La guerra moderna non prevede eroismi. Ci si ammazza in prevalenza da lontano, si muore per caso. E tuttavia, per tutti gli anni della Prima guerra mondiale, gli eroismi sono stati ancora necessari, come specchietti per le allodole. 

L’appello all’eroismo, all’onore, alle tradizioni militari, alla bellezza del morire per la patria, per Dio, per il Kaiser, funzionava. I giovani erano attirati da questa propaganda, si sarebbero sentiti umiliati dall’essere considerati vigliacchi. Perfino all’orrore della morte insensata in parte ci si abitua. Nel suo romanzo del 1928, presto proibito dalla censura di Goebbels e inserito tra i libri da bruciare, E. M. Remarque scandalizza i lettori con le riflessioni del protagonista, il giovane soldato Paul Bäumer, finito nell’inferno della guerra. La compagnia sta godendo qualche giorno di riposo, lontana dal fronte, ha ricevuto doppia razione di cibo, tabacco, sigarette in abbondanza. Come mai? È un semplice errore: il tutto era previsto per una compagnia di 150 uomini, ma nella notte c’è stato un attacco nemico, dopo un intenso bombardamento, e adesso i sopravvissuti sono solo un terzo. Felice errore, se non fosse che arrivano anche le bare, a ricordare un destino che incombe. 

Ma che bello! Arriva anche la posta, notizie da casa. È bello anche leggerla seduti sulla latrina comune, svolgendo in pace le proprie funzioni fisiologiche. Leggere magari la lettera ricevuta da un commilitone analfabeta, uno che, in tempo di pace, non ci si sarebbe neppure sognato di conoscere. Paul muore, ucciso da una pallottola vagante, pochi minuti prima delle undici (l’ora fissata per il sospirato armistizio), ma dalla sua espressione sembra sia morto quasi contento di finire così – come se, in certe condizioni, fosse un disonore proprio sopravvivere.

Il film di Edward Berger, prodotto da Netflix con grande dispendio di mezzi, girato a pochi chilometri da Praga (una terra di nessuno abbastanza credibile, tra Germania e Francia) è il terzo tratto dal romanzo, e non è certo il migliore, anche se possiede una sua cifra specifica. Nulla di meglio del primo grande film di Lewis Milestone (1930) con Lew Ayres nella parte di Paul. Le sequenze di battaglia, degli scontri feroci e inutili da una parte e dall’altra, i movimenti frenetici di  una macchina da presa quasi impazzita, ci sembrano tuttora insuperabili. Insuperabile la sequenza della morte del soldato francese, nello stesso cratere in cui giace Paul. Insuperabile la scena della morte di Stanislaus, il ciabattino analfabeta, morte alla quale Paul, che lo ha trascinato a spalla verso un’infermeria, non vuole credere. Insuperabile la poeticità della morte di Paul, attratto fuori dalla trincea, quasi ipnotizzato, dalla bellezza del volo d’una farfalla.

Il secondo film tratto dal romanzo è un film per la TV diretto nel 1979 da Delbert Mann. Qui si può dire che, rispetto a tutti gli altri protagonisti, la scena è rubata da Ernest Borgnine, soldato semplice, pronto a difendere le reclute dalle prepotenze d’un caporale sadico, insegnando loro ciò di cui hanno veramente bisogno per sopravvivere. Insegna loro a staccare la testa al nemico con una specie di mannaia affilata, senza usare la baionetta, che poi è difficile da estrarre, esponendoti a una perdita di tempo che potrebbe essere fatale. C’è anche Donald Pleasence, nei panni del professore di liceo che spinge i giovani ad arruolarsi. 

Ma parlavo della cifra stilistica del film di Berger. Per la prima volta, oltre ai giovani liceali idealisti, oltre agli istruttori sadici, vengono messe in scena le figure dei socialdemocratici tedeschi, che tentano disperatamente di convincere i militari a trovare l’accordo per un cessate il fuoco. Tutto si svolge nel fango, nel labirinto delle trincee abitate dai topi. Appena arruolato, a Paul viene assegnata un’uniforme usata, già appartenuta a qualcun altro (un soldato morto), che probabilmente “gli starà un po’ stretta”. Mentre i suoi compagni di liceo cadono uno ad uno, mentre l’amico più caro di Paul, sottoposto all’amputazione d’una gamba, non regge allo strazio e si suicida, il ciabattino analfabeta insegna a Paul come sfamarsi rubando oche a un contadino francese, ma alla fine il figlio del contadino, armato di fucile, lo uccide, anche lui accecato dall’odio.

“I socialdemocratici stanno rovinando la Germania!” urla il capo dell’esercito tedesco, dopo le dimissioni del Kaiser e l’annuncio dell’imminente cessate il fuoco. Come atto finale, ordina un ultimo folle attacco, quello dove Paul muore, forse contento di morire. Le trincee restano, segnano il labirinto di un orrore che non potrà non ripetersi, in forma, se possibile, ancora peggiore. La mdp le percorre, senza però arrivare ai lunghi piani-sequenza alla Kubrick. Fanno la loro comparsa i carri armati, che schiacciano i corpi  rannicchiati nelle trincee.

Quanto all’amore… L’unica cosa che resta è ritagliare l’immagine d’una ragazza da un volantino pubblicitario dimenticato su un muro restato in piedi. Nella postazione di Paul, al suo posto, rimane il volantino.     

Riferimenti bibliografici
E. M. Remarque, Niente di nuovo sul fronte occidentale, Neri Pozza, Milano 2016.

Niente di nuovo sul fronte occidentale – All Quiet on the Western Front. Regia: Edward Berger; sceneggiatura: Edward Berger, Ian Stokell, Lesley Paterson; fotografia: James Friend; montaggio: Sven Budelmann; interpreti: Felix Kammerer, Albrecht Schuch, Daniel Brühl, Moritz Klaus; produzione: Amusement Park; distribuzione: Netflix; origine: Germania; durata: 147′; anno: 2022.

Share