«Il desiderio», scrivevano nel 1972 Gilles Deleuze e Félix Guattari nell’AntiEdipo. Capitalismo e schizofrenia, «nella sua essenza è rivoluzionario» (Deleuze, Guattari 1975, p. 129). Il tema del desiderio è all’ordine del giorno oggi quanto e forse più ancora che al tempo in cui Deleuze e Guattari scrivevano questa frase che possiamo prendere come via d’accesso per provare a comprendere il senso e la persistente attualità di questo libro. Partiamo proprio dal desiderio, e dal titolo del libro che forse oggi è meno perspicuo di quanto fosse all’epoca della sua prima uscita, un’epoca in cui la psicoanalisi era molto più presente nel dibattito culturale e filosofico. Secondo la tragedia di Sofocle Edipo re, il sovrano di Tebe uccide a sua insaputa il padre Laio e poi ne sposa la vedova Giocasta, senza sapere che in realtà si tratta di sua madre. Quando, infine, scopre chi è davvero Giocasta, Edipo si acceca disperato (mentre la madre, sconvolta per la scoperta, si uccide; allora come oggigiorno gli uomini in qualche modo sopravvivono sempre, per le donne non c’è scampo).

Il significato psicoanalitico di questa vicenda, per Freud e la psicoanalisi “classica” è l’istituzione di quello che prenderà il nome di complesso di Edipo: il piccolo umano potrà accedere al godimento solo a patto di rinunciare al primo e fondamentale oggetto del desiderio, la madre, in questo caso Giocasta. Secondo la psicoanalisi, allora, l’unico desiderio ammesso è quello, come spiegherà lo stesso Freud in Totem e tabù (1913), “castrato”, nel senso che solo a patto di rinunciare al proprio genuino godimento si potrà avere finalmente accesso all’unico godimento ammesso, quello conforme alle regole sociali. Il principale corollario di questa impostazione è che il desiderio è il risultato di una mancanza originaria, cioè dell’impossibilità di godere del primo e fondamentale oggetto d’amore. All’inizio c’è una mancanza, e il desiderio non ha altra funzione che provare, ma invano, a  “riempire” quella originaria frustrazione libidinale. Il desiderio cerca di colmare, senza mai riuscirci perché per Freud l’umanità dell’animale umano coincide con la castrazione del desiderio, questa mancanza iniziale e costitutiva.

Inteso in questo modo l’Edipo diventa il prototipo di tutte le istituzioni socio-economiche a cui l’essere umano deve sottostare per potere, una volta accettata questa “castrazione” originaria, arrivare ad un godimento socialmente accettabile: «Edipo non è forse un’esigenza o una conseguenza della riproduzione sociale, in quanto essa si propone di addomesticare una materia e una forma genealogiche che le sfuggono da ogni parte?» (ivi, p. 15). E allora prima il dovere, poi, eventualmente, se sei stato bravo e non hai fatto storie, il piacere. Purché, beninteso, sia un piacere moderato, che non turba nessuno, senza eccessi.

La grande scoperta della psicoanalisi è stata quella della produzione desiderante, delle produzioni dell’inconscio. Ma, con Edipo, questa scoperta è stata presto occultata da un nuovo idealismo: all’inconscio come fabbrica si è sostituito un teatro antico; alle unità di produzione dell’inconscio di è sostituita la rappresentazione; all’inconscio produttivo si è sostituito un inconscio che non poteva più che esprimersi (il mito, la tragedia, il sogno) (ivi, p. 26).

Altre istituzioni edipiche sono la famiglia, la scuola, la chiesa, la caserma, la fabbrica, il lavoro salariato, soprattutto la stessa psicoanalisi che ormai sembra avere come principale, se non unica, funzione proprio quella di riportare il desiderio recalcitrante alla castrazione sui binari del desiderio ammesso e modesto. La critica di Deleuze e Guattari si concentra in particolare contro la psicoanalisi perché avrebbe completamente tradito il senso della sua stessa scoperta, facendo dell’inconscio non una forza rivoluzionaria bensì un apparato rappresentativo (il “teatrino dell’Edipo”) la cui decifrazione permetterebbe, infine, la pacificazione del desiderio. Nella psicoanalisi coesistono così tre elementi:

L'elemento esploratore e pionieristico, rivoluzionario, che scopriva la produzione desiderante; l’elemento culturale classico, che ripiega tutto su una scena di rappresentazione teatrale edipica (il ritorno al mito!) e infine il terzo elemento, il più inquietante, una sorta di racket assetato di rispettabilità, che non avrà tregua fino a quando non si farà riconoscere e istituzionalizzare: una straordinaria impresa di assorbimento di plusvalore, con la sua codificazione della cura interminabile, con la sua cinica giustificazione del ruolo del denaro, e tutte le garanzie che essa dà all’ordine stabilito. In Freud c’è un po’ di tutto questo, un fantastico Cristoforo Colombo, un geniale lettore borghese di Goethe, di Shakespeare, di Sofocle, Al Capone mascherato (ivi, p. 131).

L’Anti-Edipo rovescia completamente questa impostazione. Il desiderio non è né il tentativo sempre insoddisfacente di sopperire ad una mancanza né tantomeno un dispositivo teatrale e rappresentativo, al contrario, il desiderio è una macchina che «produce, produce nel reale» (ivi,p. 29). Il desiderio non serve a rimarginare una ferita inguaribile, al contrario, produce nuovi mondi, nuove forme di esistenza, nuove possibilità di vita perché, al fondo, “il desiderio non manca di nulla”. In questo senso l’Anti-Edipo propone una antropologia contraria e opposta a quella psicoanalitica, un’antropologia che invece è perfettamente adattata al modo di produzione capitalistico che infatti si basa sul desiderio come consumo e non come produzione, e che presuppone da un lato un controllo sempre più capillare della vita e dall’altro la mortificazione imposta dal lavoro salariato. A questa visione miserabile dell’esistenza umana occorre contrapporre una visione del desiderio che, è un punto fondamentale da ribadire, «non manca di nulla, non manca del suo oggetto. È piuttosto il soggetto che manca al desiderio, o il desiderio che manca di soggetto fisso: non c’è soggetto fisso che per la repressione». Il desiderio non mette sempre di nuovo in scena la rappresentazione del dramma edipico, in una cattiva ripetizione che non ha altra funzione che impedire a quello stesso desiderio di uscire dall’asfittico quadro familiare; il desiderio, invece, produce il nuovo (quindi non riproduce, per allusioni, il vecchio), infatti “l’essere oggettivo del desiderio è il Reale in sé stesso”.

È questa la posta in gioco dell’Anti-Edipo, il desiderio come potenza ontologica e non psicologica (il desiderio costruisce il mondo, non si limita a sognarlo) da un lato, e come potenza immediatamente politica dall’altro: «Non c’è che desiderio e socialità, e nient’altro» (ivi, p. 32). In effetti il desiderio connette e mette in relazione, e quindi non è mai egoistico e tantomeno asociale: «Fare l’amore non è fare uno, e neppure due, ma centomila. Le macchine desideranti o il sesso non umano» – cioè non edipico e familistico – «sono appunto questo: non uno e neppure due sessi, ma n … sessi» (ivi, p. 336). Il dispositivo psicoanalitico non fa che produrre identità, maschio o femmina, mamma o papà, figlio o figlia e così via individuando e rinchiudendo il corpo dentro le caselle del dispositivo socio-economico (aggiungere altre identità, com’è ora di moda, non cambia nulla, dal momento che è il dispositivo identitario a fare problema, non il numero delle identità). Il desiderio, al contrario, produce legami non identitari, e per questo imprevisti e mostruosi, legami che possono produrre il nuovo proprio perché non riproducono quelli esistenti: «la produzione desiderante è pura molteplicità, cioè affermazione irriducibile all’unità» (ivi, p. 45).

La lotta contro Edipo è quindi la lotta, allo stesso tempo individuale e politica, contro ogni forma di potere che si basi, invece, sul controllo e la paura. In effetti, dopo il grande esperimento del governo medico-scientifico della pandemia, è la paura il pervasivo dispositivo che governa le nostre esistenze. Paura del virus, paura della guerra atomica, paura del cambiamento climatico, paure reali che tuttavia sempre più pretendono di bloccare ogni possibilità diversa, ogni desiderio diverso, ogni reale diverso da quell’unico reale terrorizzante che ci viene riproposto ogni giorno da tutti i media e tutti i discorsi. Per questa ragione l’Anti-Edipo è attuale oggi forse più che nel 1972. Il libro veniva pubblicato, infatti, a ridosso della grande scossa rivoluzionaria del ’68, che – sia pure per un breve quanto lunghissimo momento – era sembrato sul punto di rovesciare le sorti della storia e del capitalismo mondiale, per non parlare del socialismo reale, che con l’invasione sovietica della Cecoslovacchia dichiarò ufficialmente di avere del tutto esaurito la propria spinta propulsiva. Ora, a cinquanta anni di distanza, la critica spietata del dispositivo identitario – esemplificato dall’Edipo e da tutte le sue numerose repliche – è ancora più urgente e necessaria. La posta in gioco, in un tempo segnato da una paura generalizzata del contagio e dell’altro, è proprio il desiderio.

Riferimenti bibliografici
G. Deleuze, F. Guattari, L’Anti-Edipo, Einaudi, Torino 1975.

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