Il torrenziale, flussuale, indiviso e meravigliosamente inattuale romanzo d’esordio di Woody Allen è un’opera che intrattiene senza dubbio una relazione referenziale (ma non ancillare) con la vasta opera cinematografica dell’autore, senza mai porsi come sceneggiatura o film mancato, come struttura che vuol essere altra struttura. Il protagonista Asher Baum è uno scrittore ebreo newyorkese sposato in terze nozze con una signora facoltosa il cui figlio è a sua volta un romanziere; come dice un personaggio in Crimini e misfatti: “Edipo, quella è la struttura del comico”.
Il racconto ruota attorno a un evento che rischia di compromettere la reputazione di Baum, ma ciò non determina una struttura narrativa serrata da legal drama, né l’evento generatore può considerarsi un semplice pretesto per creare situazioni umoristiche. Semplicemente, il fatto increscioso che rischia di mettere a repentaglio la vita e la reputazione dello scrittore si dispone come un cielo plumbeo sopra la testa di Baum, è come una nuvola nera che lo segue, e non un vero e proprio incidente scatenante, perché nel frattempo Baum fa tutt’altro che occuparsi di quel guaio: si abbandona al soliloquio, si invaghisce di una sosia della prima moglie, lavora a un romanzo, fa la spola tra l’amata città e l’odiata campagna.
Che succede a Baum?, pubblicato da Nave di Teseo nell’eccellente traduzione di Alberto Pezzotta, è a tutti gli effetti un romanzo novecentesco con dosi notevoli di discorso indiretto libero e un protagonista che non è, banalmente, l’alter ego della narrativa più o meno velatamente autobiografica, ma l’intercessore dell’autore, vale che il personaggio incarna e intermedia «la visione estetica ed etica del mondo» (De Gaetano 2017) dell’autore stesso. Nel romanzo si ripropone proprio quel personaggio cinematografico che è stato efficacemente descritto da Sanford Pinsker come una combinazione del magnifico perdente (“Io sono un perdente”, da Il dittatore dello stato libero di Bananas) e dell’ipersensibile intellettuale newyorchese.
In altri termini, parliamo dello shlemiel, l’inetto della tradizione umoristica aschenazita; come scrive Giorgio Tinazzi, «Se lo shlemiel ha come caratteristica distintiva, secondo quanto afferma Stora-Sandor, il sentirsi disarmato nell’affrontare situazioni nelle quali non avrebbe voluto trovarsi, allora Allen ne ha praticato quasi tutte le varianti» (1998, p. 689). Questo personaggio universalmente noto porta con sé una Weltanschauung altrettanto nota e analizzata, consistente in una lettura peculiare, iperbolica dell’esistenzialismo: si tratta, citando il romanzo, di «portare il pessimismo a nuove vette», pratica che l’autore rilancia incessantemente, dalla perdita di senso che segue il sollievo per la notizia di non avere un tumore (Hannah e le sue sorelle) fino al titolo del film Irrational Man, che è lo stesso del saggio di William Barrett che nel 1958 introduce la filosofia esistenzialista nel dibattito nordamericano.
Qui il riferimento diretto è al mito di Sisifo, pietra angolare del pensiero di Albert Camus, evocato proprio in merito alla necessità del soliloquio: «A chi altro importa un accidente che io continui a spingere un macigno su per una collina? E se mai dovessi arrivare in cima, cosa diavolo avrei ottenuto?» (Allen 2025, p. 12). L’immagine di Sisifo si ripresenta molte volte, sia alla lettera (ivi, p. 149) sia in variazioni come questa: «Si mise la mano in tasca ed estrasse un voluminoso mazzo di Kleenex. Si infuriò contro un universo che prometteva che, prendendo un Kleenex, ne sarebbe subito spuntato uno nuovo; invece, ogni volta che la scatola era a metà, i Kleenex smettevano di spuntare e doveva estrarli con le dita, e finiva sempre per prenderne un mazzo intero, perché era troppo difficile prenderne solo uno. Questo era un tradimento bello e buono, e si scagliò contro la scatola con la stessa rabbia che riservava al destino dell’umanità» (ivi, p. 125).
Sebbene la dimensione della vita oltre l’azione sia preponderante, e il primo evento dinamico, come abbiamo detto, si riveli in realtà puramente atmosferico, Allen non esita a piazzare un plot twist da cinema classico, a trainare l’ultima quarantina di pagine. Tuttavia, anche un rilancio narrativo marcato come quello appena descritto, capace di volgere il negativo in positivo, la passività dell’incassatore nell’atteggiamento volitivo del riscatto, riannega subito nel contemplativo alleniano, che è attesa dell’inevitabile. Infatti, delle ore trascorse da Baum in compagnia della sosia dell’ex-moglie ci viene detto: «Da tempo Baum non passava momenti così piacevoli, ma ovviamente non ci sarebbe stato alcun lieto fine» (ivi, p. 149).
Allora non resta che un ultimo omaggio alla drammaturgia ottocentesca reso attraverso un “fucile di Cechov” da manuale e poi una dichiarazione illuminante – «La verità è che, nonostante tutte le sue lamentele sulle crudeltà dell’universo e sull’insensatezza dell’esistenza, voleva vivere» (ivi, p. 181) –, che si riannoda alla celebre chiusa di Camus, «Il faut imaginer Sisyphe heureux»: bisogna immaginare Sisifo, Asher Baum, Woody Allen e tutti coloro che spostano insensatamente macigni, bisogna immaginare che questi mortali siano felici.
Riferimenti bibliografici
A. Camus, Il mito di Sisifo, Bompiani, Milano 1947.
R. De Gaetano, Oltre il personaggio-uomo: l’intercessore, “Fata Morgana Web”, 30 aprile 2017.
S. Pinsker, “Woody Allen’s lovable anxious schlemiels”, in Charles L. P. Silet, a cura di, The Films of Woody Allen: Critical Essays, Scarecrow Press, Toronto-Oxford 2006.
G. Tinazzi, Woody Allen, in “Belfagor”, vol. 53, n. 6, 30 novembre 1998.
Woody Allen, Che succede a Baum?, La nave di Teseo, Milano 2025.