C’è un’epidemia seria in corso, giusto. C’è un diritto alla salute, altrettanto giusto, anche se l’interpretazione della salute, individuale e sociale, è molto più complessa di come ci viene restituita ora.

E ci sono a tutto questo le risposte politiche. Cioè i modi in cui chi guida una comunità risponde ad un problema grave. Risposte sbagliate nel merito e nel metodo. Risposte che stanno utilizzando la paura – individuale e sociale – per costruire una nuova ontologia, istituendo una nuova configurazione dello spazio (distanze tra i corpi, limiti alle aggregazioni, mobilità limitata tra regioni), del tempo (la notte colpevole dell’otium va sanzionata e il negotium del giorno va protetto), e la ripresa di pericolose divisioni tra pratiche: ci sono quelle necessarie e quelle effimere (sic!).

E non basta: sono stati immaginati interventi capillari su come ci si deve salutare, su come si deve abitare lo spazio intimo della casa, arrivando perfino a pensare (ma gli “atti mancati” sono quelli che rivelano) di trasformare il vicino, già potenziale nemico perché possibile “portatore sano”, nel delatore, in colui che è giusto faccia la spia sui comportamenti non opportuni di chi gli vive accanto.

Insomma un esercizio sottile, invasivo, che dietro l’apparente flessibilità mostra il suo tratto autoritario, intervenendo fin nell’intimo dell’individuo (non bisogna scomodare Foucault per ritrovare l’origine “confessionale” di tale esercizio di potere).

E il tratto opaco, ambivalente, anche del quadro lessicale, che richiede sempre ulteriori precisazioni, ne è testimonianza (passeggiata o corsa, congiunti o meno): l’ermeneutica incerta dei DPCM ne segna la  loro “fortuna critica”. Non solo, il succedersi regolare di tali Decreti, le presentazioni sistematicamente differite, il susseguirsi di anticipazioni e di voci, creano un terreno incerto ed opaco il cui effetto è solo uno: quello di riversare sul cittadino timore e paura, ed iscrivere un sentimento di potenziale e diffusa colpevolezza in tutto il suo agire.

E se ciò accade è per deviare le responsabilità che sono altre. Ben poco è stato fatto in questi mesi, che si sarebbe potuto fare, per riorganizzare la scuola, il trasporto pubblico, la sanità di base ed ospedaliera. È proprio perché questo non è stato fatto che ora si chiudono cinema e teatri. Si sa benissimo che la presenza regolare degli spettatori nelle sale non è stata fonte di contagi (i dati a livello mondiale lo confermano). E allora perché chiuderli? Se non per trovare nel moltiplicarsi dei capri espiatori (come lo è stato il runner durante il lockdown) la illusoria liberazione ad un problema che invece tornerà più pressante?

Cinema e teatri sono i luoghi dell’effimero o quelli dove una comunità in un momento di difficoltà estrema continua ad interrogarsi sul suo presente e sul suo destino futuro? Domanda retorica per una classe politica la cui decisone ha derubricato cinema e teatro a inutili pratiche.

L’epidemia è una cosa seria e necessita di risposte serie: cioè risposte chiare, che vadano oltre il potere di controllo totalizzante (di fatto fallimentare, come si sta manifestando nell’attuale tracciamento) o quello invasivo di disciplina (al quale non riescono a corrispondere neanche le leadership politiche: vedi l’uso della mascherina di fatto come protesi fissa del volto).

Dare indicazioni chiare e giustificate rispetto al rischio contagio significa individuare perimetri di responsabilità definiti. E una volta dati, fare fronte. E non spostare continuamente la linea del fronte per riversarla nella “coscienza individuale” colpevole, promettendo che se ci si comporta bene avremo i nostri regali di Natale!

Era stato detto: si tratta di convivere con il virus. Buona idea: ma qui si tratta di tutt’altro. Si sta sospendendo la vita, anche nei suoi aspetti e nelle sue pratiche non contagiose e a basso rischio, in attesa che il virus passi (perché l’istanza di controllo a livello globale della diffusione pandemica si sta rivelando di fatto vana).

Proprio perché è necessario convivere con il virus, e proprio perché la nostra vita non è meramente biologica, i cinema e i teatri che sono luoghi sicuri vanno riaperti!

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