente dentro cui ciecamente riprodursi poiché non vive di vita propria e la sua attività ed efficacia sono possibili solo a spese di un’altra vita. Prendiamo il Coronavirus: sembra che i pipistrelli, grandi incriminati, abbiano trovato con esso una possibile coesistenza; in seguito il virus è passato dall’animale all’uomo facendone un mezzo di trasporto, oltre che una abitazione duratura. Guardando la faccenda dalla parte dell’ospite, l’essere umano, scopriamo che attorno a queste unità chimiche non-viventi, chiamate virus, si sviluppa un’attività frenetica che lo immette nella storia umana attraverso un corpo dotato di linguaggio, al di fuori del quale nulla si saprebbe della sua esistenza che pure precede di millenni quella dell’Homo sapiens sul pianeta terra.
Fino a che l’occhio dello scienziato non l’ha visto con l’aiuto del microscopio elettronico e non gli ha assegnato un nome, l’ha cioè distinto da altre entità, non ha potuto essere studiato, combattuto, eventualmente vinto. Il Coronavirus deve dunque una parte della sua forza/virulenza al nome che porta oltre al numero che lo distingue dagli altri virus: COVID-19. Basta il suo nome a gettare il panico tra coloro che prima che fosse “visto e riconosciuto” consideravano che i suoi effetti testimoniassero dell’esistenza di forze destinali o sovra-umane . Con l’attribuirgli un nome lo si è potuto invece concepire come un nemico a cui è possibile dichiarare guerra, come cioè se fosse dotato di una intenzionalità negativa.
Freud per primo comprese che il sintomo somatico isterico possedeva una nascosta intenzionalità comunicativa sia a livello intrapsichico che intersoggettivo; comprese cioè che un quid che sfugge alla coscienza opera all’interno dell’essere umano. Gli effetti del quid, poi chiamato inconscio, sono stati più volte associati ad una specie di virus che mette in scacco il lavoro dell’Io cosciente.
Non si è così lontani dall’affannosa ricerca con cui si cerca il paziente zero, i cui sintomi dovrebbero condurci all’origine della malattia. L’analogia con il funzionamento dell’apparato psichico è inquietante poiché se la psicoanalisi ha compreso come si giunge al sintomo non ha tuttavia potuto stabilire la vera causa delle formazioni sintomatiche. Perché esso è. Non c’è apparato psichico, condizione del suo stesso esistere, che non sia costruito attorno ad un sintomo non solo segno di una patologia bensì anche di una formazione anticorpale sviluppatasi nel tentativo di non soggiacere alla colonizzazione dell’Altro: il sintomo è una forma di testimonianza della battaglia in atto tra l’Io e l’Altro.
Allo stesso modo i sintomi del Coronavirus hanno la funzione di testimoniare della lotta che l’organismo combatte per non soggiacere all’invasione e, al tempo stesso, sono il portale attraverso cui si può tracciare il percorso compito dall’invasore, una via per affrontarlo. Anche l’ipotesi del laboratorio da cui sarebbe sfuggito al controllo dello scienziato può dar conto solo del come il virus coesiste – più o meno pacificamente – con il vivente poiché coesiste da sempre con l’uomo, anzi lo precede di millenni sul pianeta terra, tanto da non sapere cosa sarebbero gli organismi viventi in assenza di virus.
Sugli “asintomatici”, pericolosi perché non comunicanti, su cui si va concentrando l’attenzione, i ricercatori cercano di cogliere il virus mentre utilizza l’ospite come un “non luogo”, una zona di transito. Il virus entra nel corpo vivente al fine di replicarsi, una sorta di gravidanza il cui esito può essere la vita o la morte sia dell’ospite che di se stesso, la sua capacità di modificazione rende la ricerca dei vaccini un’interminabile gara con la velocità di mutazione del virus.
Nel 2010 ho scritto quanto segue, mai immaginando che sarebbe servito oggi per descrivere come si sta attraversando la pandemia:
Va ricordato che il divieto di toccare è legato allo sviluppo del linguaggio, il quale trasforma la concreta esperienza tattile che caratterizza le cure autoconservative della prima infanzia in rappresentazioni psichiche le quali restano per sempre connesse ad un livello figurale (Fraire in Giorcelli 2010).
L’epidemia che attenta alle nostre vite obbliga ad entrare in contatto con il corpo che abitiamo, impedisce di dimenticarlo anche quando è separato dal corpo degli altri, come avviene nelle quarantene. In quanto essere di linguaggio, oltre che entità chimica, la presenza del virus rivela brutalmente il reale del corpo parlante, la sua sfuggevolezza, il suo impredicibile percorso. Scrive Lingiardi: «A volte è più importante sapere quale paziente ha una malattia piuttosto che quale malattia ha un paziente» (Lingiardi 2018, p. 9).
L’abito in quanto risposta di linguaggio alla nudità del corpo è, come afferma Levi-Stauss, la precondizione per entrare in una comunicazione simbolicamente significativa con l’altro: le popolazioni nude – afferma – non si costituiscono in società.
Anche le mascherine, la cui peculiarità peraltro è che perlopiù servono a proteggere l’altro da noi e non il contrario, stanno diventando l’abito che ha la forza di caratterizzare il soggetto della pandemia. Il loro uso collettivo conferma il carattere interumano della pandemia, il bisogno di difendersi dall’altro quanto di essere riconosciuti come simili. Infatti la misura più dura da osservare è l’isolamento, la distanza dall’altro che sempre ci fa da specchio che non va confuso con la “materia morta” di cui parla Rilke nel suo Narciso. L’esperienza di cui si sente crescentemente la mancanza, nell’isolamento, è quella del godimento legato allo spettacolo di due corpi che rivelano il desiderio, e non solo la paura, che li abita.
Nel dipinto di Magritte Les Amants due teste, fasciate ognuna da un drappo bianco che le separa, cedono ad una forza d’attrazione misteriosa che le spinge al contatto. Per apprezzarne il mistero un’immagine non va compresa ma, con naturalezza, osservata.
Riferimenti bibliografici
M. Fraire, Apparire per essere, in Abito e identità, a cura di C. Giorcelli, vol. 10, ILA Palma, Palermo 2010.
V. Lingiardi, Diagnosi e destino, Einaudi, Torino 2018.
S. Žižek, Virus, Ponte alle Grazie, Firenze 2020 (ed. ebook).