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Con l’espressione “mediazioni pandemiche” voglio riferirmi, in senso ampio, a come la pandemia è stata mediata attraverso le tecnologie audiovisive e le immagini in movimento. Nel parlare di mediazioni pandemiche intendo precisamente la pandemia di Covid-19 e non (come le tv e i media americani continuano a fare) la pandemia di Coronavirus. Il coronavirus Sars-Cov-2 non è la stessa cosa della malattia Covid-19. I coronavirus esistono da secoli. Sars-Cov-2 è un nuovo coronavirus, tra i sette che sono stati identificati come capaci di infettare l’essere umano. Il Covid-19 è la malattia causata da Sars-Cov-2. La pandemia propriamente parlando si riferisce alla malattia, non al coronavirus che ne è la causa. Questa distinzione è importante nel momento in cui si individuano diverse forme di mediazione, che includono una moltitudine di elementi, umani e non umani: il virus Sars-Cov-2, la virulenta propagazione di Covid-19, le pandemie finzionali, la trasmissione zoonotica attraverso corpi umani e non umani, trasporti, comunicazione, infrastrutture commerciali del capitale globale, salute pubblica, biotecnologie, industrie farmaceutiche, istituzioni federali, statali e locali e così via.

Come ho fatto negli ultimi venticinque anni, attraverso prospettive differenti, vorrei distinguere due modi diversi di intendere la mediazione pandemica: in senso tradizionale, come forma di comunicazione che interviene per fornire una rappresentazione degli eventi pandemici dopo che questi si siano verificati e come “mediazione radicale”, in cui la mediazione costituisce il luogo in cui il pensiero e l’azione hanno già preso avvio. Iniziare con la mediazione significa iniziare nel mezzo delle cose, piuttosto che dalla fine o dall’inizio. A dispetto di tutte le varie e controverse supposizioni sulle sue origini, il modo migliore per comprendere il Covid-19 è quello di intenderlo come una malattia che emerge nel mezzo di un mondo in cui i coronavirus sono sempre esistiti.

I virus, dobbiamo ricordarlo, non sono cellule viventi, ma «pacchetti di acido nucleico e proteine», che necessitano di attaccarsi ad un ospite per potersi riprodurre. Tra gli scienziati che studiano i coronavirus, si è largamente concordi nel ritenere che «“ACE” media l’infezione di Sars-Cov-2». Questa mediazione virale non-umana è ciò che crea la malattia Covid-19, la sindrome respiratoria prodotta dal virus che entra nelle cellule sane e si riproduce secondo le istruzioni codificate nella sua stringa di RNA. Ma anche questo accesso iniziale alla cellula può essere visto come una forma di mediazione che genera l’infezione virale. In altre parole, in giro c’è un numero enorme di virus Sars-Cov-2, trasmessi per via aerea, ma il virus “vive” come infezione solo dopo la sua mediazione da parte della proteina S di una cellula ospite. È sbagliato considerare tale mediazione come successiva alla comparsa del virus e della malattia; la mediazione radicale della proteina S e dell’enzima ACE2 è ciò che permette al virus di riprodursi, e che in ultima analisi genera, con la cooperazione umana e non umana del capitalismo globale, la pandemia COVID-19.

Come ha spiegato Eben Kirksey, questa mediazione è diversa dalla distinzione logica o filosofica tra umani e non-umani: «Dal punto di vista virale, i confini delle diverse specie animali sono irrilevanti. Ciò che conta, quando i coronavirus infettano gli animali e gli esseri umani, è la forma di un recettore specifico sulla membrana esterna delle nostre cellule. Una certa proteina “spike” del coronavirus si aggancia a un recettore chiamato ACE2, producendo una fusione delle membrane delle cellule virali e ospiti. Se c’è una buona corrispondenza tra lo spike e il recettore, il virus entra». Questa mediazione virale è ciò che causa la malattia Covid-19, l’infezione respiratoria prodotta dal virus che penetra nelle cellule sane e si riproduce.

In termini più tecnici: «Un gran numero di proteine S glicosilate coprono la superficie del Sars-Cov-2 e si legano al recettore della cellula ospite, l’enzima di conversione dell’angiotensina 2 (ACE2), mediando l’ingresso della cellula virale». «Come nel caso di altri coronavirus, la proteina S di Sars-Cov-2 media il riconoscimento del recettore, l’attaccamento cellulare e la fusione durante l’infezione virale». «La proteina S si lega ad ACE2 attraverso la regione RBD della subunità S1, mediando l’attaccamento virale alle cellule ospiti sotto forma di un trimero». Si potrebbe ritenere che questa definizione virologica di mediazione significhi qualcosa di molto diverso da come normalmente si intende la mediazione nell’ambito delle arti e delle scienze umane e sociali. E ciò in parte è vero, se ci riferiamo alla mediazione così come è stata intesa nella tradizione occidentale a partire da Hegel. Ma tale mediazione virologica, questa è la mia tesi, è in sintonia con il concetto di mediazione radicale, che riguarda tutte le forme di mediazione umana e non umana, naturale e tecnica.

Pensare il Covid-19 nei termini della mediazione radicale significa ricordare che Sars-Cov-2 è “zoonotico”, cioè passa dai corpi non umani a quelli umani. David Quammen ha chiarito che per le malattie zoonotiche, non esiste una distinzione logica o epidemiologica tra ospiti umani e non umani. Superando i confini tra umani e non umani, il COVID-19 agisce anche come una forma di mediazione virale che “rompe” i confini, muovendosi dai corpi organici a quelli inorganici, dal suo contagio virologico, attraverso le gocce di aerosol, al suo contagio mediologico, attraverso la circolazione della stampa, della televisione e dei media interconnessi in rete.

Non possono essere tracciati rigidi confini ontologici tra la pandemia di Covid-19 e la mediazione pandemica per quanto riguarda le quarantene e altri atti politici e sociali. Detto altrimenti, la mediazione radicale di Covid-19, estende la portata della pandemia e include la sua mediazione da parte dei notiziari, dei politici e del pubblico in generale. Questo non vuol dire che gli effetti della quarantena o di altre mediazioni pandemiche sui corpi umani siano così gravi come gli effetti dell’essere infettati da Covid-19 o, come pensa un gran numero di cittadini e politici, che le quarantene sono una cattiva politica dello Stato. Significa, piuttosto, che lo sconfinamento ontologico della mediazione di Covid-19 appiattisce le distinzioni tra la malattia e la mediazione, allo stesso modo in cui il virus non fa la distinzione tra corpi umani e non-umani.

Ma è possibile che  le mediazioni di COVID-19 siano socialmente e politicamente più contagiose del virus stesso? Sono state infettate più persone dalla paura mediata della malattia che dalla malattia stessa? Può darsi. Voglio enfatizzare, tuttavia, un aspetto diverso, ma non slegato, della mediazione pandemica: non si può fare una distinzione ontologica tra la malattia virale e la sua mediazione. La mediazione COVID-19 non è una forma di rappresentazione ontologicamente distinta dal virus, ma un’intra-azione che genera e riproduce la realtà della pandemia in modo molto simile a quanto fa il virus stesso.

Non usiamo semplicemente una metafora, quando diciamo che durante questo lungo 2020 la stampa, la televisione e i media interconnessi in rete hanno catturato il Covid-19 e lo hanno trasmesso al pubblico. A differenza della nozione popolare di virus informatici, pensare al Covid-19 attraverso il concetto di mediazione radicale non significa ragionare in termini di metafora ma di metonimia. La mediazione radicale di Sars-Cov-2 non è, come nel caso di una metafora, separata e analoga al Covid-19, ma è metonimicamente contigua ad esso. Questa contiguità tra l’infezione mediologica e quella virologica, nei corpi o nei sistemi immunitari, è esattamente il modo in cui i resoconti scientifici utilizzano il concetto di “mediazione” per descrivere il funzionamento di Sars-Cov-2 nel creare l’infezione di Covid-19. Sebbene possa sembrare che la mediazione venga utilizzata in modo analogo alla sua convenzionale denotazione nel pensiero occidentale, questa mediazione virale non si colloca propriamente tra le goccioline di aerosol del coronavirus e il suo ospite umano o non umano, o tra il virus Sars-Cov-2 e la malattia Covid-19.

Poiché il virus è parassitario nei confronti del suo ospite, di cui ha bisogno per sopravvivere, la mediazione dell’ingresso del Sars-Cov-2 nella cellula ospite, attraverso la sua proteina di superficie, non costituisce solo la contagiosità del Covid-19, ma anche il suo funzionamento, dal momento che legarsi a un ospite è ciò che garantisce la sua esistenza continua. In Sars-Cov-2 e nel Covid-19, è la mediazione che genera la contagiosità, nel tenere insieme proteine, geni e un ospite adatto. Senza la mediazione radicale di queste specifiche proteine S glicolate, che uniscono il virus ai recettori ACE2 dell’ospite umano o non umano, il Covid-19 non esisterebbe.

Né esisterebbe la mediazione pandemica, che rimedia e premedia la pandemia di Covid-19 attraverso la stampa, la televisione e i media interconnessi in rete. Dal momento che questi non richiedono il contatto con specifiche goccioline aeree, ma soltanto con “pacchetti di mediazione”, le mediazioni pandemiche possono essere trasmesse molto più facilmente del virus stesso. Queste mediazioni schermiche possono funzionare anche per “schermare” il Covid-19 dai nostri corpi e arginare la diffusione della malattia favorendo dei cambiamenti nel comportamento umano individuale e collettivo, a cui tutti abbiamo partecipato negli ultimi quindici mesi. Continuiamo, infatti, a non tenere eventi in presenza, le persone esitano ancora a stringersi la mano o ad abbracciarsi quando si incontrano, e istituzioni pubbliche fondamentali come scuole, musei e biblioteche hanno cominciato solo ora a riaprire.

Ma nel sottolineare questi cambiamenti possiamo anche notare che le mediazioni pandemiche hanno lavorato per incoraggiare lo sviluppo dell’immunità alla malattia. Probabilmente l’effetto più potente della mediazione pandemica è stato il suo impatto sullo sviluppo, la produzione e la distribuzione dei vaccini, la cui efficacia dipende dalla volontà e dalla possibilità che hanno le persone ad assumerli. Raggiungere un’immunità diffusa attraverso la vaccinazione, negli Stati uniti, ma forse anche altrove, può essere difficile tra le persone di colore che nutrono profondi sospetti, basati storicamente sulla condotta dell’industria medica e farmaceutica. L’immunità di gregge attraverso la vaccinazione risulta ostacolata da milioni di sostenitori di destra di Trump che si informano con Fox News o attraverso le pagine dei social network di destra, che li incoraggiano a dubitare della realtà della pandemia stessa e a temere i vaccini. L’efficacia epidemiologica del vaccino è inseparabile dalla sua mediazione. I vaccini non saranno in grado di produrre l’immunità di gregge se la gente si rifiuta di prenderli perché vede nella pandemia una fake news.

Pensare, allora, la pandemia di Covid-19 attraverso il concetto di mediazione radicale significa pensare alle molteplici mediazioni (per nominarne solo alcune) di quarantene, superficie virale delle proteine, protocolli ospedalieri e efficacia dei vaccini. E pensare la mediazione radicale in termini di Covid-19 significa ricordare che nell’era del coronavirus la mediazione non può essere più confinata nell’ambito dei media e della comunicazione, ma deve essere teorizzata come fondamentale per la generazione e la riproduzione di quello che William James chiama «universo pluralistico», rispetto a cui, non diversamente dal COVID-19 stesso, ci troviamo ineluttabilmente e inevitabilmente nel mezzo. 

*Il testo è un estratto della Keynote Lecture che Richard Grusin ha tenuto alla NECS Conference 2021, organizzata dall’Università di Palermo, a cura di Alessia Cervini. La traduzione è di Angela Maiello.

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