Il 22 settembre 2004 appare per la prima volta sul network ABC la sigla di Lost. L’episodio pilota è introdotto dal logo della serie, in font tridimensionale bianco, fluttuante in campo nero. Questo brevissimo inserto (appena 15 secondi) è accompagnato da un suono magmatico di intensità crescente, che si sfrangia in dissonanze sino a scomparire. Ideazione ed elaborazione degli scarni titoli di testa si devono integralmente a J. J. Abrams, che in sceneggiatura descrive l’effetto sonoro con gli aggettivi “ominous and foreboding” (minaccioso e carico di presagi). Questo è l’atto di fondazione di uno dei meccanismi narrativi più efficaci della serialità televisiva contemporanea, quello di Lost, che consiste nel generare interesse per ciò che non si vede, ma si sente. Ce ne occuperemo tra poco.
Nel frattempo il campo visivo dell’episodio è generato dall’immagine dell’occhio, prima chiuso e poi spalancato, di un uomo (per ora) a noi ignoto, che si sveglia nel mezzo di una foresta. L’uomo si alza faticosamente e comincia a correre tra la vegetazione, fino a che non si trova allo scoperto, di fronte al mare: qui la macchina a mano realizza un’ampia panoramica che lascia il personaggio a destra e, con sorpresa dello spettatore, lo ritrova a sinistra. È lo stesso procedimento di disorientamento spaziale che troviamo nella conclusione della prima sequenza di Taxi Driver (Scorsese, 1976), dopo i titoli di testa: Travis Bickle ha appena ottenuto il lavoro alla stazione dei taxi, e una panoramica da destra a sinistra lo fa uscire dall’inquadratura per poi ritrovarlo sul margine opposto alla conclusione del movimento di macchina. E tale analogia discorsiva basta da sola a supportare l’idea dello stile cinematic che caratterizza programmaticamente questa serie televisiva.
Ciò che ci interessa particolarmente è che, nell’incipit di Lost, il personaggio disorientato riesce a situarsi mediante il suono. Segue i rumori e le urla che provengono dalla spiaggia e si trova di fronte agli esiti di un incidente aereo, dunque comincia a soccorrere i superstiti come può. Da qui comincia una lunga e articolata storia di scoperte e disvelamenti, in cui si manifesta prima il suono, poi l’immagine: la potenza dell’acusma, il suono di cui non si vede la fonte, il fantasma sensoriale teorizzato da Michel Chion.
Il suono acusmatico, in Lost, non è una bussola infallibile, tutt’altro. È anzi il veicolo del suo principale enigma: il mistero dell’isola. Il congegno narrativo di Lost si può complessivamente assimilare a una de-acusmatizzazione: è un movimento progressivo verso la visione di ciò che è nascosto ma risuona, come la sigla peraltro esemplifica perfettamente. “The island gradually opens up”, scriveva Julian Stringer in Reading Lost, mentre la serie era ancora in onda. Per tracciare una mappa dell’isola, lo spettatore stesso deve esercitare quello che Jason Mittell (noto cultore della serie) chiama “fandom investigativo” e individuare le fonti sonore, istituendo una pratica di ascolto causale; insomma, deve cercare di capirci qualcosa.
Un esempio di questo processo è la de-acusmatizzazione dello smoke monster, antagonista invisibile che si manifesta nell’episodio pilota come puro suono. Il sound design di questo personaggio deriva dal campionamento di un rumore molto noto ai cittadini e ai visitatori di New York: si tratta del suono emesso dalla stampante di ricevute dei taxi, filtrato e combinato con altri effetti sonori. Questo è il motivo per cui nel primo episodio, ascoltando il suono del mostro, l’unico personaggio newyorchese della serie (una donna afroamericana) dice: “That sound that it made, I keep thinking that there was something really familiar about it”. Questo è molto interessante, perché per la donna il suono è stranamente familiare, come nel concetto freudiano di unheimlich o più ancora come nel concetto di eerie in Mark Fisher: «Il senso dell’eerie è di rado ancorato a spazi domestici circoscritti e abitati: lo incontriamo più di frequente in paesaggi parzialmente svuotati della presenza umana. Che cos’è avvenuto per originare quelle rovine, quell’assenza? Che genere di entità è coinvolta? Che tipo di essere ha prodotto quel grido inquietante?» (Fisher 2018).
Inizialmente questo mostro è rappresentato solo dal suono e successivamente assume la forma di un fumo nero; poi si incarna in alcuni personaggi esistenti e alla fine, nell’ultima stagione di Lost, rivela il suo vero aspetto.
Si è tanto dibattuto, all’epoca, sul finale di Lost; ma la chiusura di questo tipo di narrazioni è assai meno importante della struttura fondata dal pilot, perché il set di regole su cui si basa la serie (in questo caso, una delle regole del gioco è: scopri la fonte sonora), si ricava dall’incipit e non certo dal finale. È questa la differenza strutturale tra film come narrazione audiovisiva definita dalla chiusura e serie come narrazione audiovisiva definita dall’apertura.
Riferimenti bibliografici
L. Bandirali, “The acousmatic island. Notes on Lost’s soundscape”, relazione al convegno Mapping Spaces, Sounding Places: Geographies of Sound in Audiovisual Media, Cremona, 22 marzo 2019.
M. Chion, Un’arte sonora, il cinema. Storia, estetica, poetica, Kaplan, Torino 2007.
M. Fisher, The Weird and the Eeerie. Lo strano e l’inquietante nel mondo contemporaneo, Minimum Fax, Roma 2018.
J. Stringer, “The Gathering Place: Lost in Ohau”, in R. Pearson (ed.), Reading Lost, I.B. Tauris, London-New York 2009.
Lost. Ideatore: J. J. Abrams, Damon Lindelof, Jeffrey Lieber; interpreti: Naveen Andrews, Emilie de Ravin, Matthew Fox, Jorge Garcia, Maggie Grace, Josh Holloway, Malcolm David Kelley, Daniel Dae Kim, Yunjin Kim, Evangeline Lilly, Dominic Monaghan, Terry O’Quinn, Harold Perrineau Jr., Ian Somerhalder, Adewale Akinnuoye-Agbaje, Michelle Rodriguez, Cynthia Watros, Henry Ian Cusick, Michael Emerson, Elizabeth Mitchell, Kiele Sanchez, Rodrigo Santoro, Jeremy Davies, Ken Leung, Rebecca Mader, Nestor Carbonell, Jeff Fahey, Zuleikha Robinson; produzione: ABC Studios, Bad Robot Productions e Grass Skirt Productions; origine: USA; anno: 2004-2010.