L’ottavo film di George Clooney da regista, prodotto da Amazon Studios e distribuito in streaming su Prime Video, è l’adattamento del fortunato esordio letterario di J. R. Moehringer, Il bar delle grandi speranze, pubblicato nel 2005. Già vincitore del Pulitzer nel 2000 nella categoria non-fiction, Moehringer si è specializzato nei racconti biografici affiancando il tennista André Agassi nel processo di scrittura di una memoria sportiva tra le più celebrate dalla critica letteraria, Open; attualmente lavora su un caso letterario ampiamente annunciato, l’autobiografia del principe Harry.

Nel libro d’esordio, Moehringer racconta gli anni della sua infanzia e giovinezza in provincia, trascorsi alla ricerca di un’identità e di una vocazione, segnati da due figure maschili antitetiche: un padre che lo abbandona e uno zio che lo sostiene e ne accompagna la crescita. Il progetto di messa in scena di Clooney si fonda strutturalmente su questa opposizione tra presenza e assenza: la prima si colloca spazialmente tra la casa di famiglia e il locale “The Dickens” (di cui lo zio è gestore e bartender, da cui il gioco di parole che dà il titolo originale al romanzo e al film); la seconda è presa in carico dalla voce on the air del padre, uno speaker radiofonico nello stile di Wolfman Jack. Nel limpido schema narrativo del film, il protagonista è impegnato nel proprio viaggio iniziatico dall’infanzia all’età adulta e da una parte ha un Mentore, figura di supporto e immagine possibile di un sé maturo, mentre dall’altra fronteggia un’Ombra che racchiude in sé tutto il negativo; il ragazzo diventa adulto quando la voce dell’Ombra prende corpo e, pur riluttante, concede al giovane eroe di vivere il conflitto risolutivo. Questo schema maschile ha un disegno simmetrico femminile, con la figura materna che occupa la casella della presenza e dell’accoglienza e la ragazza dei sogni a svolgere il ruolo dell’assenza e del rifiuto; a completare il quadro, due aggregazioni corali, quella della grande famiglia allargata in cui tutti trovano riparo e quella del bar “The Dickens”, dove i clienti fissi dispensano saggezza e humour.

La sceneggiatura apollinea di William Monahan, fin dagli esordi attratto dalle geometrie narrative perfette (The Departed), è anche molto attenta a mantenere il focus sulla ricerca identitaria e sul campo di relazioni piuttosto che indugiare sulla vocazione letteraria del protagonista, che nel racconto diventa semplicemente funzionale all’emancipazione. In tal senso lo script si libera di un fardello che ha spesso gravato su storie analoghe, per esempio Wonder Boys, adattamento di un romanzo di Michael Chabon sceneggiato da Steve Kloves e diretto da Curtis Hanson, o anche Scoprendo Forrester scritto da Mike Rich e diretto da Gus Van Sant; in tutti e due i casi, l’architettura portante era costituita da una ridondanza: i protagonisti della storia sono aspiranti scrittori, i mentori sono scrittori affermati; in The Tender Bar il mentore è semplicemente una persona che incoraggia il giovane eroe a intraprendere un cammino.

La rilevanza della sceneggiatura non deve in alcun modo oscurare la qualità della messa in scena. I migliori ingredienti del cinema di Clooney, il realismo behaviorista degli sfondi (Good night, and good luck) e lo statuto anfibologico di alcuni personaggi (Confessioni di una mente pericolosa), entrano in gioco animando gli spazi della socialità (il bar e la casa di famiglia) e contribuendo a costruire adeguatamente il personaggio del padre, la voce alla radio che deve essere demitizzata e demistificata. La direzione d’attori è certamente un altro punto di forza che si traduce nella condivisione di responsabilità e talvolta nel fare spazio a pezzi di bravura che sottolineano la continuità della recitazione hollywoodiana, il testimone che passa di generazione in generazione: la scena della vestizione del nonno Christopher Lloyd che accompagna a scuola il protagonista ha in questo senso un valore molto forte.

La messa in scena si basa dunque sulla capacità di interplay di tutti gli elementi del cast, come si evince da alcune scene esemplari come il lungo camera car in cui il bambino fa una gita con lo zio e gli amici; il perno di tutto il sistema di interazioni non è però il protagonista ma il mentore, un Ben Affleck votato all’empatia e all’understatement ma soprattutto capace di lavorare sui tempi, rallentando sapientemente l’andamento della scena. Clooney concede poi qualcosa allo stile cinematografico dell’epoca di ambientazione (qualche zoom in, qualche controluce) come anche allo stile del design industriale (l’automobile dello zio), ma senza mai davvero mettere in atto gli approcci complementari al cosiddetto “nostalgia film”, ossia l’arcaismo deliberato e il realismo di superficie (categorie introdotte da Marc Le Sueur proprio negli anni in cui si svolgono i fatti narrati in The Tender Bar).

L’obiettivo di Clooney sembra essere quello di lavorare per la sopravvivenza dell’adult drama hollywoodiano, attualmente non al centro delle strategie degli studios ma invece appetibile presso le piattaforme che hanno un pubblico adulto. In una recente intervista concessa a Leah Greenblatt di “Entertainement Weekly”, il regista ha rilasciato dichiarazioni molto interessanti come la seguente: «Trovo che parte del nostro lavoro sia quello di proteggere l’integrità del cinema in sala. Ma onestamente, non è che le sale abbiano fatto follie per prendere molti dei miei film. Dicevano qualcosa del tipo: “Non è più il nostro genere”. Quindi le piattaforme hanno davvero aperto una porta per mantenere vivo questo tipo di storie».

Riferimenti bibliografici
L. Greenblatt, George Clooney on casting Ben Affleck, writing from real life, and what comes next, in “Entertainment Weekly”, 14 gennaio 2022.
M. Le Sueur, Theory Number Five: Anatomy of Nostalgia Films: Heritage and Methods, in “Journal of Popular Film”, vol 6, n. 2, 1977.
C. Vogler, Il viaggio dell’eroe, Dino Audino, Roma 2010.

The Tender Bar. Regia: George Clooney; sceneggiatura: William Monahan; interpreti: Ben Affleck, Lily Rabe, Christopher Lloyd; produzione: Big Indie Pictures, Smokehouse Pictures; distribuzione: Prime Video; origine: Stati Uniti; anno: 2021; durata: 106′.

 

 

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