Le cose ci guardano, com’è noto. E quindi, come ci guardano le cose che popolano numerose quel particolare paesaggio che è chiamato il paesaggio italiano? E per converso, come risponde a quello sguardo chi vive in quel paesaggio? È inutile obiettare che non esiste un paesaggio italiano (qual è la categoria comune che terrebbe insieme i semideserti lucani e le risaie di Vercelli? Venezia e Foggia? La periferia di Napoli e Pienza?) e che non esiste nemmeno un unico modo tipicamente italiano di vedere il mondo. Quest’obiezione è scontata, ma allo stesso tempo elude il punto fondamentale: non esiste un pensiero che non sia in qualche modo radicato in una lingua determinata, in un ambiente particolare, in una peculiare tradizione visiva. Gli occhi, come le mani e le parole, sono sempre occhi mani e parole di un corpo che sta da qualche parte, e che è cresciuto vedendo certe cose, toccandone altre, parlando con qualcuno e non con un altro.
Da questa consapevolezza geo-filosofica (che quindi non è nazionalistica o tantomeno sovranista) prende spunto il ricco e bellissimo libro curato da Angela Mengoni e Francesco Zucconi, Pensiero in immagine. Forme, metodi, oggetti teorici per un Italian Visual Thought (Mimesis, Milano 2022). Il riferimento di questa raccolta è, e non poteva essere diversamente, il libro di Roberto Esposito Pensiero vivente. Origini e attualità della filosofia italiana (2010), in cui viene delineata una possibile genealogia di una tradizione di pensiero che fa dell’apertura e del continuo confronto con la differenza i suoi caratteri fondamentali. Una tradizione in cui il ruolo del linguaggio, sebbene affatto centrale (si pensi solo alla funzione svolta in questa tradizione dal De vulgari eloquentia), non è tuttavia esclusivo né predominante. Il primo carattere di questo pensiero in immagine, allora, come scrivono nell’Introduzione i due curatori del volume, è la delimitazione di un campo dell’esperienza indipendente rispetto a quello del linguaggio, un campo che riprende a suo modo quella fondamentale propensione per il fuori che, per Esposito, caratterizza specificamente la tradizione italiana:
Rispetto a questo tratto fondante del pensiero italiano, è impossibile non notare la convergenza con quegli orizzonti che nell’area della semiotica, degli studi visuali e della teoria delle immagini hanno rivendicato […] proprio la non riduzione dei modi di generazione di senso delle immagini a logiche verbali sia che si trattasse della estensione indebita dei modelli linguistici di produzione di senso all’universo visivo, che della sistematica riconduzione e riduzione dell’immagine a logiche figurative di nominazione e di rappresentazione mimetica, o alla legittimazione sempre esterna di un testo-fonte (Mengoni, Zucconi 2022, pp. 13-14).
Non si tratta di dire il visibile, e nemmeno di vederlo secondo le modalità suggerite dal linguaggio; si tratta piuttosto di uno sguardo che è capace di accompagnare l’inesauribile splendore del visibile senza rinchiuderlo all’interno di una prospettiva predeterminata, di un concetto preesistente, di un discorso già disponibile. Uno sguardo che non cerca l’equilibro e nemmeno l’armonia, al contrario, uno sguardo che non teme l’impensabilità del visibile, che è impensabile proprio perché è soltanto visibile. Si tratta di un punto caratterizzante di questa peculiare prospettiva, la costitutiva mancanza di una sistemazione complessiva del visibile, che anzi viene accolto nella sua irrisolvibilità: «L’Italian Visual Thought», scrivono i curatori, «sembra dunque poter assumere e rilanciare in altri termini il rapporto tra immanenza e conflitto, già identificato come uno dei tratti caratterizzanti del pensiero italiano». Come può, si chiede Esposito commentando Antonio Gramsci, «un “contro” stare dentro ciò cui pure si contrappone senza spezzarne l’unità? E come può, un “dentro”, contenere ciò che lo contrasta senza annullarlo?”» (ivi, p. 17). Come può, appunto, il “dentro” contenere già al suo interno un’irresistibile pulsione per il “fuori”? Si pensi al caso esemplare, analizzato nel contributo di Giorgio Fichera, Disfare il genere in pittura. Caravaggio, Longhi e la queerness visiva, del dipinto Il suonatore di liuto:
Nel Suonat.ore.rice di liuto la dimensione relazionale è tuttavia più complessa. La singolarità di questo dipinto risiede nel dato percettivo dell’indeterminatezza di genere della figura umana (oggetto di desiderio) che assume valore enunciativo. […] Il genere e la sessualità – anche sul piano percettivo – sono essenzialmente relazionali in quanto una persona compone, reiventa e concerta la sua identità, nel processo di identificazione, sempre in rapporto all’alterità: siamo identificati con e ci identifichiamo in uomo o donna (qualora si accetti questa binarità). La rappresentazione come l’identità di genere – identificazione mai fissa ma reiterata nel suo incorporarsi – è sempre imitazione del processo imitativo, ovvero intrattiene un rapporto autoriflessivo ed eccedente il suo referente (ivi, p. 32).
Vedere in modo “relazionale” significa un modo di vedere, e di adattarsi al mondo, che non parte da un modello visivo precostituito; non si tratta di sezionare il visibile secondo una classificazione verbale che assegni al risultato di ogni sua partizione una etichetta determinata (come quelle che si possono leggere nei musei di zoologia accanto ad un animale impagliato). Il mondo viene visto/rappresentato nella sua impensabilità, ossia viene colto salvaguardandone l’intrinseca ricchezza e plurivocità. In questo senso l’Italian Visual Thought sarebbe un pensiero visivo che non si affretta a sezionare il mondo, quanto a farsene catturare. Non si tratta di mettere ordine nel mondo, quanto prima di tutto di accoglierlo. Allo stesso tempo questa operazione richiede una acuta consapevolezza del mezzo visivo adottato. Solo se ci si rende conto della intrinseca non neutralità del vedere si può cercare, infatti, di prendere posizione rispetto a quello stesso atto visivo.
La posta in gioco di ogni vedere, in effetti, è rappresentata proprio dal sapere che ogni visione è sempre prospettica e orientata: una prestazione possibile solo per chi non pensi, di sé, di rappresentare il punto generatore di quello stesso visibile. Ritroviamo qui un’altra declinazione dell’intrinseco e irrisolvibile rapporto conflittuale fra interno ed esterno tipico dell’Italian Thought. Così Timothy Campbell nelle Avventure del dispositivo: cinema e pensiero italiano, discute il caso del cinema di Antonioni, in cui Monica Vitti è allo stesso tempo “intrappolata” nel dispositivo cinematografico ma riesce anche ad uscirne:
In “L’eclisse”, l’attrice Monica Vitti è l’oggetto principale del dispositivo ma, altrettanto chiaramente, riconosce la capacità del dispositivo di collocarla al centro della sua attenzione. Tuttavia, anziché arrendersi a tale capacità, la donna ne riconosce il potere e allo stesso tempo si assenta, accettando e poi elaborando la fusione tra sé – Vitti, l’attrice – e Vittoria, la protagonista del film. Sia Vitti – l’attrice – che Vittoria – il personaggio – diventano forme sullo schermo che non solo prestano attenzione alla loro cattura, ma sono anche forme apparentemente in pace con l’ambiente in cui si trovano (ivi, p. 83).
Una situazione simile è presentata nel saggio di Laura Iamurri, Cloti Ricciardi. Vietato l’ingresso agli uomini, in cui viene descritta, in particolare, una celebre performance a Palazzo Taverna del 1972 dell’artista intitolata Vietato l’ingresso agli uomini, di cui abbiamo una testimonianza attraverso le fotografie di Paolo Medori. Il punto, in questo caso, è proprio il gioco fra interno ed esterno: nella stanza, infatti, si vedono dall’esterno le donne e le artiste impegnate in quello che sembra un’animata discussione mentre fuori, sulla soglia, ci sono degli uomini che, appunto, non possono entrare. Qui è evidente il gioco fra un interno che chiama verso il fuori, come un fuori che preme per diventare anch’esso interno. Come mette bene in luce Iamurri il visibile diventa così immediatamente politico (spazio permesso e spazio vietato), e questa commistione è tipica della peculiare tradizione raccontata in questo libro:
Il femminismo aveva cambiato da cima a fondo le vite delle donne che ne erano partecipi e si proponeva come modello di un nuovo protagonismo femminile, forte della consapevolezza di soggetto autonomo acquisita attraverso le pratiche separatiste. La coscienza nuova di sé – assertiva e gioiosa al tempo stesso – porta Ricciardi a sovvertire anche le regole non scritte degli spazi dedicati all’arte contemporanea, importando un conflitto e introducendo una separazione capace di svelare il carattere patriarcale e regressivo di un ambiente sociale che si autorappresentava come la punta avanzata, a tutti i livelli, della società contemporanea. Questa sovversione si attua portando l’esperienza concreta, la vita, nello spazio deputato all’arte, agendo il collettivo con le compagne e rendendolo però fruibile come immagine per gli amici, i compagni, i colleghi che restano fuori: riscrivendo dunque le pratiche artistiche attraverso la pratica politica femminista (ivi, pp. 131-132).
Anche al centro del saggio di Dario Cecchi c’è questa doppia, inconciliabile, tensione fra interno – a partire dalla categoria del munus (obbligo, ma anche dono) così come l’ha discussa Roberto Esposito – ed esterno, che qui prende la forma dell’aisthesis, il sensibile che è sempre proiettato verso il fuori. Anche in questo caso l’esperienza della visione non è mai proiettiva (come nel celebre cono ottico di Euclide, in cui i raggi visivi partono dall’occhio e illuminano il mondo), al contrario, il visibile rompe i confini immunitari della comunità sempre tentata di chiudersi su sé stessa e rappresenta invece un inarrestabile vettore di apertura. Il visibile è luce e vita, e la vita è il fuori:
Munus e aisthesis sono, al contrario, le due facce della vita. La vita è vista o dal punto di vista della sua oggettivazione come bene da proteggere e normare, oppure dal punto di vista dell’attenzione di un soggetto che coglie i profili salienti delle cose per produrre un’immagine del mondo capace di promuovere la vita, sia individualmente sia collettivamente. Il lavoro delle arti su questa immagine non è dunque una semplice pausa dalle fatiche della vita. […] [Q]uesto lavoro rappresenta il momento in cui il soggetto passa dal mero sentire la vita come fatto privato a un più complesso e non scontato consentire alle forme della vita. Per forme della vita intendo i modi in cui la vita ci si presenta e fa apparire la compresenza degli altri al nostro vivere (ivi, p. 183)
Karen Pinkus, nel saggio Materialità e ambivalenza. Arte povera, una genealogia alchemica, insiste sul carattere materico, sporco, non neutrale di questa peculiare tradizione visiva a partire dall’Arte povera che promuove a caso prototipico di un possibile Italian Visual Thought. In questo caso lo sguardo artistico fa della “povertà” dei materiali un punto di forza; non c’è più nessuna Idea trascendente alla base del lavoro artistico, tantomeno c’è più spazio per l’Arte. C’è il lavoro simile a quello di qualunque operaio, c’è una visione terra terra, umile, per sempre liberata dalla presunzione dello sguardo dell’artista creatore. Lo sguardo sta sempre nel mondo, perché è nel mondo – che di per sé è sempre povero – che gli occhi vivono: «ma l’arte povera, soprattutto nella sua versione più materialista, quella di Gilberto Zorio, va oltre il mero tematismo e la mera metafora, per impegnarsi profondamente con l’alchimia, intesa non come qualcosa di univoco ma come una protochimica, come un insieme di miscele farmaceutiche o come un rinnovamento puramente filosofico/spirituale» (ivi, p. 205).
La materia, che la tradizione dualista ha sempre opposto ala luce, diventa ora essa stessa occasione per un esperimento di visione. Ancora una vola in primo piano c’è il mondo, non lo sguardo sul mondo. Su questa stessa linea è particolarmente interessante, infine, il saggio di Simona Arillotta, Italia dal m-argine. Il delta del Po come paradigma fotografico, in cui lo sguardo prende lo spunto dalla figura del margine, ossia di ciò che non è al centro. Se esiste un Italian Visual Thought questo è sicuramente uno sguardo laterale, non sovrano, senza pretese egemoniche (com’è esemplificato in modo esemplare dalle fotografie di Luigi Ghirri). Uno sguardo decentrato, aperto al mondo:
Assumere il margine come tecnologia dello sguardo non comporta certo rileggere tutta la produzione fotografica che ha “immaginato” l’ambiente fluviale nella sua esatta corrispondenza con la forma del territorio. Attivare il margine come dispositivo – come medium – significa, invece, aprire alla possibilità di indagare diversamente il rapporto tra fotografia e territorio. Se […] è l’ambiente a conferire materialità all’immagine fotografica, questa allora deve essere indagata “geologicamente”, nel suo essere elementarmente “porosa”, ovvero in grado di ingaggiare la sfida degli elementi, di incarnare la pressione di agenti estranei ed esterni, capace di assorbire, insomma, la complessità dei continui cambiamenti che hanno attraversato l’ambiente fluviale. Allo stesso tempo, se la fotografia ha certo contribuito a “immaginare” il fiume Po, pensare l’ambiente fluviale come agente attivo significa considerare il territorio come soggetto capace di indirizzare il nostro sguardo […] e di in-formare ugualmente posture etiche, estetiche, politiche. In questo senso, se è nel margine che si radica una peculiare forma della visione, allo stesso tempo, è dal margine che è possibile rileggere una produzione fotografica troppo spesso imbrigliata nel gioco delle etichette, ri-piegata sulla dimensione ideologica (ivi, pp. 344-345).
Che cos’è, infine, il pensiero in immagine? È un pensiero profondamente anticartesiano e quindi antidualista, è un pensiero del mondo che viene visto dal mondo. È la luce del mondo, ché in fondo, che cos’è che hanno sempre trovato gli artisti quando venivano in Italia? La luce. Il pensiero in immagine è questo pensiero che rimane ostinatamente fedele a questa luce.
Angela Mengoni, Francesco Zucconi, a cura di, Pensiero in immagine. Forme, metodi, oggetti teorici per un Italian Visual Thought, Mimesis, Milano 2022.