In una delle tante conversazioni che avevamo alla Facoltà di Lettere all’Aquila, Nando  sostenne che l’uomo di teatro deve saper essere volgare: e mi fece l’esempio del più celebre monologo teatrale, Essere o non essere. Shakespeare, come Verdi, sapeva esserlo al meglio, mentre Racine, che era soprattutto un poeta, sicuramente no, e nemmeno Wagner, che era soprattutto un musicista. L’interesse di Nando Taviani era tutto concentrato su chi “si sporca con la polvere del palcoscenico”: sulle pratiche materiali della scena. E questo era vero sia sul piano scientifico, sia sul piano esistenziale (amava raccontare la folgorazione avuta a sei anni la prima volta che entrò in un teatro; sua moglie Mirella è inoltre la figlia di una grande attrice, Regina Bianchi).

Il rapporto con il mondo della scena si è concretizzato essenzialmente nella collaborazione e nell’amicizia intensissima con Eugenio Barba e con l’Odin Teatret, di cui era consigliere letterario, co-autore, e “fratello di lavoro”. Insieme hanno fondato l’ISTA, l’International School of Theatre Anthropology, nelle parole di Taviani una «scuola di addestramento per teatranti diseredati e ostinati»; un’esperienza interculturale di esplorazione del mestiere di attore. Per Nando essere consigliere letterario non significava certo limitarsi a segnalare testi, né tantomeno impartire indirizzi teorici: significava partecipare a mesi di prove massacranti a Holstebro, ai viaggi in America latina, ai lunghi soggiorni di «baratto culturale», iniziati nel 1971 in Salento. Significava insomma condividere un progetto culturale ed esistenziale, che innegabilmente ha fatto storia, non solo nell’ambito di quello che negli anni settanta veniva chiamato Terzo Teatro, perché contrapposto tanto alla tradizione quanto all’avanguardia. Un progetto a cui contribuiva con il suo sapere di studioso, intellettuale e critico: non amava infatti la confusione di ruoli che anima, ad esempio, le regie universitarie dei professori anglosassoni.

Fin qui abbiamo parlato dello studioso militante: una delle varie vite di Nando Taviani, quella più nota, incarnata dal suo vestiario di sciarpe indiane e sandali francescani. Per completare il quadro vanno ricordati i suoi interventi polemici, pubblicati su varie testate (“L’Indice”, “Il manifesto”, “Ariel”, “Linea d’ombra”), spesso legati alla gestione dei teatri italiani, come la difesa della direzione dell’Argentina di Mario Martone, da lui considerata la maggiore novità nel teatro italiano dopo la fondazione del Piccolo. Alcuni di questi scritti sono stati raccolti in un volume dal titolo Contro il mal occhio (1997), pensato per una piccola casa editrice, Textus, allora appena fondata da un collega aquilano, Carlo De Matteis. Nella premessa, La Cipria, Taviani difende la grandezza del teatro che sa conservare il suo spazio infinitesimale ed enorme nel mondo, diventare anzi un altro mondo, se mantiene la sua conflittualità:

Il fascino degli spettacoli, infatti, il loro spirituale nutrimento, è lotta dell’effimero contro l’effimero. Quando questa lotta non c’è, resta solo noiosa o effervescente barbarie: la cipria che copre una pelle mortalmente vivace.

Anche come storico del teatro Taviani si è focalizzato sulle pratiche (una parola chiave: “Storia e pratiche delle arti, della musica e dello spettacolo” si chiamava il corso di laurea da lui fondato all’Aquila), soprattutto nell’ambito in cui più ha lasciato il segno e ha avuto risonanza internazionale: la Commedia dell’arte (ma vanno ricordati anche i lavori su Claudel, e, con Claudio Meldolesi, su Teatro e spettacolo nell’Ottocento). Nel 1969 pubblica La fascinazione del teatro presso Bulzoni, l’editore con cui ha collaborato una vita intera, creando anche la rivista Teatro e storia, laboratorio di un’autentica «comunità interpretativa» (Fish 1980). È un libro per due terzi costituito da documenti preziosi, che ricostruiscono la fascinazione sotterranea attraverso le censure: il teatro diventa il luogo di sogni e follie, un oceano di passioni.

«Alcuni continuano a ripetere: nel teatro ciò che più conta sono i testi. Non è vero, sono ciò che più rimane. È barbarie confondere ciò che si conserva di più con ciò che ha maggior valore» (così in Uomini di scena, uomini di libro, 1995): per ricostruire quello che si è perso, l’effimero, lo spettacolo, l’evento, Taviani lavora come un archeologo in cerca di tracce. Ecco quindi che assieme a Mirella Schino (sua allieva e poi sua collaboratrice, con cui costruirà all’Aquila un sodalizio magnifico) scrive Il segreto della Commedia dell’Arte (1986) pubblicato da La casa Usher (tradotto in Francia), in cui il materiale storiografico liberamente intessuto da Schino viene ritessuto da Taviani, creando effetti di rifrazione e lasciando al lettore la libertà di costruire a sua volta un proprio libro.

Ci sono anche altri percorsi nella ricerca scientifica di Taviani, che vengono dall’essere stato allievo di Giovanni Macchia, da cui ha preso il gusto per una scrittura saggistica non accademica (è un autore di saggi, più che di libri “organici”). Da qui viene l’interesse per Pirandello, di cui ha magistralmente curato per i Meridiani i Saggi e interventi (2006); e anche il libro sulla letteratura teatrale italiana del Novecento, che arriva alle realtà più recenti, come la drammaturgia post-eduardiana di Ruccello e Moscato. Siamo qui nello spazio letterario del teatro, formula con cui aveva delineato il rapporto tormentato fra le due arti, in occasione di un convegno dell’Associazione di comparatistica all’Aquila su “Letteratura e altre arti”.

Essendo interessato all’evento e alla performance, Taviani vedeva nel cinema soprattutto la prima forma di riproduzione tecnologica dello spettacolo. Mi piace ricordare come, nella fase iniziale della riforma del 3+2, sfruttando la libertà di creare nuovi moduli (uno dei suoi pochi aspetti positivi), Taviani decise di allargare l’offerta didattica, stimolato dalla nostra Preside Maria Grossman: al contratto di Storia del cinema affiancò un modulo di “Cinema e Letteratura” che mi chiese di tenere (è stato di gran lunga il mio insegnamento più di successo per gli studenti), e un modulo di “Cinema delle origini” che tenne per sé, in cui ha affrontato quel «brodo intermediale» (Gaudreault 2004) da cui è nato il cinema. Purtroppo l’esperimento fu presto spazzato via dall’ansia tutta italiana di cambiare continuamente sistema, ma ha lasciato certo una traccia, come tutta la sua sperimentazione di didattica “indisciplinata”.

Siamo giunti così alla didattica. Nando è stato, forse ancor più che un grande studioso e critico militante, un grandissimo docente. Le lezioni della mitica Auletta 26 del Palazzo Camponeschi, prima del sisma, hanno sconvolto l’esistenza di tantissimi studenti con i loro spiazzamenti continui. Ricordo di aver avvertito il senso di una comunità molto coesa quando mi sono infiltrato, ospite appena tollerato, al rito funebre in un prato per la nostra dottoranda morta nel terremoto del 2009, Noemi Tiberio. Non posso che concludere ricordando lo struggente rito che l’Odin Teatret ha celebrato per Nando attorno a dei sassi, fra canti e maschere, che si trasforma in una festa animata dalle nuove generazioni. Anche un rigoroso materialista ateo, come chi scrive, non poteva non commuoversi all’immagine di questi vecchi rivoluzionari che concludono il rito con le parole “ci vediamo prestissimo, Nando”.

Riferimenti bibliografici
S. Fish, C’è un testo in questa classe?, Einaudi, Torino 1980.
A. Gaudreault, Cinema delle origini o della “cinematografia-attrazione”, Il Castoro, Milano 2004.
F. Taviani, La Commedia dell’Arte e la società barocca. La Fascinazione del teatro, Bulzoni, Roma 1969.
Id., Uomini di scena, uomini di libro. Introduzione alla letteratura teatrale italiana nel Novecento, il Mulino, Bologna 1995.
Id., Contro il mal occhio. Polemiche di teatro 1977-1997, Textus, L’Aquila 1997.
Id., Lo spazio letterario del teatro, in M. Fusillo e M. Polacco, a cura di, La letterature e le altre arti, “Contemporanea”, n. 3, 2005.
F. Taviani, M. Schino, Il segreto della Commedia dell’Arte, la Casa Usher, Firenze 1982.

Ferdinando Taviani, La Spezia 1942 – Roma 2020. 

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