Un corpo, due soggetti. Marco e Andrea, gemelli diciassettenni, interpretati dallo stesso attore (Mattia Carrano), si “specchiano” – il primo davanti all’armadietto di uno spogliatoio, nella piscina scolastica; il secondo davanti allo specchio di un camerino – e risignificano il loro corpo (lo stesso corpo). Marco si prepara all’allenamento indossando il suo costume e l’accappatoio; Andrea esprime la propria fluidità di genere vestendo abiti convenzionalmente femminili. Il montaggio alternato di queste due azioni, che confonde le identità dei due protagonisti, apre la seconda stagione di Prisma, serie di Ludovico Bessegato che veste i panni del teen drama solo per riarticolarli in conformazioni inedite, almeno per il panorama italiano.
Bessegato ha già maneggiato i tropi del teen drama con Skam Italia (2018-2024), adattamento di un format originale norvegese, che ha spalancato le porte della serialità italiana ad un racconto dell’adolescenza autentico e disincantato, svecchiandone l’immaginario, come al loro tempo avevano fatto nel panorama anglofono Skins (Elsley, Brittain 2007-2013) prima ed Euphoria (Levinson 2019-) poi. Con Prisma, Bessegato – ideatore con Alice Urciuolo e regista – compie un ulteriore passo in avanti. Non solo sposta l’ambientazione da Roma ad una città di provincia (Latina, con tutte le implicazioni socio-culturali del caso), ma soprattutto, libero dal format Skam, in cui ogni stagione è dedicata ad un singolo personaggio, e quindi narrata da un unico punto di vista, imbastisce un racconto corale che, pur mantenendo centrali le storyline di Andrea e Marco, prende corpo dalla rifrazione prismatica di identità bramose di portare a visibilità la complessità dei loro spettri.
In questo senso, Prisma è una questione di ottica. La serie, infatti, indaga la dialettica di visibile e invisibile, di “mostrabile”, invisibilizzato e sovraesposto, attraverso uno sguardo queer e intersezionale che scardina classificazioni semplicistiche. Come la luce, anche i personaggi di Prisma hanno una natura discontinua: sono insieme onde e corpuscoli, si propagano nel vuoto (delle certezze, dei punti di riferimento) e interagiscono con la materia umana che li circonda, rifiutando di aderire agli archetipi del teen drama. Ragionare di luce implica necessariamente indagare anche le zone d’ombra, così il titolo di ogni episodio della serie è legato ad un colore: l’ultimo episodio della seconda stagione è intitolato Nero, l’assenza di colore. In maniera simile, nella Latina di Bessegato non ci sono eroi e villain: “vittime” e “carnefici” si scambiano continuamente le maschere in un gioco di prospettive che, da un lato, rispecchia i moti cangianti che agitano queste identità in formazione e, dall’altro, invita lo spettatore a sospendere il giudizio affrettato.
In questa seconda stagione Carola, vittima di revenge porn, deve fare i conti con gli sguardi stigmatizzanti conseguenti all’esposizione non consensuale di un immagine di sé, e del suo corpo di ragazza disabile, su cui non ha controllo. Chiamata a riappropriarsi della propria narrazione, attraverso un’intervista che la trasforma in una paladina femminista, è stretta nella morsa di una sindrome dell’impostore che la porterà a mettere in discussione le logiche perverse della fama social e, superate le remore, a denunciare il fratello minore di una sua amica che per primo aveva condiviso il suo video intimo.
Daniele, incastrato nell’immagine del trapper di periferia, bello e dannato, ma soprattutto maschio, che il suo contesto socio-culturale gli ha affibbiato (“frocio” lo etichettano i suoi amici quando si mostra sensibile, scatenando risentimento nella sua mascolinità fragile) e in cui credeva di muoversi comodamente, ritrovatosi da solo, allontanato dal padre e fuggito dalla sua cerchia, è destabilizzato dalla scoperta della propria sessualità. La difficoltà nel guardare negli occhi il sentimento bruciante per Andrea, il ragazzo che per mesi lo aveva contattato sui social “fingendosi” una donna e che finalmente può toccare, inizialmente lo irretisce e lo porta a nascondersi da sguardi indiscreti. Ma quando il fuoco divampa, e Daniele non è più in grado di tenere Andrea Lontano dagli occhi (sulle note di Endrigo): egli vede infine il suo amante e si riconcilia con i suoi fantasmi.
Nina, il faro della ragione, l’amica lucida su cui fare affidamento nei tanti momenti di crisi, vacilla: a destabilizzare la solidità faticosamente conquistata nella relazione con Micol, giunge una ragazzina tredicenne che si invaghisce di lei e la fa interrogare sulla legittimità di un sentimento che inizia ad essere ricambiato. In fondo, la differenza d’età fra le due è di soli tre anni, ma come dice Nina “siamo donne e lesbiche”; in una società patriarcale ed eteronormata tutto ciò che trasgredisce la “norma” è guardato con paura e disappunto.
In questa costellazione – ben più nutrita di quanto fin qui a sommi capi descritto – il prisma attraverso cui si rifrangono gli spettri di questi personaggi resta il corpo affusolato di Mattia Carrano. Un corpo riflettente quando è abitato da Andrea, un significante cangiante che ambisce a brillare di luce propria, medium dell’espressione della fluidità di genere (attraverso la scelta dei vestiti, lo smalto alle unghie, la matita negli occhi, l’acconciatura) di un soggetto che vuole emergere in tutte le sue sfumature. Un corpo nero quando è abitato da Marco, che assorbe la luce emanata dal gemello (e da tutti gli altri soggetti che lo circondano), ma non riesce a rifletterla, immerso nei traumi del bullismo subito e attraversato da un senso di impotenza che esplode in atteggiamenti violenti. Anche Marco, che nel nuoto cerca il trampolino della sua rivalsa, brama una forma di “emersione”. C’è, però, un’interdizione alla catarsi di entrambi questi soggetti: a furia di guardarsi dentro, impegnati a gestire il loro caos, i gemelli si ignorano o non riescono a interagire senza scontrarsi: Andrea e Marco non si vedono. Come le due facce d’una stessa medaglia che, pur condividendo lo stesso “corpo”, guardano in direzioni opposte.
Da questo punto di vista la scelta di far interpretare i due personaggi allo stesso attore complica il discorso sull’ottica portato avanti da Prisma. Quando Marco e Andrea si guardano vedono un altro da sé attraverso cui costruire, per opposizione, un’identità e, al contempo, un immagine simile a quella che vedono in uno specchio, ma in qualche modo trasfigurata: cosa uno stesso significante (il loro corpo) avrebbe potuto significare in un altro contesto, “se le cose fossero andate diversamente”. È questa vertigine che marca il conflitto tra Marco e Andrea in questa seconda stagione. Così la tensione empatica che continua a legare i due soggetti si manifesta “lontano dagli occhi”, si propaga nel vuoto di accorgimenti apparentemente banali (un messaggio di supporto, uno scambio vestiti) che segnano le tappe di un percorso verso il riconoscimento reciproco.
Una maniera di relazionarsi all’altro che, in fin dei conti, accomuna tutti i personaggi della serie. In Prisma infatti il medium dell’empatia e della comprensione reciproca – anche rispetto allo spettatore – non è la parola, che spesso diventa veicolo di fraintendimento. Il fatto che le conversazioni dei personaggi vengano costantemente interrotte (dallo squillo di un cellulare, dall’ingresso in scena di un altro personaggio) è sintomatico di questo. A contare sono le loro azioni e il linguaggio non verbale, quindi, ancora una volta, ciò che si vede. Da qui l’attenzione registica ai vuoti, ai silenzi riempiti dall’emergere delle emozioni di questi adolescenti, al contorcersi dei loro corpi, alla maniera in cui questi corpi occupano uno spazio, nell’inquadratura e nella società. Paradigmatici in questo sono il confronto davanti ad un falò di Andrea e Daniele, cui basta guardarsi per dare concretezza al desiderio reciproco, il coming out di Daniele che per primo esce dalla roulotte (ancora, un’emersione) in cui ha passato la notte con Andrea e si mostra ai suoi amici, il sit-in silenzioso e non violento nel liceo perché il preside introduca la Carriera Alias.
Così Bessegato riesce a mostrare con limpidezza i tumulti dell’adolescenza, senza mai giudicare (come spesso hanno fatto i teen drama) i suoi personaggi anche, e soprattutto, quando sbagliano: li guarda guardarsi. Come si osserva una balena – il correlativo poetico di questa seconda stagione in cui si condensa tutto il senso dell’operazione Prima – nuotare in mare aperto, restando scossi ma inermi qualora il cetaceo, che si immerge negli abissi ma che ha bisogno di emergere per respirare e, quindi, esistere, si arenasse su una spiaggia.
Prisma 2. Ideatori: Alice Urciuolo, Ludovico Bessegato; interpreti: Mattia Carrano, Roberto Di Palma, Lorenzo Zurzolo, Chiara Bordi, Caterina Forza, Elena Falvella Capodaglio, Lxxblood, Matteo Scattaretico, Flavia Del Prete, Asia Patrignani; produzione: Amazon Prime Video; distribuzione: Amazon Prime Video; origine: Italia, anno: 2022 – in produzione.