Iniziare dal finale della prima stagione di The Last of Us non vuole essere solo un esercizio dissacrante nei confronti dello spoiler alert. Formula apotropaica che dovrebbe proteggerci da ogni possibile conversazione su “come va a finire” un libro, un film e soprattutto una serie tv, lo spoiler è molto spesso un marcatore fatico che ci permette di instaurare un primo contatto e creare aggregazione (Zucconi 2019). Se, come è noto, la serie tv ideata da Craig Mazin e Neil Druckmann nasce come l’adattamento dell’omonimo videogame sviluppato dallo studio statunitense Naughty Dog nel 2013, allora iniziare dalla fine è un modo per continuare ad alimentare quel potente collante sociale che è il desiderio di raccontare storie, di riappropriarsene ed espanderle. D’altra parte, la tentazione di continuare a discutere su The Last of Us appare ineluttabile se si guarda alla mole di discorsività prodotta attorno a questo racconto, dai commenti alle recensioni, dai meme ai video con gli attori Pedro Pascal e Bella Ramsey che impazzano sui social network.
Ma c’è anche un altro modo per incominciare dalla fine, ossia quello di partire dalla scelta, compiuta da Joel, di salvare Ellie nella puntata conclusiva della prima stagione non tanto per saggiarne la moralità, quanto piuttosto per proseguire le riflessioni sulle forme assunte dai legami comunitari nelle distopie del contagio che, almeno a partire da The Walking Dead (2010-2022), hanno “contaminato” la serialità contemporanea (Coviello 2022, pp. 103-108).
Come molta serialità e cinema post-apocalittico, anche in The Last of Us è fondamentale la dimensione comunitaria, sia a livello della costruzione delle linee narrative, in cui si intrecciano i vissuti dei personaggi uniti da legami familiari, oppure da interessi e necessità, sia nella restituzione di un’idea di società che per sopravvivere ha bisogno di ricostruire i legami interpersonali. Proprio a partire dai risvolti comunitari del racconto è possibile cogliere a pieno gli effetti della scelta di Joel e dunque rileggere l’intera stagione almeno su tre livelli di analisi.
Un primo livello è dato dall’importanza della dimensione spaziale. Nella serie tv c’è una contrapposizione tra la chiusura degli ambienti antropizzati e l’apertura garantita dai paesaggi. Nei primi vige un sistema di controllo biopolitico e di gestione necropolitica sulle popolazioni. Si pensi agli stermini di massa per limitare il contagio e alla gestione dei cadaveri, abbandonati in fosse comuni, durante lo scoppio della pandemia; all’imposizione della legge marziale e del coprifuoco nelle zone di quarantena erette per proteggere e gestire i sopravvissuti negli anni successivi; all’utilizzo dello scanner da parte delle milizie della FEDRA per rilevare i cittadini infetti; alla ritorsione violenta contro i militari condotta dagli abitanti di Kansas City che travolge anche i due protagonisti; e infine al fanatismo religioso che si trasforma in cannibalismo nell’insediamento in cui si svolge gran parte dell’ottava puntata.
Durante le fughe da questi luoghi di contenimento e isolamento, Joel ed Ellie si ritrovano ad attraversare paesaggi in cui la natura si erge incontrastata e domina anche tra le macerie degli spazi urbani, ridotti a traccia sbiadita di un mondo ormai passato. Esistono infine degli spazi intermedi, in cui la chiusura è dettata dalla necessità di proteggersi nei confronti dei pericoli esterni ma all’interno dei quali è possibile sperimentare le forme dell’incontro come l’amore, l’amicizia e la solidarietà. È il caso della casa-paese di Bill e Frank nella puntata standalone della serie, del centro commerciale in cui Ellie trascorre l’ultima notte in compagnia della sua migliore amica e le rivela la sua infatuazione nella settima puntata, della comunità di Jackson in cui Joel riabbraccia il fratello nella penultima puntata. Grazie alle fughe, agli incontri, ai momenti di sosta e contemplazione, i due protagonisti costruiscono un legame che va al di là della necessità primaria di sopravvivere per assumere le fattezze di una relazione tra una figlia e un padre.
Il secondo livello in cui emerge la dimensione comunitaria è quello temporale. Se per Ellie il viaggio si traduce in un percorso di formazione pieno di ostacoli in cui imparerà a prendersi cura del suo burbero accompagnatore, per Joel il tempo trascorso con la ragazza dischiude la possibilità di fare i conti con il suo passato traumatico e ritrovare la fiducia nei confronti dell’altro. Joel trova la forza di rivivere assieme a Ellie il momento dell’uccisione della figlia nelle prime ore della diffusione dell’infezione, di ripercorrere con lei gli anni trascorsi nella dissolutezza. Dopo vent’anni di sofferenze e violenze, sostituisce la figlia con una sua coetanea. Ma soprattutto, impara ad aprirsi e a mostrare le sue debolezze.
Infine, il terzo livello riguarda la centralità del personaggio interpretato da Bella Ramsey. Ellie è il motore dell’intera macchina narrativa: il viaggio intrapreso nelle nove puntate ha come obiettivo la sua salvaguardia. L’adolescente è infatti l’unico caso noto di persona immune all’infezione fungina e l’obiettivo è quello di raggiungere un centro di ricerca che sta cercando di sviluppare una cura per mettere fine alla pandemia. Col tempo, dopo i vari incontri e in seguito all’ennesima perdita, il legame con il suo accompagnatore si fa sempre più forte e la necessità di sopravvivere si affianca alla possibilità di salvare gli altri. Ellie è dunque un mezzo per la cura ma al contempo è per Joel un medium da proteggere a tutti a costi poiché gli garantisce il ricongiungimento con i suoi ricordi e il ritorno a una affettività che aveva disimparato.
Il finale di stagione decreta l’importanza della coppia anche a discapito della possibilità di salvezza dell’umanità. Nella nona puntata, al termine di un lungo viaggio attraverso il Nord America, la scelta di Joel è quella di salvare Ellie da un’operazione cerebrale che l’avrebbe uccisa ma probabilmente avrebbe permesso di sviluppare un vaccino contro il Cordyceps. Dopo aver salvato Ellie dal suo sacrificio e aver sterminato il gruppo ribelle delle “Luci” posto a difesa dell’ospedale, Joel decide di mentire alla sua giovane amica (gli esperimenti sugli immuni non hanno funzionato), pur di non distruggere il legame con lei.
Nella scelta di Joel non c’è soltanto un dilemma morale – è lecito salvare una vita impedendo di salvarne molte altre? – ma anche il riemergere della dialettica tra immunità e comunità (Esposito 2022) che abbiamo sperimentato durante l’emergenza pandemica da Covid-19. Il sacrificio di Ellie è in fondo un tentativo di immunizzazione negativa, ossia di protezione della vita attraverso la distruzione di una sua parte. Invece, la scelta di Joel può essere letta come il tentativo di restituire allo spazio sociale il suo carattere di apertura all’alterità e di aleatorietà. Per raggiungere un’immunità comune la strada è ancora lunga e il viaggio di Joel ed Ellie deve proseguire.
Riferimenti bibliografici
M. Coviello, Comunità seriali. Mondi narrati ed esperienze mediali nelle serie televisive, Meltemi, Milano 2022.
R. Esposito, Immunità comune. Biopolitica all’epoca della pandemia, Einaudi, Torino 2022.
F. Zucconi, Elogio dello SPOILER, in “il lavoro culturale”, 2019.
The Last of Us. Ideatori: Craig Mazin, Neil Druckmann; interpreti: Pedro Pascal, Bella Ramsey; produzione: The Mighty Mint, Word Games, PlayStation Productions, Naughty Dog, Sony Pictures Television; distribuzione: HBO; origine: Stati Uniti d’America; anno: 2023-in produzione.