Nel buio di una stanza illuminata dallo schermo di un portatile, due adolescenti parlano mangiando da ciotole colme di gelato. Sana racconta a Martino la difficoltà di essere una musulmana di seconda generazione, di trovare un equilibrio tra una fede, scelta consapevolmente, e il mondo che la circonda, la scuola, le amicizie, i desideri. Martino, il quale ha da poco dichiarato la sua omosessualità, accoglie il disagio dell’amica, che in parte riconosce come suo, e con parole semplici, ma efficaci, invita Sana a riappropriarsi del suo sentirsi “diversa”: “Se noi vogliamo fargli capire le nostre differenze dobbiamo dare delle risposte intelligenti alle loro domande stupide”. Dobbiamo avere il coraggio, e la pazienza, di raccontare chi siamo.

Lo spettatore, di fronte a questa scena, non può fare altro che spostare di continuo lo sguardo, prima su Sana e poi su Martino, a seconda di chi prende la parola. Si sente lì, con loro, seduto su quel tappeto, parte di quella penombra, e sperimenta una strana intimità con quelle vite uniche e singolari. È questo uno dei punti di forza di Skam-Italia.

Giunta alla sua quarta stagione, per la prima volta fruibile su Netflix, Skam-Italia ha registrato un grande successo, generando un forte interesse non solo tra gli adolescenti, destinatari naturali di questo teen-drama, ma anche tra chi l’adolescenza l’ha lasciata alle spalle da un po’. Perché questo è accaduto? Cosa fa di Skam-Italia un prodotto che merita attenzione?

Skam-Italia racconta la vita di un gruppo di adolescenti che frequenta un liceo romano, segue i suoi protagonisti avvicendarsi tra l’amicizia, l’amore, il futuro. Niente di nuovo per il genere teen. Il mondo seriale, soprattutto americano, si è già misurato con la narrazione di quel periodo così spinoso e intenso che è l’adolescenza: possiamo pensare ai più datati Dawson’s Creek e The O.C. o ai più recenti Skins, 13 Reasons Why, o ancora a Euphoria. Queste serie hanno rappresentato in alcuni casi gli eccessi della giovinezza, in altri ne hanno prodotto un racconto forse troppo artificioso e stereotipato. In Italia si può fare riferimento a Baby, o alla da poco uscita Summertime (una ripresa in chiave estiva e romagnola di Tre metri sopra il cielo). Se vogliamo guardare più lontano, ci si può riferire a prodotti televisivi come I ragazzi della 3C o a Compagni di scuola.

Ma è Skam-Italia a essere capace di restituire, per la prima volta, un’immagine autentica dell’adolescenza, senza ricorrere a caricature, senza voler impartire lezioni moralizzanti. Lo sguardo su questo mondo non è esito della proiezione di un adulto, ma è frutto di un contatto ravvicinato con la realtà, il che regala alla serie un tono quasi documentaristico. Skam nasce originariamente in Norvegia nel 2015 da un’idea della regista e sceneggiatrice Julie Andem, la quale ha deciso di raccontare il mondo dei giovani norvegesi dopo essersi resa conto che non esisteva prodotto in grado di descriverli e di intercettarne l’attenzione. Per poterlo fare ha passato anni a parlare con loro, a registrarne il linguaggio e i pensieri, i gusti, le abitudini e le reali preoccupazioni. Tutto questo lavoro di confronto e di raccolta è confluito nelle quattro stagioni di Skam, che in norvegese significa “vergogna”, stato d’animo bruciante che caratterizza l’adolescenza.

Andem non solo ha compreso che per raccontare efficacemente quella realtà era necessario conoscerla, ma ha capito che anche la modalità di fruizione non poteva ricalcare modelli del passato. Skam è, infatti, un grande esperimento crossmediale. La quotidianità degli adolescenti si sviluppa tanto nel reale, quanto nel virtuale. Per fornire un affresco autentico dei giovani del 2015 è stato necessario tenere conto anche di questo aspetto. La serie nasce, dunque, come web series che viene pubblicata in brevi clip. La narrazione si arricchisce anche degli screenshots delle chat dei protagonisti e delle pagine dei relativi account social, che contano moltissimi followers. Il tutto viene caricato sul sito nel momento esatto in cui si svolge il tempo della narrazione. Solo in un secondo momento l’intero materiale viene assemblato nell’episodio settimanale vero e proprio. Questo modo di costruire lo storytelling ha generato un enorme seguito, soprattutto tra gli adolescenti. Il successo raggiunto ha permesso a questo modello di essere esportato in altri paesi.

In Italia è stato Ludovico Bessegato ad adattare Skam alle ambientazioni nostrane e a reperire materiale attraverso interviste e confronti con i ragazzi. Le prime tre stagioni, distribuite da Tim Vision, ripropongono l’essenza ibrida del format: la molteplice natura mediale, lo sviluppo in “real time” che permette alla storia di annodarsi con la quotidianità degli spettatori. Solo l’ultima stagione è stata rilasciata già montata nelle puntate vere e proprie: sia per allinearsi con le politiche Netflix, sia a causa dell’emergenza sanitaria in atto.

Attraverso la creazione dei vari profili social dei personaggi, la narrazione si arricchisce della prospettiva di ognuno. La centralità del punto di vista emerge anche nella modalità attraverso cui si sviluppa la singola stagione: ognuna è dedicata a un personaggio, sul quale si costruisce la storyline centrale. Accanto a essa, in un grande equilibrio, si espandono trame secondarie. Il tutto produce un grande senso di unità corale (testimoniato anche dall’ultima puntata della quarta stagione dedicata a quei personaggi che nell’arco dell’intera serie non hanno svolto un ruolo principale). Ogni stagione, ogni personaggio, sono occasione per affrontare temi quali la fede, l’orientamento sessuale, il revenge porn, la malattia mentale. Sullo sfondo, con continuità, c’è una Roma in parte insolita; non è quella delle vie note, di Piazza di Spagna o del Colosseo, ma nemmeno quella del disagio periferico. C’è la città percorsa ed effettivamente vissuta dagli adolescenti, la piscina a Ostia dove si trovano per fare skate, il quartiere Ostiense con il suo gazometro, presenza estremamente suggestiva nelle scene di chiusura della quarta stagione.

La camera, spesso a mano, è capace di indugiare su piccoli particolari, lavorando in forte prossimità con il personaggio. Questa forza dei dettagli, che incrementa il verismo della serie, si coniuga con riprese più aperte. Nel corso di quest’ultima stagione sono molto intense le scene girate in alcune pozze naturali di acqua termale, dove Sana e Malik si immergono. Nei fumi sulfurei vediamo una ragazza in burkini e un giovane parlare di spalle, senza guardarsi negli occhi, e in questo insolito corteggiamento emergono un’incredibile intimità e vicinanza.

La quarta stagione, da molti definita la più coraggiosa e matura, permette allo spettatore di confrontarsi con la realtà di una giovane musulmana nel nostro paese. Per fare ciò Bessegato si è affidato all’aiuto della sociologa, attivista e scrittrice Sumaya Abdel Qader. Non solo il regista, ma anche l’attrice che interpreta Sana (Beatrice Bruschi), si sono completamente calati nelle dinamiche culturali e sociali dei musulmani in Italia. Ne viene fuori un ritratto sincero, composto di molteplici gesti, aspetti e momenti del quotidiano. Questo è evidente fin dalle prime scene dell’episodio iniziale: Sana è in macchina, la radio trasmette le parole astiose di un dirigente scolastico che denuncia la crescente presenza di studentesse con l’hijab, il suo sguardo si posa su un gruppo di ragazzi che giocano a basket, ma i suoi pensieri vengono bruscamente interrotti dal cellulare che suona l’adhān, la chiamata alla preghiera. Nel corso della stagione lo spettatore vive con Sana il periodo del Ramadan, fino alla sua conclusione festosa con l’Eid ul-Fitr.

L’hijab, che caratterizza il personaggio di Sana, è mostrato sia come oggetto di discriminazione (per cui la ragazza è vittima di bullismo in rete, dove ricorrono dei meme con l’antipatico nomignolo di OSana Binladen), sia come mezzo di affermazione di sé: Sana rivendica la scelta di utilizzarlo anche in contrasto con il padre che teme possa diventare uno stigma. In questo senso è molto delicata ed efficace la scena in cui, scoperta la presenza di Malik in casa, Sana si affretta a scegliere l’hijab che più si intoni al suo look e con i suoi colori.

Skam-Italia è un’ulteriore conferma che le serie non sono “solo serie”, esse aprono mondi narrativi (Maiello 2020) che lo spettatore percorre e grazie ai quali riconfigura la sua esperienza. La serie vuole raccontare con realismo l’adolescenza e la sua forza sta in questa scelta, la quale si riverbera nella costruzione delle immagini, nella stesura della sceneggiatura e nella scelta puntuale della colonna sonora.

Skam-Italia è una narrazione transmediale che sfrutta le specificità dei media e delle nuove tecnologie per raccontare una generazione costantemente iperconnessa; ma nonostante questo la serie è capace di mostrare “senza filtro” qualcosa che tutti noi abbiamo vissuto. L’adolescenza è un urto violento con le cose, il momento in cui niente è capace di interporsi tra il nostro vissuto, spesso tormentato, e l’asprezza della vita. L’amore, l’amicizia, la fedeltà, la paura, sono tutti valori ed emozioni che vengono sperimentati per la prima volta nella loro cocente integralità, senza nessun “filtro” che possa attutire. Questo impatto svolge un ruolo imprevedibile nella costruzione delle nostre identità, dando loro a volte slancio, a volte un freno. Forse è per questo motivo che Skam riesce a coinvolgere anche un pubblico adulto, il quale assistendo alle scelte, ai dolori, alle gioie scomposte di questo gruppo di adolescenti non fa altro che tornare a quell’urto che ha vissuto e che lo ha reso quello che è. Questo processo di immedesimazione è quasi carnale, si sente nello stomaco. Skam permette di ritornare anche alla nostra di vergogna, alla purezza impura della nostra adolescenza.

Si può forse dire che diventare grandi significhi elaborare questo scontro, imparare a trovare una giusta distanza dalle cose. Lo spettatore adulto di Skam può provare, quindi, anche il piacere di rivivere ciò che ha vissuto sapendo, in qualche modo, di sentirsi al riparo da quello sconvolgimento, di potersi lasciare andare alla nostalgia del ricordo.

Italo Calvino, nel suo Visconte Dimezzato, ha scritto: «Alle volte uno si sente incompleto ed è soltanto giovane». Skam questa incompletezza la mostra senza attenuanti, evidenziando, in più occasioni, come gli altri possano esserne un possibile rimedio. Sono il dialogo, la fiducia, l’incontro a rendere sempre più piccola quella vergogna che può renderci vulnerabili.

Riferimenti bibliografici 
L. Barra, C’era una volta la tv dei ragazzi e forse c’è ancora, in “Il Mulino. Rivista bimestrale di cultura e di politica”, E adesso? L’Italia del post-emergenza, 2/20, il Mulino, Bologna. 
A. Maiello, Mondi in serie. L’epoca postmediale delle serie tv, Pellegini, Cosenza 2020. 

Skam-Italia. Ideatore: Ludovico Bessegato; interpreti: Ludovica Martino, Beatrice Bruschi, Greta Ragusa; produzione: TIMVision, Netflix; origine: Norvegia; anno: 2018-2020.

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