Il terzo episodio della prima stagione di The Last of Us, intitolato Molto, molto tempo, fa immediatamente “eccezione” alla serie, e in questo modo ribadisce lo statuto ontologico dell’episodio, che continua ad essere un elemento strutturale e definitorio anche della serialità serializzata, complessa e cinematic, che alcuni commentatori ritenevano destinato a sciogliersi nella durata estesa del cosiddetto «megamovie» (Canby 1999). In più, The Last of Us si collega alle serie complesse che fanno uso dell’episodio standalone già a partire dalla prima stagione, prima fra tutte I Soprano con Un conto da saldare, uno dei suoi episodi più apprezzati.

Il rapporto tra episodi e serie è così ineludibile che ogni episodio racchiuderebbe in sé il potenziale sperimentale di sospendere le norme stabilite e quindi di diventare qualcosa di inaspettato, senza che sia necessario mettere in questione l’intero funzionamento della serie (VanArendonk 2019). In particolare, l’episodio standalone si distingue dagli altri episodi perché introduce un grande cambiamento rispetto alle regole intrinseche della serie, e questa differenziazione può avvenire a livello stilistico o narrativo; alcuni degli esempi più noti sono, in tal senso, l’episodio musical o il bottle-episode.

Secondo questa definizione, gli standalone possono essere compresi come dei punti di evasione rispetto alla chiusa concatenazione causale degli eventi caratteristica del dispositivo seriale. Nel caso di The Last of Us, il racconto che segue le azioni legate allo spostamento finalizzato di Joel ed Ellie, i due personaggi protagonisti, nel paesaggio post-apocalittico è abbandonato in maniera sorprendentemente prematura. Nel terzo episodio, infatti, l’attenzione si focalizzerà su Bill e Frank, altri due nuovi personaggi che fino a quel momento erano del tutto sconosciuti.

Scritto da uno degli showrunner, Craig Mazin (Chernobyl), e diretto da Peter Hoar (It’s a Sin), l’episodio Molto, molto tempo mantiene una certa aderenza alle norme stilistiche della serie, ma presenta una prospettiva narrativa insolita, che non coincide più con quella del protagonista Joel, ma è interna alla storia dei due nuovi personaggi. Inoltre, questo è il primo episodio della serie che non presenta una scena-teaser prima della comparsa della sigla, un segmento che finora era stato dedicato all’inserimento di brevi flashback legati all’inizio della pandemia. Dopo una cornice narrativa che segue Joel ed Ellie nel loro lento e continuo attraversamento dello spazio, una transizione ci riporta indietro nel tempo, ai primi giorni della pandemia immediatamente dopo che le piccole cittadine sono state evacuate.

Il “survivalista” Bill ha potuto osservare lo sviluppo degli ultimi eventi in sicurezza, attraverso delle telecamere nascoste, riuscendo così a evadere i controlli imposti dal governo. Una volta rimasto da solo, l’uomo esegue un elaborato piano di sopravvivenza, che comprende il saccheggio dei negozi circostanti, ora abbandonati, e la costruzione di sofisticate trappole. Le giornate di Bill sono apparentemente piene nonostante la sua solitudine, fino a quando non incontra Frank, catturato per sbaglio da una delle fosse anti-infetti. La presenza di Frank dà una nuova vita alla casa, che non è più chiusa in una sterile disposizione museale. La comparsa del sentimento amoroso tra i due è accompagnata dalla riscoperta del piacere delle cose semplici, e che fanno da contrasto allo sfondo catastrofico, come può essere un vino pregiato, un “pasto civilizzato”, una doccia calda, o il sapore delle fragole.

Come si può notare, la dinamicità data dall’esplorazione dello spazio che aveva finora caratterizzato una serie come The Last of Us, è stata abbandonata in funzione di una delimitazione spaziale in grado di accogliere una temporalità più articolata. Il lavoro di composizione verticale che copre un arco temporale di circa vent’anni necessità di una «spazialità chiusa e fissa» (Maiello 2020), che in questo caso non si estende oltre i limiti del vicinato che circonda la casa di Bill. Questa eccezione character-based permette in ogni caso di approfondire la conoscenza del mondo narrativo, che dimostra così di esistere al di là dello scorcio che è presentato nel solito intreccio seriale. Ma è proprio la densità e la complessità dei mondi narrativi della serialità contemporanea (Ibidem) che garantiscono una forma di coerenza estetica di fronte alle variazioni introdotte dagli episodi.

La rilevanza estetica del terzo episodio di The Last of Us ha ricevuto una notevole attenzione critica, e questa pratica è coerente con l’ontologia dell’opera seriale. Lo studioso Ted Nannicelli (2017) infatti identifica come oggetti di apprezzamento dell’arte della televisione rispettivamente le serie, le stagioni, e gli episodi. Passando in rassegna sommariamente alcune delle testate che si sono occupate dell’episodio possiamo menzionare la riflessione di Quah in “Vulture”, motivata dalle dichiarazioni degli showrunner, che hanno definito l’episodio come una sorta di stele di Rosetta, quindi, una chiave per decifrare il senso della serie; nonostante l’intreccio al centro dell’episodio sembri occupare un’importanza piuttosto marginale rispetto allo sviluppo della trama principale. La rivista “Variety”, in un dialogo con lo showrunner e il regista dell’episodio, nonché i due attori (Nick Offerman e Murray Bartlett), individua nella storia d’amore omosessuale tra Bill e Frank uno dei maggiori cambiamenti introdotti dalla serie rispetto al videogioco creato da Naughty Dog e alla base dell’adattamento. Mentre Sepinwall per “Rolling Stone” fa un recap di quello che definisce un «fabulous, fabulous episode of television», ma anche la manifestazione finora più decisiva della sensibilità della serie verso la natura umana.

Infine, VanArendonk, una critica di “Vulture” che insieme a Sepinwall ha dedicato ampio spazio al predominio della forma episodio nello storytelling televisivo anche in un contesto di continua mutazione, utilizza questo specifico episodio proprio per insistere sulla corretta definizione di cosa sia un episodio standalone. Dagli articoli menzionati, infatti, si evince come l’episodio continui ad essere percepito come l’unità-base dell’apprezzamento della serie e che questa considerazione metta d’accordo creatori e fruitori.

Riferimenti bibliografici
V. Canby, From the Humble Mini-Series Comes the Magnificent Megamovie, in “The New York Times”, Ottobre 1999.
A. Maiello, Mondi in serie. L’epoca postmediale delle serie tv, Pellegrini, Cosenza 2020.
T. Nannicelli, Appreciating the art of television: a philosophical perspective, Routledge, New York 2016.
K. VanArendonk, Theorizing the Television Episode, in “Narrative”, v. 27, n. 1, Gennaio 2019.

Molto, molto tempo (The Last of Us). Regia: Peter Hoar; sceneggiatura: Craig Mazin; fotografia: Eben Bolter; montaggio: Timothy A. Good; interpreti: Nick Offerman, Murray Bartlett, Pedro Pascal, Bella Ramsey, Anna Torv; produzione: The Mighty Mint, Word Games, PlayStation Productions, Naughty Dog, Sony Pictures Television; distribuzione: HBO; origine: Stati Uniti d’America; durata: 75′; anno: 2023. 

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