…è semplicemente impossibile tacere della propria vita.
Nel 1918 Pavel Florenskij stipula un contratto per l’edizione di tutti i suoi scritti. Tra questi, spiccava un’opera in più volumi, mai completata, di cui conosciamo soltanto alcuni saggi, perlopiù rivolti alla filosofia del linguaggio. Nonostante la sua collaborazione con il governo sovietico, con una serie di ricerche nel campo dei materiali elettro-isolanti e con la direzione dell’Enciclopedia tecnica, Florenskij non rinnegherà mai la sua adesione all’ortodossia, culminata nel 1911 nella consacrazione a presbitero. Florenskij sarà accusato di essere membro della direzione dell’organizzazione controrivoluzionaria “partito per la rinascita della Russia”, organizzazione inesistente e, sulla base di una falsa deposizione, sarà condannato a dieci anni di lager nel 1933, quindi fucilato nel 1937. Il titolo dell’opera era Allo spartiacque del pensiero. Lineamenti di una metafisica concreta.
La nuova opera teoretica di Massimo Cacciari la omaggia esplicitamente sin dal titolo, come a voler richiamare il progetto filosofico, rimasto in gran parte inascoltato: costruire un dialogo tra le scienze dopo le rivoluzioni epistemologiche del Novecento e la metafisica, intesa come capacità di riconoscere i nessi, le analogie, alla ricerca di quei principi che diano il senso all’operare delle scienze (ivi, p. 409). Nell’insieme della quadrilogia che Metafisica concreta va a formare con Dell’Inizio, Della cosa ultima, Labirinto filosofico, è difatti il rapporto tra scienza e filosofia quello che in quest’ultima fatica di Cacciari emerge come il problema, intorno al quale dispiegare un dispositivo teorico che nelle sue linee fondamentali è quello fissato in Dell’Inizio e Della cosa ultima, maggiormente concentrate invece sulla relazione tra filosofia e teologia.
Un rapporto tra scienza e filosofia che, al modo di Florenskij, non segue né la direzione della subordinazione gerarchica, che si concluderebbe in un riduzionismo (la filosofia che si legittima attraverso criteri di dimostrazione ripresi dalle scienze), né quella di una totale separazione, che renderebbe la filosofia una fede senza sapere, se non un vuoto esercizio retorico. Che sia questo il problema, lo suggerisce una nota su un autore, Pareyson, molto vicino nella sua ricerca tarda (Ontologia della libertà in particolare) alle prospettive schellinghiane tramite le quali Cacciari ha posto il pensiero dell’Inizio in chiave anti-hegeliana. «La mancata attenzione sul nesso tra una ontologia della libertà e la metafisica implicita nella contemporanea scienza della natura è forse il limite maggiore della filosofia di Pareyson» (ivi, p. 267).
La complessità dell’opera si mostra innanzitutto nell’ampiezza dei riferimenti teorici e artistici che in essa sono dispiegati. Proviamo a metterli in ordine. Il dispositivo teorico che Cacciari varia dai tempi di Dell’Inizio è quella di un neoplatonismo, che sviluppa e tiene insieme le due ipotesi dell’Uno irrelato e dell’Uno-che-è, dell’Uno-totalmente Altro e dell’Uno che articola e congiunge la molteplicità degli enti. L’Inizio è Omnipossibilità, irriducibile all’idea di Causa, di motore immobile, di sostanza prima, di origine; comprende al suo interno anche l’impossibile e trova la sua manifestazione analogica nell’assoluta singolarità, escatologica, della cosa.
Questo dispositivo, oltre ai luoghi più canonicamente conosciuti (Plotino, Proclo, Cusano, Bruno, Leibniz, Schelling), trova ampio spazio nella filosofia religiosa russa, da Solov’ëv a Sergej Bulgakov e Florenskij, con cui Cacciari dialoga dai tempi di Icone della Legge. L’idea di scienza, in Metafisica concreta più ampiamente sviluppata, ritorna invece all’orizzonte del pensiero negativo che caratterizzava opere come Krisis. La guida perciò un principio di ragione insufficiente, al modo dell’uomo senza qualità musiliano. «Nessun effetto è mai perfettamente riconducibile a una causa, e nessuna causa potrà valere come ciò che non può non essere, se non nel senso in cui ciò vale per ogni singolo ente, di cui dobbiamo predicare che è, ovvero l’innegabilità» (ivi, p. 260).
Questa indeterminazione è prospettiva che sul piano logico e sperimentale si rende compatibile con l’orizzonte ontologico dell’Omnipossibilità come Inizio. Tutto ciò che accade non è riconducibile a un’Origine che contenga tutto in sé in potenza; in modo speculare i nostri comportamenti non sono riconducibili alla loro base biologica, in quanto ognuno di questi non è semplice effetto. Tale principio di ragion insufficiente è ricostruito genealogicamente, risalendo ben al di qua dei dibattiti della Vienna musiliana, rintracciando nella lettura metafisica del copernicanesimo operata da Bruno e nella “gigantomachia” tra Spinoza e Leibniz le radici per cogliere le aporie del Moderno (Galilei, Cartesio): «La natura-Physis è artificiosa, poetica dobbiamo dire, non un sistema di res inanimate che la scienza cataloga, misura e ordina secondo leggi» (ivi, p. 105). O, detto in altre parole, si tratta di riconoscere che la natura ordinata secondo rapporti matematici non esaurisce il conatus morfogenetico che pervade ogni elemento (ivi, p. 108).
Lo sguardo metafisico non vuole andare al di là, non cerca “un mondo dietro il mondo”, ma vuole cogliere i nessi a cui i diversi discorsi scientifici, proprio nel loro misurare, nel loro mettere ordine, alludono. «Oltre assume qui in sé il senso pieno del cum, nulla di più alto o più nobile o sublime, nessuna pretesa di philosophia prima» (ivi, p. 409). Tale dispositivo teorico mette perciò in tensione dialogica il problema epistemologico (le regole dei vari ordini discorsivi della scienza) e ontologico (l’Inizio come Omnipossibilità). Questo Inizio-omnipossibilità a sua volta rimanda a un Fine incalcolabile, che sopravanza qualsiasi scopo determinato.
Questa escatologia, ampiamente sviluppata in Dell’Inizio in una chiave prossima al teopaschismo, permette di rintracciare la radice comune del messianesimo ebraico (da Rosenzweig a Benjamin) e di un cristianesimo tragico, che di nuovo trova nella Russia il suo volto esemplare, il Dostoevskij della Leggenda del Grande Inquisitore, il Dostoevskij in grado di elaborare nella forma narrativamente più suggestiva la tensione tra lo sforzo katechontico di arresto del Male e il salto impensabile dato dal ritorno, dalla parousía di Cristo. È un’escatologia che prova a pensare l’Impossibile, prova a scardinare il “Muro di pietra” secondo l’espressione dostoevskiana; un’escatologia che cerca un’ultima parola diversa da quella di Heidegger (morte come condizione intrascendibile del Dasein) o da quella di Severino (morte come illusione nichilista, che non riconosce la struttura originaria dell’essere). Questa breve ricostruzione non fa giustizia comunque all’ampiezza del disegno di Cacciari, in cui riemergono, a volte come piccole schegge di verità, anche altri meridiani del pensiero (Francesco d’Assisi, Dante, Kafka, Gödel, oltre naturalmente gli antichi “maestri” Schopenhauer, Nietzsche, Wittgenstein), tutti convergenti verso un’interrogazione metafisica dell’essente e della sua liberazione. Il titolo ripreso da Florenskij sembra suggerire l’idea di un’opera di ricapitolazione, nel quale far suonare tutti i diversi timbri della propria ricerca. Del resto, oltre alle opere già citate, risuonano echi dei numerosi studi condotti da Cacciari negli ultimi anni, da Il potere che frena a Il lavoro dello spirito, da Doppio ritratto a La mente inquieta o Paradiso senza naufragio.
Quello che manca, rispetto alla sua opera maggiore Dell’Inizio, è la capacità di dare a queste schegge una forma. L’articolazione di Metafisica concreta ripercorre, per quanto in forma non dichiarata, una storia del rapporto tra filosofia e scienza, aggrumandosi attorno a tre epoche, la filosofia classica greca, il dibattito moderno tra Cartesio e idealismo, la svolta epistemologica d’inizio Novecento anticipata da Schopenhauer e Nietzsche. In questo modo però emerge una tensione tra la prospettiva anti-hegeliana, e perciò antistoricista della ricerca di Cacciari, e il suo cercare, dietro l’andamento comunque saggistico, una forma sistematica che non trova altro criterio se non quello di ripercorrere appunto le grandi svolte della storia del pensiero occidentale e trovare quindi di nuovo nella Storia il proprio baricentro, finendo per rendere meno forte la distinzione tra Principio e Logos, ossia tra l’Omnipossibilità e la sua manifestazione non necessaria. In questa metafisica concreta risuona un’idea di verità che trova in un breve riferimento etimologico di Florenskij la sua chiave. Istina (verità) richiamerebbe il sanscrito as-u-s, respiro vitale, asu-ra-s, vivo, vivente: la verità è «vita vera dell’essente, non risolvibile nelle forme del suo divenire» (ivi, p. 218). La domanda metafisica è la domanda di quell’ente atopos che cerca, nelle trame che costruisce e si dispiegano attorno al suo errare, la possibilità di costruire nuove strade, lì dove altri riconoscono soltanto deserti o boschi non attraversabili.
Dell’Inizio ha dato vita a una metafisica che provava a immaginare l’idea di liberazione in una chiave non dialettica e, ancor prima, non riconducibile a un Principio-sostanza. È stato uno dei modi con i quali la filosofia italiana ha elaborato il congedo dalla dialettica marxista, dopo il contraccolpo determinato storicamente dal fallimento del socialismo reale e teoreticamente dalla lezione del nichilismo di Nietzsche. Quello è stato il suo respiro. Il vero banco di prova per la tenuta di quel dispositivo teorico c’è stato però in questi ultimi anni, tra la crisi planetaria legata alla pandemia, che ha interrogato il rapporto tra scienza e dispositivi governamentali, e la rottura dell’ordine geopolitico che aveva governato gli ultimi decenni, con la guerra in Ucraina. Cacciari è intervenuto in entrambi i dibattiti, con posizioni anche controverse (e discutibili, almeno per chi scrive) ma, come già nelle sue altre opere teoretiche, in Metafisica concreta la sua voce singolare si ritrae.
Gli snodi decisivi di Metafisica concreta proprio a quei temi alludono, tra una scienza che riconosce alla metafisica il compito di interrogare l’orizzonte di senso nel quale vivere, e una teoria politica che insiste sulla tensione tra prudenza antiapocalittica del katechon e immaginazione escatologica. Il respiro dell’essente, ossia l’assoluta singolarità che si è confrontata con tali urti del pensiero, è però celato dietro la riarticolazione della tradizione filosofica. In tal modo, qualsiasi evento pare già neutralizzato, già ricondotto a una dimensione atemporale, in cui il pensiero torna costantemente al suo rapporto con il Principio: ma è un ritorno sempre uguale. Lo sguardo sub specie aeternitatis, pur ricordando costantemente la novitas dell’evento, non lo interroga mai nel suo effettivo dipanarsi e nella sua continua alterità, nella sua differenza e nelle sua relazione con ciò che è stato. Nel suo respiro.
Massimo Cacciari, Metafisica concreta, Adelphi, Milano 2023.