Un mellifluo anziano signore forza con fatica la porta di una stanza d’albergo, finché la apre: è vuota, le pareti sono istoriate da sequenze di numeri, gli scaffali pieni di medicine, i pavimenti sporchi e cosparsi di cianfrusaglie, sembra il rifugio di un pazzo (come la cella di In the Mouth of Madness di John Carpenter, 1994, terzo capitolo di una ‘trilogia dell’apocalisse’).

Siamo all’inizio di Un film fatto per Bene, e anche qui (come in Carpenter) l’esordio è la scomparsa misteriosa di qualcuno: il regista di un film, proprio il film che stiamo vedendo. Quel regista è Franco Maresco, il più geniale, eretico, radicale dei cineasti italiani, e non solo, oggi in attività. Su un taxi guidato da un autista di nome Conticello, esilarante figura in preda a ossessione mistica, il cui intercalare continuo è ‘gloria al Signore!”, c’è Umberto Cantone (autore con Maresco, Claudia Uzzo e Francesco Guttuso della sceneggiatura del film), intellettuale palermitano, storico amico di Maresco, cui lo affratella da sempre una cinefilia sfrenata. È lui che si è messo sulle sue tracce, nel tentativo caparbio e disperato di fargli ultimare le riprese del nuovo film, abbandonate bruscamente da Maresco in accesa polemica con la produzione.

Si tratta del progetto di un film su Carmelo Bene, concepito naturalmente ‘alla maniera’ mareschiana come una sorta di viaggio nel ‘Sud del Sud dei Santi’, immaginando l’incontro tra la palermitana Santa Rosalia e un estatico frate pugliese, Giuseppe Desa da Copertino, il secentesco santo che si sollevava da terra e, nell’estasi della levitazione, si librava in volo (e su cui Bene scrisse un film pure mai realizzato A boccaperta). Ma anche rievocando un altro incontro, realmente avvenuto, a Palermo negli anni Sessanta tra Carmelo e un erudito maestro elementare, Gaetano Mascellino, esperto del frate volante, di cui gli aveva parlato a suo tempo l’indimenticata Letizia Battaglia.

Cantone ha scritto con Maresco una sceneggiatura “che filava alla grande”, ma ora tutto sembra naufragato: l’amico regista ha fatto perdere le sue tracce. Già in Belluscone. Una storia siciliana (2014) Tatti Sanguineti era alla ricerca di un Maresco scomparso nel nulla, e su quell’inseguimento si dipanava la drammaturgia di un film sul filo perenne di una indagine spietata e amarissima intorno ai bas fond neomelodici di una Palermo in delirio per il Cavaliere, riflesso deformato e teneramente mostruoso dell’Italia ipermediale di quegli anni.

Qui, paradossalmente, il sottrarsi di Maresco alla vista diventa la sua estrema, anche impietosa, esposizione, il suo unirsi a quei corpi-presenze-assenze che hanno popolato le distese visuali della Palermo postapocalittica di Cinico o gli interni corruschi di quelle stesse rovineCon un coraggio esemplare e una spietata autoironia, Maresco compie un gesto decisivo e definitivo: pone la macchina da presa come uno specchio sul suo corpo, sul suo volto dostoevskijano incorniciato da una barba che lo rende quasi un ‘volto santo’, una icona, come nel momento sublime in cui si allontana solitario sulla strada polverosa, mentre il film va alla deriva, il set va in frantumi e, appoggiandosi sul cofano di un auto, alza gli occhi al cielo, quasi un Cristo in croce. E’ una messa a nudo implacabile delle proprie pulsioni ossessivo-compulsive, ma pure la messa in mostra di un metodo di lavoro che diventa imprescindibile veicolo espressivo, unico mezzo per “dare forma all’orrore e alla rabbia che provo per questo mondo di merda”.

Molti dei film che Maresco realizza dopo la separazione da Ciprì sono in fondo degli autoritratti trasposti, degli obliqui rispecchiamenti nelle figure del più grande clarinettista del jazz (Io sono Tony Scott, 2010), di uno fra i più folgoranti poeti-drammaturghi del Novecento (il Franco Scaldati di Gli uomini di questa città io non li conosco, 2015), di una delle più significative fotografe della contemporaneità (la Letizia Battaglia di La mia Battaglia2016). Non è un caso se, fin dai titoli, questi film (molto più che documentari, vere e proprie partiture dell’anima realizzate per immagini, suoni e parole) dicono ‘io’ e ci parlano di una soggettività irriducibile che si muove per affinità elettive, entro il paesaggio straziante, tragico e lirico di una Palermo risucchiata dal tempo.

Ora lo ‘specchio’ Carmelo Bene (forse per la sua stessa insostenibilità e per un bruciante riconoscimento nel cupio dissolvi del suo ‘sottrarsi’ alla scena) va in frantumi, e su quelle schegge acuminate, in quei lacerti laceranti e lacerati, Maresco decostruisce e ‘depensa’ una autobiografia come fosse tratta dal codice miniato di una ‘vita di Santo’. Appare lampante, e commuove, il fatto che Maresco, nel ripercorrere (anche con il prelievo e la rimediazione delle immagini) una propria storia che ha inciso in modo inconfondibile, e creato un intero cosmo immaginario eppure realissimo fino all’estremo (e ciò dai tempi di Cinico video e Cinico TV) abbia visto il Santo che volava, Giuseppe da Copertino, come una figura destinale, la sola capace di trasfigurare l’intero lavoro di set che viene puntualmente esposto in tutta la sua crudeltà e pietà insieme.

In tal senso si possono leggere i momenti del più sublime grottesco che raggiungono gli apici tragicomici di capolavori di fragranza filmica (“il riso è uno spasimo, i dadi sono gettati” si dice a un certo punto). La centralità della scelta di Bernardo Greco, puro e innocente matto, per dar corpo e anima a Giuseppe da Copertino con il suo asino dal nome Carmelo. Il set della carrucola che solleva nel volo il frate Santo avvolto da una imbracatura che si spezza facendolo precipitare malamente al suolo. I mostri convenuti a cenacolo con un simulacro sproloquiante di un sedicente imitatore Carmelo. La partita a scacchi che la bergmaniana Commare Secca munita di falce (un ghignante Antonio Rezza) ingaggia con Giuseppe da Copertino, che resta impassibile e non fa letteralmente una mossa nel suo sacro ebetismo.

La lunga lettera scritta da Maresco all’amico Cantone in cui non solo spiega le sue ragioni, ma si lancia in una violentissima ‘maledizione’ dai toni sferzanti contro la dittatura tecnologica da far tremare le vene ai polsi, e che si conclude con il racconto del vero e proprio martirio cui vediamo sottoposto Francesco Puma, mitico critico palermitano e aspirante attore. Il ballo intorno a una sterpaglia in fiamme del frate con un pulcinella nano. La gabbietta con Eufrasio, uccellino che parla con sentenze balzane, e gli stessi aforismi che riecheggiano: “Noi vaghiamo nell’universo su un atomo opaco del male”. Ma soprattutto la sequenza del Convento di Romitello dove trova estremo rifugio un Maresco ormai definitivamente fantasmizzato (risponde alle domande con un alfabeto di colpi dati alla porta chiusa della cella conventuale, come fosse lo spettro di una seduta spiritica), quando lo vediamo ginocchioni al confessionale, il volto incorniciato dalla grata, assistere sgomento al prete ‘posseduto’ dallo spettro di Carmelo.

Al pari del set di un ‘incompiuto’ wellesiano (e come in un film di Welles, Maresco ci dice che “it’s all true”, tutto ciò che vediamo è veramente accaduto) il film è un naufragio, un epitaffio, un de profundis, una invettiva, una liturgia ma anche una sorta di disperato assalto al cielo che necessita di una resurrezione. Ed è così che Franco Maresco nel finale di quello che è il suo film più toccante (e che dedica alla memoria di Goffredo Fofi) viene ‘assunto in cielo’ e si trova, pasolinianamente, a vagare tra le nuvole, unito nel volo al Frate Santo levitante. Le voci di Maresco e di Bernardo/Giuseppe da Copertino si rincorrono (“Niente!” …“Zero!…) mentre procede l’ascensione dal fondo delle altezze, e sembrano dire che “Non tutti i bene vengono per nuocere!” così come “Tutto è bene quel che finisce male!”. 

Riferimenti bibliografici
C. Bene, A boccaperta. Una partitura per il cinema, Milano, Edizioni Linea d’Ombra, 1993.

Un film fatto per Bene. Regia: Franco Maresco; sceneggiatura: Franco Maresco, Claudia Uzzo, con Umberto Cantone, Francesco Guttuso; fotografia: Alessandro Abate; montaggio: Paola Freddi, Francesco Guttuso; interpreti: Franco Maresco, Umberto Cantone, Bernardo Greco, Francesco Conticelli, Marco Alessi, Francesco Puma, Antonio Rezza; produzione: Lucky Red, Dugong Films; origine: Italia; durata: 100’; anno: 2025.

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