Lacan creazionista. È questa la tesi radicale dello psicoanalista argentino Alfredo Eidelsztein nel volume L’origine del soggetto in psicoanalisi. Del big bang del linguaggio e del discorso (Paginaotto 2020). Ma in che senso Lacan può essere considerato un creazionista? Non in senso religioso, ma nel senso che per lo psicoanalista francese per rispondere alla domanda “come nasce un soggetto?” psicologico non si deve cercare una risposta nell’evoluzione, al contrario, la nascita del soggetto è un evento senza storia, si tratta appunto di una “creazione” dal nulla. Nell’ipotesi evolutiva, che Eidelsztein fa risalire a Freud, all’inizio c’è un corpo animale che progressivamente diventa un “soggetto”. In questa ipotesi in origine c’è appunto la biologia, poi interviene la cultura e il linguaggio, cioè la relazione sociale. La tesi del Lacan letto da Eidelsztein (peraltro una tesi aderente a quella di Lacan), al contrario, è che la nascita del “soggetto” non è preceduta da nulla, come accade appunto all’universo secondo l’ipotesi cosmologica del Big Bang. In effetti si tratta di applicare questa ipotesi al campo psicoanalitico. Più in particolare, il campo del simbolico era già lì nel momento in cui il “soggetto” compare al mondo; infatti «il simbolo fin dall’origine agisce e produce da solo le sue necessità» (Eidelsztein 2020, p. 12).

Per capire che cosa intende Eidelsztein proviamo ad assumere la posizione del “soggetto”. Un piccolo umano viene al mondo, e trova già operativo, del tutto indipendentemente dalla sua volontà, un dispositivo simbolico che lo precede da sempre. Basti pensare al cosiddetto “nome proprio”, che viene assegnato prima della nascita e in modo del tutto arbitrario. In effetti se ci si attiene al punto di vista del singolo il sistema simbolico c’è già, c’è sempre stato. In questo senso si può parlare di Big Bang del linguaggio e del simbolico, in opposizione alla dimensione biologica che arriva comunque dopo:

Ritengo che la logica del tempo e della causa nel modello teorico del Big Bang siano coerenti e affini ai concetti di soggetto e di Altro postulati da Lacan, e con i quali quella pratica psicoanalitica che si dice lacaniana dovrebbe operare. Si tratta quindi di rendere visibile la contraddizione tra l’applicazione del tempo assoluto del nostro senso comune – quello della fisica newtoniana e della logica evoluzionista – rispetto al modo in cui Lacan ha concettualizzato il soggetto (ivi, p. 30).

L’aspetto interessante dell’analogia con il Big Bang è che questo momento iniziale in realtà non smette di iniziare ogni volta che un umano viene esposto al campo del simbolico. In effetti, anche se può sembrare che nell’idea del Big Bang ci sia un unico inizio, è la stessa cosmologia che lo considera un evento sì “originario”, tuttavia diffuso e disperso. Come scrive il fisico Steven Weinberg, se è vero «che in principio ci fu un’esplosione» tuttavia non si trattò di «un’esplosione come quelle con cui abbiamo familiarità sulla terra, ossia un’esplosione che partendo da un centro ben preciso si diffonde fino a inghiottire una parte sempre maggiore dell’aria circostante, bensì un’esplosione che si verificò contemporaneamente ovunque, riempiendo fin dal principio tutto lo spazio» (Weinberg 1977, p. 14). Per essere appena più precisi, lo spazio non è altro che questa esplosione diffusa. E così anche il tempo, che non è altro che l’espandersi della nube esplosiva. Solo in questo modo si può cogliere la radicalità della tesi di Eidelsztein: lo spazio in cui vive il “soggetto”, così come il tempo su cui scorre la sua esistenza sono coestensivi con quello stesso Big Bang.

Nel campo psicoanalitico il Big Bang “comincia” in ogni momento in cui compare un “soggetto”. L’idea di fondo in realtà è semplice: ogni volta che un “soggetto” comincia a ragionare, ad esempio, si trova nella condizione di non poter non pensare che in base ai materiali che trova già disponibili, cioè ai concetti e alle parole che trova nello spazio simbolico in cui si trova – senza averlo scelto – ad operare. «La mia proposta», scrive Eidelsztein, «è di applicare al concetto di soggetto la stessa logica» della cosmologia contemporanea: «L’apparizione del significante, di tutta la batteria significante e dell’Altro, va posta come un Big Bang». Cioè come qualcosa che comincia all’improvviso, senza antecedenti, di botto, appunto. Ora, è abbastanza evidente che la principale conseguenza di questo inizio che come abbiamo visto non inizia nel tempo, al contrario, che fa iniziare lo stesso tempo, lascia da parte il corpo. In effetti il “soggetto” esiste solo nel e per il Big Bang, il corpo non ha alcun ruolo in questo processo. Torniamo al bambino gettato nel campo simbolico. Poniamo che questo bambino abbia un corpo così e così. Ebbene, questa particolare costituzione non cambia nulla nella costruzione del “soggetto” che prenderà possesso di quello stesso corpo. Certo, quel bambino penserà a partire da quel corpo, tuttavia essere un “soggetto” non vuol dire altro che i suoi pensieri non dipendono da quel corpo, perché al contrario sono un effetto del Big Bang simbolico.

Ecco perché Eidelsztein sostiene che «l’implicazione per il soggetto è che il campo biologico animale rimane “dimenticato” – che suggerisco di chiamare mancanza di memoria biologica» (ivi, p. 33). Il modello del Big Bang del simbolico, allora, ci ricorda che la nostra posizione è radicalmente subordinata: non cominciamo nel tempo, piuttosto il tempo comincia con la nostra nascita, tuttavia questo tempo è il tempo del Big Bang simbolico, ossia del primato dell’altro che parla e pensa per noi. Ecco perché il corpo, in questo processo di soggettivazione, non svolge un ruolo determinante: «L’apparizione del linguaggio e dell’Altro comportano una discontinuità assoluta con ciò che “c’era prima”, specialmente in relazione al corpo biologico e animale perduto, dimenticato nella sua condizione naturale» (ibidem).

Ma in che senso il corpo viene dimenticato? Perché quel c’era prima del Big Bang viene completamente riassorbito nel simbolico, e quindi anche il corpo che esisteva prima dell’esplosione del linguaggio diventa un corpo pensato, significato, detto: «A partire dall’esistenza del linguaggio e dell’Altro, il corpo anatomico si converte anch’esso in significante» (ibidem), cioè in un corpo che parla. Ma se parla, è questo il punto, non è più un semplice corpo vivente, è un corpo del linguaggio. Mentre il corpo della vita prima del Big Bang è silenzioso, come un albero o una nuvola: «Una volta prodotta la “grande esplosione” sincronica dell’apparizione di un linguaggio, tutto ciò che c’era stato o era successo prima viene dimenticato» (ibidem).

La conferma di questa tesi la stiamo vivendo in questi mesi (in realtà siamo già al primo anno della nuova era del Covid-19) di pandemia. Pensiamo alla mascherina che ormai copre stabilmente bocca e naso. Che cos’è questa mascherina se non la definitiva dimostrazione della dimenticanza del corpo? In effetti il corpo, lasciato a sé, respira, bacia e inghiotte, cioè semplicemente vive, ossia si infetta per usare la terminologia medica. Ora questa vita, questa semplice vita, non è più possibile, anzi è letteralmente vietata. E che cos’è il divieto se non appunto un’imposizione del linguaggio e dell’Altro sul corpo? Certo, è la scienza che dice che bisogna coprire il corpo, che bisogna proteggerlo. Rimane che il corpo corporeo è stato dimenticato, e probabilmente per sempre. Il “nuovo” corpo sarà un corpo dimenticato, e dimentico di sé. Perché il corpo, lasciato a sé, vive e quindi rischia sempre di morire. Ma se il corpo muore il “soggetto” invece non può morire, perché quest’ultimo, come abbiamo visto, non ha niente a che fare con il corpo, il “soggetto” è una invenzione del linguaggio, non della biologia.

Ecco perché il corpo animale, il corpo semplicemente vivente, deve sottostare al controllo del “soggetto”, il quale non può che pensare con gli strumenti concettuali che ha a disposizione dopo il Big Bang simbolico. E mai come in questi mesi tutto il campo del pensabile e del dicibile non ha pensato e detto che una sola cosa: c’è l’epidemia. Da un anno c’è un solo pensiero che si pensa, che c’è l’epidemia. Non c’è altro da pensare. Pensieri e parole – linguaggio appunto – che non fanno che ripetere che il corpo, lasciato a sé stesso, è pericoloso, il corpo va tenuto a bada, il corpo deve fare solo quello che vuole il “soggetto”, ossia l’Altro. Qui, evidentemente, non ha importanza se da un punto di vista sanitario questo obbligo è giustificato, perché nessuno dubita di questo: rimane che nel mondo del Big Bang del simbolico, ossia nel mondo del “soggetto”, il corpo non è più un corpo, cioè libero e vivente; il corpo è stato appunto dimenticato. In questo senso la mascherina, prima che un dispositivo medico, è un apparato metafisico: più in particolare, è un marchio mnemotecnico che serve a ricordarci che il corpo non c’è più.

Riferimenti bibliografici
S. Weinberg, I primi tre minuti, Mondadori, Milano 1977.

Alfredo Eidelsztein, L’origine del soggetto in psicoanalisi. Del big bang del linguaggio e del discorso, Paginaotto, Trento 2020.

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