Parlare di sperimentazione del linguaggio in ambito mediatico è sempre rischioso, dal momento che si tratta di delineare un argomento – che cos’è sperimentale, che cos’è sperimentare? – che ha una connotazione giocoforza effimera, soggetta com’è tanto ai gusti culturali quanto ai cambiamenti storico-sociali, ma anche a tutte le possibili contingenze esterne a questi campi. Proviamo allora a circoscrivere la nostra breve e imperfetta indagine, a focalizzarci sul primo campo, quello dei gusti culturali, e a limitare lo sguardo a un settore specifico dei media, quello dell’animazione giapponese, prendendo spunto da alcune uscite recenti fra le serie televisive. Ma prima, è essenziale fare una premessa.
È oggi noto come l’ambito giapponese sia un po’ un mondo a parte nel contesto dell’animazione globale, vista la congiuntura storica e culturale che favorisce produzioni su produzioni, inserendole in quel sistema di “media mix” di cui molti studiosi discettano già da tempo. Come infatti scriveva uno studioso come Marc Steinberg nel 2012, in prefazione al suo Anime’s Media Mix, non si può ragionare sull’emergere di produzioni anime televisive senza considerare questi prodotti come parte di un sistema mediatico più ampio e interconnesso, in cui l’uso combinato di diversi mezzi di comunicazione, a fini promozionali/commerciali, veicola la storia e la rappresentazione dei suoi personaggi in altre forme e situazioni.
Come spesso accade, si può quindi avere un manga come punto di partenza di una proliferazione fatta di adattamenti televisivi o cinematografici, con magari degli spin-off, per poi continuare con videogiochi, un bel po’ di merchandising, e – perché no? – dischi, ma poi chissà che altro. I punti di partenza e le combinazioni possono variare, suggerendoci come una serie o un film anime siano virtualmente sempre pensabili come “sistemi”. Questa multipolarità però, a prescindere da analisi specifiche, può anche portarci in senso lato a considerare qualcos’altro. E cioè che la proliferazione della stessa storia e di determinati suoi personaggi in più media ne facilita l’assimilazione da parte del loro pubblico di riferimento, e può quindi potenzialmente spingere una singola produzione a mettere tra parentesi una fedeltà smodata al testo originale.
Ora, quando questo accade, si possono avere esiti diversi: operazioni fallimentari, ma anche esperimenti creativi sorprendenti, momenti di puro stupore, come si può riscontrare in alcune serie anime recenti. In merito, visti i limiti di spazio, consideriamo solo due esempi, nell’ordine cronologico delle loro uscite.
Frieren è una serie fantasy di cui si è parlato molto, vista la sua lunga messa in onda televisiva della sua prima stagione – 28 episodi, dai noi disponibile su Crunchyroll, tra settembre 2023 e marzo 2024 – e la notorietà del manga su cui si basa. Si tratta di un adattamento che, a grandi linee, è fedele alla narrazione originale, di cui sostanzialmente non vediamo animate solo le storie di taglio più episodico. Fra gli archi narrativi più d’impatto in quest’anime un posto d’onore spetta, senza alcun dubbio, a quello dell’esame per diventare maghi di prima classe, un arco che copre la parte finale dell’emissione, diciamo dall’episodio 18 fino alla fine. Per il nostro discorso, vale la pena soffermarsi sull’episodio 26, dal titolo “L’apice della magia” (Mahō no takami) e di cui è da segnalare la presenza di Vercreek al lavoro come key animator, animatore chiave (si tratta di un nome fra i più stimati fra gli artisti delle nuove generazioni che lavorano in ambito anime).
Siamo al secondo dei tre test per diventare maghi di prima classe. Seguiamo due protagoniste della serie – l’elfa Frieren e la sua apprendista Fern – che, insieme ai candidati che hanno superato il primo esame, si devono ora cimentare nell’attraversamento di un dungeon. Come si può immaginare, si tratta di uno spazio che proverà a opporsi a questa avanzata collettiva: nello specifico, lo farà leggendo le memorie degli stessi maghi e maghe, e poi riproducendone le fattezze in copie che combatteranno contro i loro originali. Fra queste copie l’ultima – quella con l’aura più minacciosa – è quella di Frieren, che verrà sfidata proprio dall’elfa stessa insieme a Fern.
Nel manga il combattimento di Frieren e Fern contro la copia di Frieren si trova in due capitoli, il 53 e il 55. Tuttavia, non è in risalto come lo è nell’anime, in cui ritroviamo sì alcune vignette come momenti iconici sparsi qua e là, ma dentro una ben diversa “atmosfera”. Al riguardo, possiamo anche dire che arriviamo già in parte preparati, perché è nell’episodio 25 che comincia lo scontro in questione, uno scontro dove emergono finezze visive, tra giochi di simmetria, fluidità di movimento, e inquadrature cinematografiche.
Ma all’inizio e alla fine dell’episodio 26, cioè nelle parti dedicate al combattimento di Frieren e Fern con la copia di Frieren, le finezze precedenti sfociano in un virtuosismo figurativo sopraffino, assente nel manga e capace di far emergere un gusto estetico di alto livello per la composizione dei piani e per il montaggio delle azioni, in cui spiccano tocchi di una visionarietà, per così dire, “scientifica”. Fra questi, non si può non segnalarne uno, l’evocazione di un buco nero che la copia di Frieren fa all’inizio dell’episodio, generandolo direttamente dalla sua mano. È una pura invenzione di cui non c’è traccia nel manga, e con cui, per un momento, quello che vediamo sullo schermo – giustamente – si distorce, conferendo alle impressioni che permangono l’aura di una bellezza sorprendente e folgorante.
Un secondo esempio di serie anime recente che presenta aperture “sperimentali” è, senza dubbio, Monogatari Series: Off & Monster Season, ultimo adattamento in ordine di tempo della serie di light novel Monogatari, opera fluviale – e tutt’ora in corso – di Nisio Isin, scrittore e sceneggiatore di fumetti fra i più prolifici e ingegnosi del panorama contemporaneo pop giapponese. Mongatari è qualcosa di difficile da raccontare con brevità, vista l’ampiezza narrativa, la molteplicità dei personaggi, l’intrico di riferimenti culturali giapponesi (pseudo-tradizionali e pop) e il linguaggio spiazzante. Nel bene e nel male va vista. Dovendo però fornire una descrizione che funzioni a grandi linee, potremmo dire che si tratta di una serie che mescola generi diversi – emergono soprattutto harem, commedia, mistero, soprannaturale – e che vede un protagonista maschile, lo studente liceale e poi universitario Araragi, alle prese con diverse presenze femminili nella sua vita, considerate di caso in caso come aberrazioni e deità.
Andata in onda da noi su Crunchyroll dal 6 luglio al 19 ottobre 2024, Off & Monster Season si presenta leggibile come un “a parte” rispetto al resto, dal momento che la centralità di Araragi viene meno per far emergere le storie di alcuni personaggi femminili. Fra questi, gran risalto viene dato alla vampira-ombra dello stesso Araragi, cioè Shinobu, di cui la serie ci mostra le origini.
Al riguardo, val la pena concentrarsi sul primo episodio di questo spaccato narrativo, il 6.5, sia per la durata – metà rispetto a quella media di un’emissione – ma sia soprattutto per come è stato concepito esteticamente. Perché questo? Perché Shaft, lo studio dietro alla realizzazione della serie così come di tutta Monogatari, sceglie di cominciare l’arco narrativo di Shinobu “col botto”, affidandosi a una visualizzazione tutta resa attraverso la tecnica delle silhouette, a corredo della narrazione della voce fuori campo.
Non c’è quindi alcuna traccia di character design, cioè di un elemento chiave nella produzione animata giapponese, soprattutto nei suoi legami con il mondo dei manga. E il risultato di questa scelta è stupefacente, dal momento che ci offre un film alla Lotte Reiniger e che, come si direbbe in botanica, “innestandosi” in un discorso preesistente e con altre caratteristiche, contribuisce a far emergere qualcosa di nuovo e di più pregiato.