Ogni attore, nel girare un film, nel fare cinema, rende fantasma il suo corpo. Lo consegna a qualcuno, al regista, all’autore, che può farne ciò che vuole. Il corpo dell’attore diventa fantasma, e al tempo stesso si piega al sacrificio, fantasma crocifisso. Luogo di scatenamento dell’amore, il set, sotto forma di sadismo, dove le metamorfosi si moltiplicano e le identità si confondono. Helmut Berger, “l’uomo più bello del mondo”, conosce Luchino Visconti a Volterra, dove il regista stava girando Vaghe stelle dell’orsa, tramite Claudia Cardinale. Fu un colpo di fulmine, un amore a prima vista, tra regista e attore, un rapporto che si tentò invano di mantenere segreto, nei primi tempi, e poi divenne di dominio pubblico.
Berger, austriaco di nascita, è morto il 18 maggio scorso a Salisburgo, all’età di quasi 79 anni. È stato considerato e si è egli stesso considerato come “la vedova di Visconti”, fin dalla morte del regista, avvenuta nel 1976. Vedovo a 32 anni, così si definiva. In realtà Berger era bisessuale, e anche lui, come Čajkovskij, ebbe la pessima idea di contrarre un matrimonio eterosessuale, che fu un completo fallimento, tra divorzi e accuse di bigamia. Ingrassato, irriconoscibile, trascinò i suoi ultimi anni tra problemi alcolici, malanni vari e difficoltà economiche. Queste ultime, secondo Berger, erano dovute ai mancati versamenti delle percentuali sugli utili da parte dei produttori italiani. A lui, così, era rimasta solo una modesta pensione.
Con la collaborazione di una giornalista inglese, Holde Heuer, firmò la sua autobiografia, della quale lui stesso non rimase soddisfatto, ritenendo che le vicende narrate fossero in certa misura edulcorate: caso raro di soggetto che pretende si dicano senza infingimenti le verità più scomode.
In La strega bruciata viva, il film si basa soprattutto sulla prestazione di Silvana Mangano, e Berger ricopre un ruolo modesto di maggiordomo, con poche battute da pronunciare. La piena valorizzazione dell’attore avviene invece in La caduta degli dei. Qui Berger si esibisce in un numero straordinario di mimetismo, imitando Marlene Dietrich in L’angelo azzurro di Sternberg con una tale perfezione da stupire perfino l’attrice. Non a caso, fu lei a mandargli un messaggio, nel quale si complimentava e diceva in sostanza: “Sei stato più bravo di me”.
La caduta degli dei fa parte della cosiddetta trilogia tedesca di Visconti. Lo sguardo sulla Germania è impietoso, privo di qualunque concessione allo spettacolo popolare: Berger-Dierich stupra sua madre, violenta una bambina, provocandone il suicidio, svende ai nazisti l’impresa di famiglia, ne conserva la responsabilità solo nominalmente. Le armi pesanti prodotte dal gruppo, che ricorda quello dei Krupp, serviranno a schiacciare ogni eventuale resistenza popolare. Sullo sfondo, la rivalità tra le SS di osservanza hitleriana e le SA, le camicie brune, le cui pratiche omosessuali non sono più tollerabili in clima nazista.
La carriera di Berger sembra segnare una battuta d’arresto con i film successivi, girati con altri registi. La sua prestazione nel Giardino dei Finzi Contini, diretto da Vittorio De Sica, è messa in secondo piano dalle diatribe tra il regista e Giorgio Bassani, autore del romanzo, che all’inizio collaborerà alla sceneggiatura, ma poi ritirerà il suo nome per le divergenze col regista sulla dinamica della narrazione. Ma la consacrazione definitiva di Berger come grande interprete viscontiano avviene nel 1973, con Ludwig, in cui interpreta il ruolo di Ludwig II di Baviera, il re pazzo e omosessuale, innamorato della bellezza, dei bei giovani, dell’architettura e della musica di Wagner.
Berger si trova a lavorare accanto a un cast eccezionale, che comprende Romy Schneider come l’imperatrice Elisabetta d’Austria, Silvana Mangano come Cosima von Blow, Trevor Howard come Wagner, e si può dire che a tutti ruba la scena, a cominciare dall’inizio, quando è in procinto d’essere incoronato re si imbarca in un difficile colloquio con un prete della Corte sull’immortalità dell’anima.
Ludwig non ha nessun interesse per il potere, ne farebbe volentieri a meno. È pronto a spendere soldi che non ha, che deve chiedere in prestito, suscitando il malcontento della Corte, dei ministri e di parte del popolo, per permettere a Richard Wagner di mettere in scena una faraonica edizione del suo “Tristano”. Wagner in parte gli è grato, in parte cerca di profittare della situazione. Vorrebbe che il re finanziasse la costruzione di un teatro di nuova concezione, con orchestra invisibile, golfo mistico e giochi inediti di luce: sarà Bayreuth.
Tra le spese per il nuovo teatro e per la costruzione di castelli arrampicati sulle montagne, tra piogge e tempeste di neve, la situazione diventa insostenibile. Ludwig regala soldi ai servitori di bell’aspetto, annuncia di voler sposare Sofia, sorella dell’Imperatrice, ma poi non ne fa niente. Scoppia la guerra contro la Prussia, Ludwig è contrario, se ne disinteressa. Rifiuta la finta pace offerta da Bismarck. Viene aperta un’inchiesta su di lui, in seguito alla quale è dichiarato pazzo e rinchiuso nell’Istituto psichiatrico del regno. Alla fine, il suicidio. Suicidio per acqua, come sognato.
Ludwig resta, a mio parere, il miglior film di Berger e Visconti, per quanto siano notevoli anche Gruppo di famiglia in un interno, sempre di Visconti, o Una romantica donna inglese di Losey. Il resto è trascurabile, avanzi d’una lunga carriera, protrattasi forse oltre il dovuto.
Helmut Berger, Bad Ischl 1944 – Salisburgo 2023.