Vorrei volare, dimenticare, ricominciare in seno al vento
e ritornare per un momento nel più profondo regno animale.
Andrea Laszlo De Simone
La vita non è una linea unidirezionale, un movimento anticipabile nel suo accadere. Piuttosto un emergere costante di complessità e molteplicità che sono la realtà stessa e che non presuppongono alcuna identità o unità, non rinviano a nessun soggetto o oggetto. Il mondo non è di rappresentazione, statico e prevedibile, ma di attualizzazione, un continuo emergere materiale, un continuo divenire del nuovo. Con questo incipit propongo una precisa chiave di lettura del lungometraggio di Thomas Cailley, The Animal Kingdom (2023), provando a ragionare su come il regista abbia messo in scena un’immagine della vita come infinito processo di differenziazione. Le Landes de Gascogne, nel sud-ovest della Francia, distese sterminate di pini che accolgono una notevole biodiversità, sono il luogo perfetto per ambientare un film che ci riconsegna l’idea di una vita brulicante, diversa e diversificante. Cailley, infatti, è ben attento a scegliere un’ambientazione prossima alla storia: quella di François e di suo figlio Émile si innesta (nel senso più “botanico” del termine) sulle lagune, sui laghi e sulla fitta vegetazione del piccolo paese del sud nel quale sono costretti a trasferirsi.
Il primo frame del film, una mano accarezza una superfice bianca e pelosa (Albert, il cane di Émile) e, in sottofondo, un vorace masticare, trasporta lo spettatore in una dimensione plurisensoriale, in cui sia il senso del tatto che del gusto sono fortemente evocati. Ciò che emerge in questa prima sequenza è la stimolazione di un pensiero sensoriale: le urla a squarciagola, il sangue che sgorga dalle ferite, i peli in eccesso e le ossa che strabordano dalla carne generano un’esperienza carnale.
Ibridando l’horror fantascientifico a un racconto di coming of age, The Animal Kingdom racconta di un repentino cambiamento dell’uomo che, mediante un non chiarito meccanismo di contagio, inizia a trasformarsi in un animale non umano. Anche se il film potrebbe ricordare The Lobster (Lanthimos, 2015) – nel quale le persone single, se non abili nel trovare un compagno entro un tempo prefissato, vengono trasformate in un animale a loro scelta – in realtà la trama di The Animal Kingdom non prevede nessun intervento di potere sul corpo: più che sull’obbedienza a un programma distopico indetto dai piani alti, il regista si sofferma sul concetto di metamorfosi, sulla temporalità della mutazione graduale del corpo che, a poco a poco, inizia a perdere i suoi connotati umani. Spuntano artigli al posto delle unghie, canini al posto dei denti, ali al posto degli arti superiori, l’udito si sviluppa percependo frequenze molto più alte di quelle umane e il linguaggio scompare sostituito da un verso.
Il soggetto del film, nonostante tocchi, anche se non esplicitamente, la questione del contagio, è stato scritto precedentemente all’avvento della pandemia e, per questo, più che su una riproposizione distopica di una reale situazione d’emergenza, riflette invece sulla condizione dell’essere umano come entità non totalmente indipendente e perciò non isolata dal resto del mondo vivente. Come afferma Cimatti il contagio, in questa prospettiva, è una condizione assolutamente “normale” della natura, cioè una situazione in cui materiali viventi e non viventi si diffondono tra gli organismi e gli ambienti: «La “creazione” del nuovo è possibile solo laddove nature diverse si incontrano (si infettano), e danno vita a nuove forme di vita. Nel mondo dell’Uno, al contrario, non c’è mai novità» (2021, p. 62).
La moglie e madre dei protagonisti, Lana, contagiata e dunque trasformatasi, spostata in un centro specializzato nel sud-ovest del paese, sarà sottoposta a una “cura” allo scopo di ridivenire umana. Durante il tragitto la donna, in seguito a un incidente stradale, fugge insieme ad altre “creature”, iniziando a vagare nei boschi e a vivere la sua vita animale. La ricerca che François e il figlio sedicenne conducono sulle tracce della madre corrisponde all’investigazione che Émile porta avanti su sé stesso e, in particolare, sul suo divenir-animale che, oltre ad essere il risultato del successivo contagio, è anche l’iniziazione di un percorso di coming of age affrontato dal ragazzo alle prese con il primo amore e i nuovi compagni di classe. Émile, aprendosi a quella che potremmo definire una potenza virale della vita, accetta di buon grado sia la sua metamorfosi adolescenziale che quella “animale”, affermando prepotentemente l’idea per la quale nessuna forma vivente può tirarsi fuori dalla relazione contagiosa e infettiva che è la vita stessa. Seguendo Deleuze e Guattari si può affermare che l’uomo fa rizoma con i suoi virus, «anzi i nostri virus ci fanno fare rizoma con altre bestie» (2017, p. 46).
In The Animal Kingdom la celebrazione di una vita, o meglio dell’inizio di una vita, si identifica col progressivo divenire silenzioso dei personaggi: alle parole e ai discorsi si sostituiscono l’urlo, il ruggito, il sospiro e soprattutto la musica. La colonna sonora composta dal cantautore torinese Andrea Laszlo De Simone (vincitore del Premio César 2024 come miglior musica originale) non funge solo da accompagnamento e supporto all’immagine: De Simone, arrangiando i brani per una piccola orchestra di archi e strumenti a fiato, mescolando elementi acustici a elementi elettronici, narra con le sue note un senso di ancestralità e primordialità che si accorda armoniosamente con le sequenze di Cailley. Le musiche di De Simone fanno parte del ciclo vitale che unisce l’uomo al suo ambiente: non sono un sistema isolato, ma vivono all’interno di un universo complesso, in perenne relazione con le situazioni contingenti. Il polistrumentista, manipolando dei suoni derivati da universi lontani, fluidifica la materia sonora che, non coagulandosi più in strutture o frasi, vibra in un flusso cosmico di intensità, creando stratificazioni “cinematiche” inaudite (Paci Dalo, Quinz 2005, p. 15).
Si pensi al ritornello del brano Devant toi che ascoltiamo subito dopo la didascalia del titolo: un ritornello deterritorializzato dall’operazione attiva della musica, strappato alla sua territorialità e sottoposto al trattamento della diagonale (Deleuze, Guattari 2017, p. 418). L’esempio di una melodia non definita dai punti che la compongono ma che, al contrario, passa tra i punti e cresce solo nel mezzo, come l’erba. Il concatenamento sonoro si fonde con l’immagine, diviene l’immagine, mentre l’immagine diviene musica: come negli ultimi frame del film in cui il divenir erba dell’immagine nella corsa di Émile è il verdeggiare delle ultime note della melodia (Le vol – Part 3).
La vita che Émile sceglie di vivere, supportato dal padre François, è infatti una vita che, secondo una logica di individuazione impersonale, oltrepassa il soggetto: il divenir-animale può avvenire solo se non bloccato dall’io che sente minacciata l’integrità per la quale tanto lotta. Deleuze e Guattari parlano a proposito di ecceità per riferirsi a «individuazioni senza soggetto», «affetti non soggettivati» che costituiscono concatenamenti collettivi (ivi, p. 375). Nel finale del film Émile, abbandonando l’individualità, acquista la capacità di impegnarsi pienamente nella vita, riconoscendosi in un’ecologia molto più ampia: le “creature” nelle loro metamorfosi «finiscono di essere soggetti per divenire eventi, in concatenamenti che non si separano da un’ora, da una stagione, da un’atmosfera, da un’aria, da una vita» (ivi, p. 368). Come afferma François, “La sedentarietà uccide” e per questo Émile, allo spazio sedentario, quello del centro di cura, spazio istituito dallo Stato, chiuso e recintato, preferisce lo spazio nomade delle foreste della Gascogne: uno spazio senza limiti e senza bordi dove è possibile divenire flusso, cambiare natura, sperimentare una nuova forma di vita.
Riferimenti bibliografici
F. Cimatti, Il postanimale. La natura dopo l’Antropocene, Deriveapprodi, Roma 2021.
G. Deleuze, F. Guattari, Mille piani. Capitalismo e schizofrenia, Orthotes, Napoli 2017.
R. Paci Dalò, E. Quinz, Millesuoni. Deleuze, Guattari e la musica elettronica, Cronopio, Napoli 2005.
The Animal Kingdom. Regia: Thomas Cailley; sceneggiatura: Thomas Cailley, Pauline Munier; fotografia: David Cailley; montaggio: Lilian Corbeille; interpreti: Romain Duris, Paul Kircher, Adèle Exarchopoulos, Tom Mercier, Billie Blain; produzione: Nord-Ouest Films, StudioCanal, France 2 Cinéma, Artémis Productions; distribuzione: I Wonder Pictures; origine: Francia, Belgio; durata: 128’; anno: 2023.