Dopo una lunga e travagliata gestazione, la quinta e ultima stagione di Yellowstone è giunta al termine. In seguito alla distribuzione dei primi otto episodi, avvenuta in Italia nel marzo 2023, la stagione e la serie tv si sono concluse a circa un anno di distanza. Nel frattempo l’adesione di Taylor Sheridan allo sciopero della WGA (Writer Guild of America), l’accavallarsi di molti progetti commissionati dalla Paramount allo showrunner e l’impegno cinematografico di Kevin Costner per la realizzazione di Horizon: An American Saga (2024), hanno portato due tra le più importanti figure del western contemporaneo a fronteggiarsi in un lungo scontro a distanza, fatto di dichiarazioni e accuse reciproche sulle riviste di settore. A subire i contraccolpi di questa “faida” sono state in primo luogo la sceneggiatura e la struttura narrativa di uno dei pochi – si fa presto a dire ultimi – esempi recenti di serialità lunga e molto popolare, con ricadute sul versante dei discorsi della critica e dei fan.

Come è stato giustamente notato, Yellowstone ha contribuito a un processo di rimediazione della storia culturale degli USA, operando un ribaltamento dei cliché e una riscrittura dei paradigmi legati al western, in particolare la subalternità attribuita alle figure femminili e ai nativi. Cosa accade all’“Epic Return” – è questo il claim, preceduto dalla frase “Generations of Blood Have Led to This”, che ha accompagnato la ripresa della serie tv – della saga familiare dei Dutton quando il patriarca deve, per così dire, scomparire dal racconto?

Il personaggio di John Dutton costituisce il centro nevralgico attorno al quale ruota l’intera narrazione e dal quale si originano le contraddizioni etiche e morali che consumano sia lui sia gli altri comprimari. Egli è l’erede del più vasto ranch collocato nella Paradise Valley in Montana, in un territorio che i nativi, ora confinati nella fittizia riserva di Broken Rock, donarono al suo antenato James Dutton, la cui epopea è narrata nel prequel 1883 (2022). Le origini dell’attaccamento di John a questa proprietà e a un paesaggio rimasto pressoché incontaminato per sette generazioni sono esemplificate nella decima puntata della seconda stagione. Nella sequenza, restituita attraverso un flashback, John cavalca per l’ultima volta assieme all’anziano padre, da tempo malato di cancro, e promette a quest’ultimo che non avrebbe mai permesso a nessuno di portargli via la loro terra.

È attorno a John e al suo ostinato protezionismo verso il ranch, esercitato bilanciando influenza politica e violenza, che le linee narrative delle cinque stagioni si sviluppano e si sovrappongono, restituendo allo spettatore un’architettura spiraliforme che tende a risucchiare ogni possibile via di uscita. La saldatura tra la terra e il sangue istituisce una prassi che diventa ragione di vita e di inevitabile fallimento per l’intera famiglia. La salvaguardia di uno spazio immenso, descritto dai suoi abitanti come ancora selvaggio, e dai confini difficilmente controllabili si concretizza in una serie di battaglie per sopperire alle perdite economiche derivanti dall’allevamento, per contrastare le cicliche incursioni di turisti multimilionari e gli interessi di investimento delle grandi corporation e, più in generale, per opporsi alla gentrificazione dell’Ovest. È attraverso il corpo intempestivo e inattuale di Costner, speculare a quelli di Harrison Ford in 1923 (2022 – in corso) e di Sylvester Stallone in Tulsa King (2022 – in corso), che Sheridan è riuscito a trasformare la frontiera da linea mobile, foraggiata dal mito della scoperta, a «limite per definire e ridefinirsi. Da immagine originaria a cui tutto dovrebbe sottomettersi, la frontiera si riduce a una simulazione perpetua, svuotata della sua possibilità, per farsi strategia di affermazione del potere» (Bea 2023, p. 27). La scrittura di Sheridan ripensa e in parte sopprime una delle figure portanti del western, quella del pioniere, il cui movimento esplorativo è alimentato dal desiderio di oltrepassare costantemente le frontiere. Costner-Dutton non ambisce alla conquista di nuovi e inesplorati orizzonti, bensì agisce per tutelare uno stile di vita ormai desueto, per affermare in controtendenza la sua identità di cowboy e, in ultima istanza, per proteggere la sua terra (“the land” è il leitmotif della serie tv). Anche la decisione, presa con molta reticenza alla fine della quarta stagione, di candidarsi alla carica di Governatore del Montana è motivata da una logica dell’azione tesa a piegare le leggi statali agli interessi familiari, a costruire una barriera contro il progresso neoliberista, i trend turistici e le politiche ambientaliste.

Il processo di riscrittura del mito e l’affresco dell’attualità statunitense compiuto dalla Yellowstone rischiano di perdere la loro efficacia narrativa ed estetica quando, per causa esogene, Kevin Costner abbandona il set e John Dutton scompare dalla trama. Gli ultimi cinque episodi della stagione finale fanno i conti con questa dipartita, messa in scena attraverso un suicidio, un’onta che rischia persino di sottrarre al patriarca il ruolo di eroe tragico. Al contempo, la famiglia Dutton si trova costretta a sopravvivere alla perdita, nonostante il dolore provocato dai ricordi e la necessità di preservare e, almeno in parte, tradire l’eredità paterna.

Beth Dutton (Kelly Reilly), esibisce con disinvoltura le cicatrici prodotte delle scelte paterne e dall’odio generato da queste ultime. Nel corso delle stagioni, le sue doti imprenditoriali e la sua spregiudicata capacità di primeggiare nell’universo maschile della finanza globalizzata sono state piegate dal padre alla difesa del ranch. Muovendosi abilmente tra fondi fiduciari e cavilli giuridici, riesce ad attutire le difficoltà economiche della proprietà e a proteggerla dalle continue ingerenze esterne. Spinta dall’amore per il padre e dal dolore per aver causato involontariamente la morte della madre, Beth riesce a chiudere i conti con il passato e a finalizzare la sua vendetta. Aiutata dal marito e dall’addestratore Travis Wheatley, interpretato da uno Sheridan un po’ sopra le righe, vende la mandria, i macchinari e i cavalli per saldare una parte dei debiti del ranch. Inoltre, dopo la conferma che dietro la morte di John c’è la Market Equities, il colosso immobiliare da tempo interessato ad appropriarsi di Yellowstone, accusa di complicità il fratellastro Jamie (Wes Bentley) e lo uccide (5×14). I due sono opposti speculari, entrambi vittime di un’educazione che ha condotto la prima a sacrificarsi per gli interessi della proprietà familiare e il secondo a diventare un egoista doppiogiochista, travestito da Procuratore generale. Jamie è colpevole di essersi fatto corrompere dalla Market Equities e di aver tradito la famiglia adottiva. Inoltre ha ingannato l’adolescente Beth quando, a causa di una gravidanza, l’aveva condotta in una clinica della riserva e aveva dato l’assenso per sottoporla a un’isterectomia al posto di un aborto.

Kayce (Luke Grimes) è il figlio marchiato sul petto – come i cowboy che hanno deciso di restare fedeli al ranch – perché, contro la volontà del padre, ha scelto di amare e di avere un figlio con Monica (Kelsey Asbille), una nativa della riserva. Personaggio di confine tra due culture, capace di introdurre uno scarto tra ciò che è stabilito dalla storia e ciò che è necessario alla sopravvivenza della sua famiglia, è anche colui che rielabora il legame tra la comunità e la terra. In primo luogo fa eseguire un riesame sul cadavere del padre, rivelando così l’infondatezza del suicidio (5×11). Inoltre, nell’ultima puntata della quinta stagione, è lui a trovare la soluzione per salvare il ranch da una selvaggia lottizzazione e i Dutton dall’insolvenza sulla tassa di successione. Anche grazie alle visioni avute durante i riti di iniziazione della tribù di Broken Rock (4×9, 4×10), l’ultimo erede del ranch è consapevole di dover fare una scelta e per questo cede le terre di famiglia a Thomas Rainwater (Gil Birmingham), il Presidente delle tribù confederate di Broken Rock, per lo stesso irrisorio prezzo con cui i suoi antenati le avevano acquistate. Includendo il ranch nel territorio indiano, il Governo e i privati non potranno più depredare questa terra che sarà dunque preservata nel suo status originario.

Attraverso il gesto di vendetta di Beth e quello di restituzione compiuto da Kayce, il legame tra la terra e il sangue è finalmente sciolto e il futuro dei Dutton può rivolgersi verso nuovi orizzonti. Nel finale, mentre i nativi smantellano la casa dei Dutton e si riappropriano di quanto avevano concesso a questi ultimi più un secolo fa, la profetica voce narrante di Elsa, protagonista di 1883, si insedia tra le immagini per ribadire l’indifferenza della terra selvaggia sia verso coloro che pretendono di possederla sia per quanti soffrono nel tentativo di convivere con essa.

Se il western è una longeva macchina narrativa in grado raccontare la storia americana (Crespi 2024), Sheridan è un autore capace di rifunzionalizzare «i codici del western creando costanti crepe e contropoteri […] che ne attualizzano i discorsi» (Masciullo 2023, p. 13). E ancora: se la fascinazione che il western esercita ancora oggi risiede nella sua capacità di operare una continua dialettica tra variazione e ripetizione a partire da un mondo che ogni opera costruisce attorno alle origini e alle contraddizioni di un Paese (Bellour 2023), lo sceneggiatore, regista, showrunner texano è riuscito a ripensare un genere classico all’interno degli attuali dispositivi narrativi della serialità e del cinema. Le sue storie ci permettono di osservare il contemporaneo a partire da un immaginario classico, a tratti persino anacronistico.

In fondo è proprio la volontà di riflettere sul presente e di condensarlo in immagini e racconti che si ostinano a richiamare codici e forme del passato a fare in modo che i temi e le forme di rappresentazione presenti in Yellowstone riemergano anche nelle serie tv distaccate dall’universo narrativo dei Dutton. Si pensi al rapporto tra giustizia e legalità e alla convivenza tra detenuti e società civile in Mayor of Kingstown (2021 – in corso); al conflitto con l’altro che segna l’esistenza della protagonista di Lioness (2023 – in corso), un agente speciale a capo di una task force il cui obiettivo è di infiltrarsi nella vita dei potenziali terroristi; infine al controllo del territorio e delle sue risorse petrolifere in Landman (2024 – in corso).

Riferimenti bibliografici
F. Bea, The last cowboy. Corpi-frontiera, in “Sentieri Selvaggi”, n. 15, 2023.
R. Bellour, Il grande gioco, in Id., a cura di, Il western. Fonti, forme, miti, registi, attori, filmografia, Cue Press, Imola (Bo) 2023.
A. Crespi, Cinema western, Istituto dell’Enciclopedia Treccani, Roma 2024.
P. Masciullo, L’ecosistema narrativo complesso di Taylor Sheridan, in “Sentieri Selvaggi”, n. 15, 2023.

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