Finale di campionato. L’AFC Richmond deve giocare l’ultima partita della stagione contro il West Ham, il suo storico rivale. In palio c’è la vittoria della Premier League, un traguardo fino a pochi mesi prima impensabile per una piccola società come il Richmond. Alla fine del primo tempo, la partita non sembra volgere per il meglio: la squadra avversaria ha segnato diversi gol e il morale dei giocatori è ormai basso. Durante l’intervallo, l’allenatore Ted Lasso decide di pronunciare un discorso di incoraggiamento.
Già dalle prime battute, le sue parole suonano come un lungo addio, nel quale ringrazia e rincuora i vari membri della squadra, infondendo loro nuova fiducia: lui sta per abbandonare il club, ma il Richmond è una famiglia, che non deve smettere di combattere e credere nelle proprie capacità. Ecco allora che, a uno a uno, tutti i calciatori prendono dal loro armadietto un pezzo strappato di carta giallo, sul quale si intravede una scritta blu elettrico. Dopo aver unito le varie parti, la squadra è ormai pronta ad affrontare il secondo tempo con rinnovata determinazione. Gli spettatori già sanno cosa recita la scritta sul foglio ricomposto ma, una volta che i giocatori sono usciti dallo spogliatoio, ne hanno la conferma: «Believe». Credere.
Questa sequenza, tratta dall’ultimo episodio della terza (e, apparentemente, conclusiva) stagione di Ted Lasso, riassume al meglio lo spirito della serie firmata Apple, divenuta in pochi anni un piccolo e a tratti inaspettato fenomeno, capace di intrecciare con ottimi risultati di pubblico e di critica il mondo della serialità con quello dello sport. Nata in sordina, e inizialmente oscurata da produzioni su Apple TV+ più ad alto budget e di maggior appeal divistico come The Morning Show o See, la serie ideata e interpretata da Jason Sudeikis ha rapidamente conquistato il cuore del grande pubblico, diventando uno dei titoli di punta della piattaforma. Ted Lasso si delinea infatti come una storia di aspirazioni, sconfitte e vittorie, che fa dello sport il suo perno narrativo, ma anche una metafora per raccontare qualcosa che oltrepassa la pratica calcistica.
La sinossi è presto detta: un allenatore di football americano – Ted Lasso (Jason Sudeikis), appunto – si trova catapultato in Gran Bretagna, con l’incarico di allenare la malandata AFC Richmond, una squadra di calcio che non si è certo distinta durante il precedente campionato. Quello che non sa è che la nuova proprietaria del club, Rebecca Welton (Hannah Waddingham), lo ha assunto nella speranza che porti la società al definitivo fallimento, così che possa vendicarsi dell’ex marito fedifrago, grande tifoso nonché ex presidente della squadra. Le cose, però, sono destinate a cambiare: quella che doveva essere una conclusiva disfatta si trasforma in una lenta ma inarrestabile ascesa verso il successo, non solo professionale.
Contrariamente a quanto traspare leggendo queste poche righe, Ted Lasso non è però soltanto la storia di Ted Lasso. Rievocando il classico binomio che lega lo sport all’educazione al quotidiano (Isidori 2008), la serie è infatti ancor prima il racconto di vita di uomini e donne – calciatori e imprenditrici sportive sì, ma non solo –, che imparano a convivere con se stessi e con gli altri, nonostante differenti estrazioni culturali, orientamenti sessuali, classi sociali, aspirazioni, età e modi di pensare. E proprio questo elemento sembra diventare, di puntata in puntata e di stagione in stagione, il vero centro nevralgico delle vicende della serie. Perché, come scrive lo stesso Ted Lasso in un biglietto lasciato al giornalista e amico Trent Crimm nell’epilogo della terza stagione: “Non si tratta di me. Non è mai stato così”.
Se spesso si è parlato della «desportivizzazione» dello sport (De Knop 1999), o anche solo di «spettacolo sportivo» (Boyle, Haynes 2009) o di «mediatizzazione» della prassi atletica (Greco 2004), con Ted Lasso si può forse parlare di umanizzazione – per quanto ovviamente finzionale – della narrazione, prima ancora che della pratica, sportiva. Ecco allora che, accanto al protagonista, prende vita un affresco di figure sempre più variegato, il quale consente di toccare temi tra loro diversi ma perfettamente intrecciati.
L’arco narrativo di Sam Obisanya (Toheeb Jimoh), calciatore di origine nigeriana, propone una riflessione sulle differenze culturali ed etniche, sullo sguardo che l’Occidente ha verso altre nazioni, ma anche sulla piaga del razzismo e su come lo sport può affrontarla. Parallelamente, la storyline dell’irlandese Colin Hughes, compagno di squadra di Obisanya e gay non dichiarato, e quella di Trent Crimm, giornalista sportivo fieramente queer, consentono di riflettere sull’accettazione della propria identità sessuale, ma soprattutto sul tema ancora poco affrontato dell’omosessualità nel mondo del calcio professionistico.
Allo stesso modo, la figura di Roy Kent, campione sportivo ormai vicino al ritiro, porta sullo schermo una parabola sull’avanzare dell’età e sulla capacità di andare oltre e reinventarsi, ragionando anche sulla dicotomia gioventù-vecchiaia tra sport e vita quotidiana. Rifuggendo un discorso esplicitamente femminista, ma facendo propria una serie di argomenti cari al post-femminismo, le figure di Keeley Jones, ex modella e aspirante donna d’affari, e la già evocata Rebecca Welton si pongono al centro di questioni e problematiche legate all’imprenditoria femminile, in ambiti – come appunto quello sportivo – di prevalenza maschile. Senza dimenticare le vicende che vedono protagonista lo stesso Lasso, che ruotano attorno a tematiche come quelle della depressione, la malattia mentale e le conflittualità familiari.
Un racconto sportivo, dunque, che diventa un racconto più universale, capace di toccare alcuni grandi temi della nostra contemporaneità. Ma anche una storia di un uomo qualunque, che si trasforma nella storia di tanti uomini e tante donne tra loro differenti, ma più che mai accomunati tra loro. E ancora, un percorso di rivalsa di una squadra di calcio, che sembra alla costante ricerca del successo sportivo, ma che poi si scopre essere una famiglia, e trova in questo la sua più grande vittoria. Sport e vita, vita e sport: perché la pratica sportiva diventa una grande metafora della vita, mentre quest’ultima trova nel mondo dello sport dei punti di contatto. Proprio perché, tanto nello sport, quanto nella vita, non bisogna mai smettere di crederci. Come recita il cartello giallo con la scritta blu da cui siamo partiti e che, non a caso, è diventato il vero simbolo di Ted Lasso.
Riferimenti bibliografici
R. Boyle, R. Haynes, Power Play: Sport, the Media and Popular Culture, Edinburgh University Press, Edinburgh 2009.
G. Greco, L’avvento della società mediale. Riflessioni su politica, sport, educazione, Franco Angeli, Milano 2004.
E. Isidori, Pedagogia dello sport. Verso un approccio critico-riflessivo, in E. Isidori, A. Fraile, a cura di, Educazione, sport e valori. Un approccio pedagogico critico-riflessivo, Aracne, Roma 2008, pp. 19-98.
P. De Knop, Worldwide trends in the Youth Sport, Human Kinetics Publishers, Champaign 1999.
Ted Lasso. Ideatori: Bill Lawrence, Jason Sudeikis, Brendan Hunt, Joe Kelly; interpreti: Jason Sudeikis, Hannah Waddingham, Jeremy Swift, Phil Dunster, Brett Goldstein, Brendan Hunt, Nick Mohammed, Juno Temple, Sarah Niles; produzione: Ruby’s Tuna Inc., Doozer, Universal Television, Warner Bros. Television Studios; distribuzione: Apple TV+; origine: Stati Uniti d’America; anno: 2020 – 2023.