Orso d’Oro per il miglior film all’ultima Berlinale, questo Bad Luck Banging or Loony Porn ha un titolo complicato e un inizio in apparenza semplice: sembra che Radu Jude, il regista romeno, ci stia facendo vedere un film porno. Un uomo e una donna stanno facendo l’amore, e fanno in modo, contemporaneamente, che un video li riprenda. Solo che, per una serie di circostanze sfortunate (bad luck) il video finisce su Internet e viene visto da migliaia di persone, compresi gli alunni della scuola in cui la protagonista Emi (Katia Pascariu, molto brava) insegna, e dai loro genitori. Con ragione, Emi teme che scoppi uno scandalo. Ha paura di essere licenziata. Questo lo spunto, desunto da un fatto di cronaca, da cui Radu Jude afferma di essere partito. Il risultato: una commedia anche divertente, ma sostanzialmente amara e provocatoria, che mette il dito sulle piaghe della storia rumena e della Romania odierna. Piaghe multiple, cui si aggiunge la presente pandemia (tutti gli interpreti portano la mascherina e si pratica continuamente il distanziamento sociale).

Il video incriminato è o no un video porno? Dalla risposta a questa domanda dipende la sorte di Emi (sarà licenziata?), ma sorge anche una riflessione sulla natura dell’osceno. Intanto, nella definizione di film porno è implicita la particolare ginnastica che gli attori sono costretti a fare per mostrare alla macchina da presa che i vari tipi di penetrazione stanno accadendo veramente e non sono simulati. Emi e suo marito Eugen non si preoccupano affatto di questo, l’urgenza del loro reciproco desiderio si esprime soprattutto tramite parole. C’è però un particolare atto sessuale che anche nel porno classico è visibile di per sé, non ha bisogno di alcuna acrobazia: è la fellatio, il pompino, il succhiare con la bocca (da parte della donna, ove la coppia sia etero) il membro turgido del partner. È questo l’elemento che scandalizza, e può accomunare il video al porno; ma allora l’interrogativo cambia e diventa: può il porno essere considerato davvero osceno, a fronte per esempio dell’oscenità quotidiana e diffusa di certa pubblicità che invade ogni angolo di strada, tappezza muri e facciate, utilizzando nel modo più sfacciato e turpe le immagini di corpi femminili ridotti a merce?

Il mondo sta affondando nell’oceano del tempo, infestato da mostri chiamati vecchiaia e morte? Nessuno lo sa con certezza, ma è probabile. Emi gira per Bucarest, intenta alle sue faccende. In attesa di affrontare il processo che l’attende quella sera a scuola, cammina a piedi, va al supermercato, compra un giocattolo per la figlia. Alla cassa, una signora cui non bastano i soldi blocca tutta la fila. Tempo perso. Emi chiama Eugen al cellulare, deve addirittura consolarlo, assicurarlo che l’incidente del video non è colpa sua. Le macchine passano rombando accanto a lei, nel più assordante, continuo rumore. Altre ingombrano la strada, parcheggiate sui marciapiedi. Arroganti, i guidatori non rispettano le regole, se ne fregano delle rimostranze di Emi. Volano insulti, in un universo di nervosismo generale, aggravato dall’impaccio delle mascherine. Noi possiamo anche notare, tra l’altro, l’involontaria contraddizione ironica indotta dalla pandemia: in privato (nel video) Emi, per accogliere il pene e succhiarlo, spalanca la bocca; in pubblico, la mascherina occlude quella stessa bocca, le impedisce di parlare liberamente e di gridare il suo sdegno, almeno fino all’urlo furioso e alla metamorfosi finale.

Si annuncia così, col solito color rosa spensierato, la seconda parte del film, cioè il “Dizionario”. Per il momento, Emi è messa da parte e viene evidenziato in ordine alfabetico lo sciocchezzaio corrente della società rumena (purtroppo non solo rumena), tra maschilismo, fascismo, anti-semitismo e altre piacevolezze. Ne diamo qualche esempio: imponenti sfilate militari, mentre manca il pane; un giornale degli anni 30 prepara due testate con titoli diversi (“Lunga vita a Stalin” e “Lunga vita a Hitler”); una bionda nudista sogna d’essere inseguita da un toro, fugge, poi si ferma stremata pensando “Meglio avere un vitello che un infarto”; Ceaușescu col cartello “Torno tra cinque minuti” ecc. L’unica cosa sensata sembra riguardare il cinema, paragonato allo scudo grazie al quale Perseo riuscì a uccidere la Gorgone: non è possibile guardare (direttamente) in faccia certi orrori, null’altro che riflessi attraverso un filtro (il cinema) che in qualche modo ne stemperi l’impatto; ma il cinema può, forse deve (Jude ne è convinto) fare il contrario.

Arriva la parte terza. È sera. Emi si presenta all’assemblea dei genitori, sapendo che sarà messa sotto processo. L’assemblea si svolge nel cortile della scuola, dirige la preside, che si sforza di dimostrarsi imparziale. Si scatena l’ipocrisia dei genitori scandalizzati. Una delle signore esige che tutti vedano il video, registrato su tablet, e la proposta è accolta molto volentieri da tutti gli uomini, il cui voyeurismo salta agli occhi. Un militare, un poliziotto, insultano Emi, la chiamano puttana, contestano anche i suoi metodi d’insegnamento, l’accusano di disprezzare perfino Eminescu, il poeta nazionale romeno. Alcuni invece la difendono, dimostrando il loro progressismo a colpi di citazioni di filosofi e psicologi lette dai cellulari. Il processo scivola progressivamente nel grottesco. Mentre ci si azzuffa e ci si insulta, tra due leoni di pietra e le fiamme di due tripodi, alcuni inservienti, imperterriti, seguitano a lucidare il busto di Eminescu sullo sfondo, perché l’indomani è prevista un’ispezione sanitaria. Del poeta non si può che lucidare il bronzo, mentre Emi tenta di far sapere che anche lui scrisse poesie erotiche. Invita a controllare in biblioteca, ma non le credono. La accusano di fare l’attrice in altri filmini porno nel tempo libero, insinuano che l’uomo del video non sia suo marito. Noi ci rendiamo conto che il vero nome di Emi è Emilia, e che quel diminutivo (Emi) si adatterebbe bene anche a Eminescu.

Si arriva al voto. E qui Radu Jude prospetta tre soluzioni, una più scherzosa dell’altra. Nella prima, prevalgono i voti a favore di Emi, i suoi detrattori non ci stanno, minacciano di ritirare i figli dalla scuola. Nella seconda, vincono i contrari, Emi sarà espulsa. Ricordiamo “Viva Stalin” e “Viva Hitler”. Ma esiste una terza soluzione, del tutto fantastica. Esasperata, Emi si toglie la mascherina, prorompe in un urlo spaventoso, si trasforma in Wonder Woman. Getta una rete sui partecipanti all’assemblea, come fossero pesci boccheggianti appena pescati e infila un bastone nella gola degli uomini. La fellatio si ripete inversamente, non nel segno dell’amore, ma nel segno della violenza fantastica. Emerge tutto il potenziale di verità che il genere commedia di denuncia racchiude in sé e che di solito viene sottaciuto: la commedia come specchio, coscienza stessa della società. Specchio deformante? Certo, ma più deforma, più si avvicina alla verità.

Babardeală cu bucluc sau porno balamuc (Bad Luck Banging Or Loony Porn). Regia: Radu Jude; sceneggiatura: Radu Jude; fotografia: Marius Panduru; montaggio: Catalin Cristutiu; musiche: Jura Ferina, Pavao Miholjevic; interpreti: Katia Pascariu, Claudia Ieremia, Olimpia Malai, Nicodim Ungureanu, Andi Vasluianu, Alexandru Potocean; produzione: microFILM; distribuzione: Lucky Red; origine: Romania, Croazia, Repubblica Ceca, Lussemburgo; anno: 2021; durata: 106′.

Share