Due giovani e aitanti cowboy si rincorrono e danzano con tre divertite ragazze quando, con due colpi di pistola, forano un’otre da cui sgorga del vino sanguigno che il gruppo festante, in un avvinghiarsi sensuale di corpi, inizia a bere. Bastano pochi istanti alle donne per accorgersi di quanto l’erotismo zampillante che permea quel che sembra un rito bacchico non può contemplarle nel suo abbraccio avvolgente. Così queste si allontanano e la passione esplode incontenibile tra i due uomini. Non c’è spazio per altro nell’inquadratura, se non per il voluttuoso dimenarsi dei due amanti, che la macchina da presa di Pedro Almodóvar nel mediometraggio Strange Way of Life segue bramosamente, guidata dall’emergere di uno sguardo nuovo sul genere, western e maschile.
La storia di Jake e Silva – coppia di mercenari oltre che di amanti in gioventù, che si rincontrano dopo venticinque anni quando il primo, divenuto uno sceriffo, sta indagando su un omicidio – non può, infatti, essere messa in scena, e quindi osservata, dallo stesso punto di vista da cui si è data forma al western classico o moderno. Se “strana”, come da titolo, è una possibile relazione omosessuale tra due cowboy nel patriarcale e machista vecchio West, essa merita di essere decantata attraverso un queer gaze (uno sguardo “strano” appunto) che ne evidenzi tutta la “stranezza”, l’eccentricità rispetto ad una fantomatica norma. La prospettiva eccentrica e iconoclasta sulla realtà di Almodóvar, sua marca autoriale, qui svuotata di qualunque afflato melodrammatico, si rivela il filtro ideale per raggiungere questo scopo.
Lo sguardo desiderante della macchina da presa indugia sulle forme di Silva e sul corpo seminudo di Jake, sia quando questo, nascosto agli occhi dell’amante, immerso nella vasca da bagno resta in apnea, come annichilito e sopraffatto da un sentimento che reputa sconveniente rispetto alla sua posizione sociale, sia quando l’uomo viene ferito con un colpo d’arma da fuoco infertogli da Silva, che tenta poi di curarlo. Non è solo un modo eccentrico per guardare alla figura del cowboy, ma anche – fuggendo ogni possibile iper-sessualizzazione – ai corpi, ai gesti e ai volti di Pedro Pascal (Silva) e Ethan Hawke (Jake), attivando così un ragionamento sullo stardom dei due attori, tipicamente impegnati in ruoli di affascinanti personaggi eterosessuali, e ribaltando le aspettative del pubblico.
È il primo piano, però, la scelta estetica chiave dell’operazione scopica del regista. Lontano dalla vertigine fulminante del primissimo piano leoniano, il close up sui volti dei cowboy apre un varco verso l’emotività dei due uomini. Il volto insomma «diventa il tutto in cui è contenuto il dramma» (Balázs 1924), che si nutre del senso di colpa scatenato da un sentimento “proibito”, del rimpianto di una possibile vita altra l’uno accanto all’altro. Jake digrigna i denti e non lesina smorfie di rabbia quando intuisce che il motivo del ritorno dell’amante è legato al caso a cui sta lavorando, ma non riesce a smettere di riservargli occhiate desideranti. Silva, sentendosi colpevole anche se indirettamente, soprattutto nel momento in cui è costretto a salvare il figlio ferendo lo sceriffo, è oscurato da una mestizia che si dipana solo quando si ritrova tra le braccia dell’amato.
Il primo piano, quindi, permette l’emersione di un maschile complesso: come dall’otre zampilla il vino, così dagli occhi dei due cowboy, incrinato lo scudo machista dovuto al contesto, sgorga una sensibilità sfaccettata che li conduce alla presa di coscienza dell’impossibilità di contenere la tensione romantica ed erotica che li lega. In questo senso il queer gaze di Almodóvar diventa canale di liberazione di una mascolinità capace di fare i conti con la propria emotività, generalmente estranea al western classico, all’interno di una rispettosa ricodifica del genere che giunge, ad esempio, ad ammantare di palesi metafore falliche e penetrative le armi da fuoco, non più strumenti di morte o simulacri del potere patriarcale dell’uomo che trova nella violenza una forma di legittimazione.
Se il western (e quindi il West), nei suoi archetipi e codici di rappresentazione, è una creazione cinematografica dell’inizio del secolo scorso in cui una così esplicita relazione queer non ha mai trovato posto, allora cent’anni più tardi è il cinema stesso a creare nuovi spazi di visibilità in cui portare alla luce – da qui la predominanza della luce, soprattutto naturale, nella maggior parte delle inquadrature, anche negli interni – storie mai raccontate, appunto invisibilizzate. In questo senso Strange Way of Life può essere accostato ad altri celebri esempi di western queer (o comunque drammi queer dalle atmosfere western) come I segreti di Brokeback Mountain (2005) o Il potere del cane (2021), con le dovute differenze. Il film di Jane Campion, infatti, tematizza la frustrazione di un’omosessualità repressa, mai esplicitata se non a livello simbolico, e propone, come il dramma di Ang Lee, un finale fondamentalmente punitivo (la morte) per i suoi personaggi, mentre il mediometraggio di Almodóvar si apre ad un’inattesa speranza.
Questa speranza trova il suo correlativo oggettivo nel cappotto verde di Silva, in un cinema, quello di Almodóvar, che ha fatto dell’uso semantico del colore un’imprescindibile ricorrenza stilistica. Perché dopo aver attraversato la brulla valle in cui riemergono (di nuovo, vengono alla luce) il ricordo di una giovinezza spensierata ed un solo frammento della notte d’amore appena trascorsa tra i due cowboy – che consapevolmente il regista sceglie di non mostrare in toto alla spettatore, al fine di evitare qualunque spettacolarizzare dell’atto sessuale in sé, per lasciare spazio all’amore genuino che lega i due uomini – infine proprio a Silva viene concessa la battuta finale del film. Venticinque anni prima i due amanti si chiedevano come sarebbero stati “visti” due uomini che vivono insieme in un ranch? Cosa avrebbero potuto fare? Con la maturità acquisita (anche rispetto alla consapevolezza delle proprie emozioni), riappropriatosi di uno spazio di visibilità, Silva ribalta nuovamente lo sguardo su uno “stile di vita” che, infondo, non ha nulla di “strano”. Perché due uomini che vivono insieme in un ranch, come qualunque altro tipo di coppia, possono prendersi cura l’uno dell’altro, proteggersi, farsi compagnia.
Riferimenti bibliografici
B. Balázs, Tipo e Fisionomia, in “Bianco e Nero”, 1, 1941.
Strange Way of Life. Regia: Pedro Almodóvar; sceneggiatura: Pedro Almodóvar; fotografia: José Luis Alcaine; montaggio: Teresa Font; interpreti: Ethan Hawke, Pedro Pascal, Manu Ríos, Jason Fernández, José Condessa, Pedro Casablanc; produzione: El Deseo, YSL; distribuzione: MUBI; origine: Spagna; durata: 30; anno: 2023.