Tornano i Manetti Bros. e tornano con una commedia dolce, una favola contemporanea, di nuovo ambientata al Sud (dopo Song’e e Napul e e Ammore e malavita). E ancora una volta giocano con i generi e i registri mediali i due fratelli romani – originari però della cittadina di Palmi, diciottomila abitanti in provincia di Reggio Calabria, come si evince dalla dedica di ringraziamento alla madre a fine film, per averli resi “liberi e palmensi”. Questa volta però il détournement cinematografico risulta più difficile, perché senza rete. Dal fumetto (la trilogia di Diabolik) al musical (Ammore e malavita), passando per la Napoli post neomelodici e post Gomorra, i Manetti si sono finora confrontati con generi e immaginari molto forti e codificati, rivisitandoli dall’interno con una buona dose di creatività, nonché di ironia e uno spiccato gusto per lo spettacolo. Nel caso invece di U.S. Palmese, i registi si confrontano da un lato con il calcio, oggetto che di per sé sfugge alla messa in scena cinematografica, e dall’altro con la Calabria, forse la regione italiana che più di ogni altra si sottrae ad un’univoca e felice rappresentazione. Come risolvere l’impasse?

Per affrontare il tema calcistico i Manetti prendono a piene mani da cronaca e gossip legati alla nuova figura del calciatore influencer e trasformano la tipica parabola del successo calcistico in una storia di redenzione al contrario. Etienne Morville è un calciatore francese cresciuto nella banlieue parigina che grazie al suo talento – e alla monetizzazione digitale del suo talento – è diventato un milionario borioso, che fa body shaming in diretta Instagram, ormai disamorato del gioco. Per ripulire la sua immagine viene spedito a Palmi, dove un gruppo di abitanti locali, capeggiati da un tifoso ormai in pensione (Rocco Papaleo), decide di fare una raccolta fondi per comprarlo e rilanciare la squadra. Questa azione folle e proprio per questo di successo non ha l’ambizione di cambiare le sorti di un disastrato paese, dove neanche più l’ospedale funziona, ma semplicemente di far accadere qualcosa di bello, qualcosa che riporti speranza ed energia. Morville all’inizio fatica ad ambientarsi nel nuovo contesto, ma alla fine diventerà l’idolo intorno a cui il paese ricrea un proprio senso di comunità ed egli stesso ritroverà la parte più autentica di sé.

Il calcio inizialmente non è la passione che permette al giovane talento di emergere, ma è uno spettacolo televisivo – come dimostrano gli inserti con i reali commentatori e telecronisti del piccolo schermo – ormai anche consumato da questa ipermediazione multicanale. In questo i Manetti sfoggiano ciò che sanno fare meglio, cioè giocare con uno specifico registro mediale e ibridarlo con altri. Il momento di svolta avviene quando l’azione da Milano si sposta in Calabria: alle strade trafficate della metropoli più veloce d’Italia si contrappongono le lente stradine della campagna calabrese e alle riprese aeree di un grande stadio da Champions League si sostituiscono le immagini di un campetto di paese. Le azioni del gioco vengono restituite tramite digressioni immaginative dei giocatori, inserti animati, mirabili dribbling e assist come in un manga giapponese.

Ma come raccontare una delle regioni più povere d’Italia, spesso sotto i riflettori dei media nei suoi aspetti paradossali, la criminalità organizzata, la mala sanità, da un lato, le sue indiscutibili bellezze paesaggistiche, dall’altro? Qua i Manetti non riescono a trattare con la consueta sfacciataggine l’immaginario stereotipato che in parte connota il racconto mediale della Calabria che, ad esempio, dallo spot di Muccino a quello di Triglia, pur con le dovute differenze, presenta la regione come uno spazio di incontro tra terra e mare, luogo di incontaminata bellezza, preziosi frutti della terra, tradizioni e piccoli grandi piaceri della vita. Fatto salvo per i titoli di coda in cui i Manetti propongono delle vere e proprie cartoline calabresi, con tanto di aperitivo al mare al tramonto – che il finalmente rinsavito Etienne colleziona nel ritorno a Palmi, divenuta ormai casa, dopo aver vinto la Champions League con una squadra parigina – la Calabria viene restituita principalmente attraverso quello che potremmo definire un paesaggio umano. Dal professore che parla in latino, alla poetessa invasata, interpretata da Claudia Gerini, dal criminale tifoso alla ragazza lesbica che incarna una versione meridiana della GenZ, è nel lavoro sulla tipizzazione dei personaggi che emerge il racconto del luogo. E in questo panorama di figure spicca senza dubbio l’allenatore, uno strepitoso Max Mazzotta, che dà corpo e voce, letteralmente, ad una consapevolezza dolce amara, ad una saggezza leggera e profonda allo stesso tempo, ad una specie di rassegnazione vitale, che sarà poi la vera miccia per la trasformazione del protagonista. Più che farci vedere la Calabria, allora, il film racconta una specifica forma di vita, in cui la libertà, il coraggio e le favole sono ancora possibili.

U.S. Palmese. Regia: Marco Manetti, Antonio Manetti; sceneggiatura: Marco Manetti, Antonio Manetti, Luna Gualano, Emiliano Rubbi; fotografia: Angelo Sorrentino; montaggio: Federico Maria Maneschi; interpreti: Rocco Papaleo, Blaise Afonso, Giulia Maenza, Lisa Do Couto Texeira, Max Mazzotta, Claudia Gerini, Gianfelice Imparato, Massimiliano Bruno, Massimo De Lorenzo, Vincenzo Scuruchi, Guglielmo Favilla, Guillaume de Tonquédec, Aurora Calabresi, Giuseppe Futia, Antonio Di Turi, Leo Ferrari, Massimo Galante, Mario Russo; produzione: Momprecem, Rai Cinema, Calabria Film Commission, Ministero della Cultura; distribuzione: 01 Distribution; origine: Italia; durata: 120′; anno: 2024.

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