La produzione cinematografica e seriale nell’ambito della fantascienza da tempo ci sta abituando al tema dell’apocalisse: scenari apocalittici o post-apocalittici generati da eventi distruttivi e catastrofici che minacciano l’esistenza della specie umana. L’umanità è posta a combattere per la propria sopravvivenza, a riaffermare il proprio posto in un mondo sconvolto senza regole, ostile, dove prevale la diffidenza e la violenza. Una continua lotta tra il bene e il male, il buono e il cattivo, tra il sé e l’altro. Da sfondo una natura mortificata, trasformata, morta e sfruttata. Il genere fantascientifico catastrofico e distopico immerge lo spettatore nelle paure, nelle fragilità (proprie e quelle della società), nei limiti dell’oltre e spinge a una profonda riflessione sull’auto-conservazione. La sopravvivenza, la ricerca di una redenzione, il castigo di una natura che si ribella sono gli elementi su cui molte serie strutturano le loro narrazioni.
Tra le varie serie recenti in grado di stimolare una riflessione in merito non tanto alla capacità dell’uomo di sopravvivere, ma al suo meritare un posto nel mondo che ha distrutto (o sta distruggendo) c’è sicuramente Sweet Tooth, che racconta la storia di Gus, detto Golosone: un bambino ibrido, in parte umano e in parte cervo. Gli ibridi (esseri metà umani e metà animali) sono la risposta della natura “allo sversamento del sangue della terra” cioè a dire alla mortificazione subita dalla natura, al riposo degli antichi disturbato a causa della pretesa dell’uomo egoista di alterare le leggi naturali e di governarle a proprio piacere. Nella serie a disturbare gli equilibri ancestrali fu prima il Capitano Thacker spintosi fino ai ghiacciai dell’Alaska per cercare la cura delle cure in grado di preservare la vita e poi i membri della missione Fort Smith che, seguendo le indicazioni riportate da Thacker sul suo diario, finiscono per scatenare l’Afflizione, un virus, l’H5G9, in grado di sterminare gran parte della popolazione umana. I pochi uomini rimasti, chiamati gli ultimi uomini, considerano gli ibridi la vera causa del Grande Crollo, la pandemia, che ha quasi sterminato la razza umana e li cacciano come se fossero prede e li uccidono come cavie da laboratorio per generare una sorta di vaccino dagli effetti temporanei, ma non risolutori.
Sweet Tooth, che si ispira ai fumetti di Jeff Lemire, ci fa riflettere e interrogare su due grandi temi: la paura della diversità e la dicotomica relazione uomo-natura. Gli ibridi sono il diverso di cui avere paura e da neutralizzare, sono quelli su cui scaricare colpe e fragilità umane. Sono i prescelti della natura che erediteranno il mondo non solo perché sono immuni al virus, ma perché intimamente connessi con la natura: sono parte di essa, la parte che non depreda, che non sfrutta, che non uccide. Lo spettatore, episodio dopo episodio, comprende che c’è molta più umanità negli ibridi che negli uomini, empaticamente si lega a questi bambini che rappresentano lo spettro buono dell’esistenza. Gli ultimi uomini, invece, il lato oscuro della società, quello debole e corruttibile, si organizzano sotto il comando del cattivo Generale Abbott con le poche risorse rimaste per creare spedizioni punitive a danno degli ibridi. Perché nell’idea/cultura dominante il mondo non è meraviglia da contemplare, ma è una entità a sé stante che assume significato solo nella dimensione economico-produttiva: un’eredità pesante del sistema colonialista con cui ancora oggi bisogna fare i conti e che nella serie è amplificata dallo scenario catastrofico e dalla scarsità. Il massimo beneficio dell’uomo deriva da una valutazione costo-opportunità che vede prevalere la propria soddisfazione a danno di altro e altri considerati ostacoli e che devono essere opportunamente rimossi.
L’Afflizione non è solo una pandemia, è la forma più spietata della disumanizzazione, del controllo del potere. È scontro/odio tra uomini e ibridi, e anche tra uomo e uomo perché in presenza di sintomi del virus (il tremolio del mignolo) riscontrati nel proprio vicino, nel proprio amico, l’uomo si arroga il diritto di epurare la società esponendo alla gogna e uccidendo il proprio simile ritenuto l’untore in grado di nuocere all’auto-conservazione: unico scopo della razza umana.
E questo più che fantascienza è realtà perché richiama alla mente dello spettatore la pandemia da Covid-19 che di fatto ha alterato il sistema delle relazioni. Lo spettatore non deve fare lo sforzo di immaginare una pandemia, la deve solo riportare alla mente e condividere con i protagonisti le ansie e le incertezze di un domani sempre meno a misura d’uomo. Più lo scontro diventa duro più si fa largo la pesante riflessione: l’uomo merita di continuare a vivere? Merita il suo posto nel mondo?
È Gus a rispondere a questa domanda: a causa della loro cattiveria, del loro continuo depredare la natura, del loro senso di superiorità rispetto agli animali, gli umani non meritano di sopravvivere. L’insostenibilità delle azioni umane porta il bambino cervo a elogiare gli animali (e gli ibridi) che vivendo in sintonia con la natura non la distruggono, ma la rispettano. Il mondo deve appartenere agli ibridi perché sono gli unici a riconoscere il valore di tutto ciò che li circonda. Gli umani sono la malattia, l’Afflizione è la cura.
L’eroe-bambino prende consapevolezza del mondo e di sé durante un lungo viaggio che lo porta dal verde Yellowstone alla candida Alaska. Protetto dal bosco in cui cresce, nascosto all’incapacità del mondo di riconoscerlo come una qualsiasi dimensione dell’universo, Gus si trova lungo le strade di un mondo cieco e scollegato dalla natura, a scoprire i lati oscuri e a volte accoglienti dell’umanità. Il bambino cervo conosce e si confronta con la perdita, con l’amicizia, la cattività, la verità celata sulla sua origine e acquisisce una maturità che lo eleva ad essere degno di ereditare il mondo. Ed è proprio questa maturità che determina in lui un cambio di prospettiva sugli esseri umani: l’uomo è un essere complesso e ricco di sfumature, a cui va riservata la possibilità di sopravvivere perché cela la capacità di redimersi. La scoperta della verità avviene tra il candore accecante della bianca Alaska come a volerla rendere (la verità) pura e incontaminata.
L’origine del virus e di Gus stesso (creato in laboratorio) è lo specchio in frantumi su cui si riflette il rapporto di potere, di controllo, di assoggettamento, di sfruttamento che l’uomo ha imposto sulla natura e sulla vita stessa. Un rapporto privo di connessione, pregno di negazione di un sapere degli antichi, di senso della vita. Tutto è dato perché è questo il compito che deve assolvere la natura. Una narrazione semplice quella di Sweet Tooth che punta il dito sul concetto di Antropocene e Capitalocene di Moore (2017) in cui trionfa l’egoismo umano sulla natura e arranca l’azione pro-ambientale.
Nella stratificazione delle ere geologiche e socio-culturali l’uomo lascia traccia della sua forza imponente e impattante (tellurica) rendendo sempre più incerto il suo futuro. E se nel finale di Sweet Tooth l’estinzione pacifica degli umani si accompagna alla celebrazione degli ibridi, nelle nostre società complesse non sembra esserci nessuna specie vincitrice.
Riferimenti bibliografici
J.W. Moore, Antropocene o capitalocene? Scenari di ecologia-mondo nella crisi planetaria, ombre corte, Verona 2017.
Sweet Tooth. Ideatore: Jim Mickle; interpreti: Nonso Anozie, Christian Convery, Adeel Akhtar, Stefania LaVie Owen, Dania Ramírez; produzione: Team Downey, Warner Bros. Television, Nightshade; distribuzione: Netflix; origine: Stati Uniti d’America; anno: 2021.