Le storie narrate sul grande schermo da Pedro Almodóvar sono fortemente radicate nel contesto sociale in cui si inseriscono, rendendo inevitabile la trasmissione allo spettatore di un messaggio politico: nonostante in Madres paralelas (Almodóvar, 2021) il personaggio di Aitana Sánchez-Gijón affermi di essere apolitica perché il suo scopo è quello di piacere a tutti, lo sfondo narrativo costituito dal ritrovamento di una fossa comune della Guerra Civile Spagnola sottende una forte presa di posizione da parte del cineasta iberico. Presa di posizione alla quale non si è sottratto nemmeno nella sua ultima opera, La stanza accanto, primo film in lingua inglese, con cui alza decisamente la posta in gioco.
La scelta di due attrici di caratura internazionale come Julianne Moore e Tilda Swinton sicuramente favorisce l’obiettivo di rivolgersi ad un pubblico più vasto e ciò implica che la tematica sottesa al racconto cinematografico abbia una portata universale, che consente di interrogarsi su questioni spinose dal punto di vista sociale, politico e giuridico, ma soprattutto etico, offrendo un contributo interessante ad un dibattito ancora aperto e rispetto al quale ancora non sono state proposte strade percorribili ed efficaci. In questo senso, è stato acutamente osservato come:
«La vocazione del cinema a illustrare fatti del percorso umano, suggerendo “soluzioni” e agendo pure “nell’immaginario, personale e collettivo”, può certamente fornire un utile materiale per l’arricchimento del dialogo tra diversi linguaggi (scientifico, etico, giuridico, antropologico), così da contribuire alla riduzione della distanza tra le due culture che continua a persistere per una atavica incomprensione tra i diversi modi di intendere lo stesso problema» (Chieffi 2020, p. 103).
Da sempre la settima arte predilige problematiche legate alla bioetica e ciò è tanto più vero se si pensa, in particolare, all’eutanasia: a partire da Giustizia è fatta (Cayatte, 1950), la cinematografia europea si è costantemente dedicata a questo argomento e, segnatamente, in opere come Mare dentro (Amenábar, 2004) in Spagna, Miele (Golino, 2013) in Italia e È andato tutto bene (Ozon, 2021) in Francia.
Come si può spiegare un’attenzione sempre crescente verso questo fenomeno? Volendo dare, in prima battuta, una risposta storica, si può agevolmente affermare che non è sempre stato così. Infatti, nella civiltà romana antica, il suicidio (che dell’eutanasia costituisce l’esito naturale) era apertamente tollerato come mezzo per porre fine alle proprie sofferenze: riferisce Plinio il Vecchio nella Naturalis historia che «tra tutti i beni che la natura offre agli uomini nessuno è migliore della morte tempestiva», alla quale facevano ricorso quanti, gravemente malati e in fin di vita, intendessero porre fine anticipatamente alle proprie sofferenze. Similmente, Cicerone, pur ritenendo con Pitagora che l’anima dell’uomo appartenesse alle divinità, alle quali spettava la decisione in merito al tempo del decesso, nel Cato maior de senectute sosteneva che in determinate ipotesi l’uomo potesse anticipare il termine della sua esistenza, laddove la morte era intesa in termini di «eterno rifugio per non sentire più nulla». Con il passare dei secoli, la percezione del suicidio cambiò radicalmente, diventando dapprima un atto sconsigliato e, successivamente, addirittura condannato, a seguito della diffusione delle teorie neoplatoniche di derivazione pitagorica, ma soprattutto in virtù dell’incidenza degli ideali diffusi dai Padri della Chiesa (e, tra questi, Eusebio di Cesarea, Sant’Ambrogio e Sant’Agostino).
Arrivando, dunque, all’età contemporanea, con particolare riferimento al contesto italiano, dove la discussione è sempre stata caratterizzata da posizioni nette e toni accesi, l’eutanasia è sempre stata oggetto di grande attenzione per i giuristi: ad essa, infatti, si ricollega l’art. 580 del Codice Penale italiano, che punisce chiunque determini altri al suicidio, rafforzi l’altrui proposito di suicidio, oppure ne agevoli in qualsiasi modo l’esecuzione. Questa norma ha dato vita ad alcuni dei casi giudiziari più celebri del nostro Paese e di cui ancora oggi si parla molto. È a tutti nota la storia di dj Fabo, recatosi in Svizzera per morire con il suicidio assistito, per il quale fu accusato di aiuto al suicidio Marco Cappato, il quale aveva materialmente accompagnato il paziente presso la clinica elvetica. La vicenda giudiziaria si protrasse fino alla Corte Costituzionale, la quale, con l’ordinanza n. 207/2018, decise di non «abolire immediatamente l’art. 580 del Codice Penale sussistendo, nel rispetto di particolari “soggetti deboli”, la necessità che nell’ordinamento della Repubblica Italiana sia presente una norma che limiti e punisca l’assistenza al suicidio», richiedendo al contempo «l’esplicito intervento legislativo riguardo al suicidio assistito».
Tale richiesta venne reiterata con la successiva sentenza n. 242/2019, in cui la Consulta parla di «una nuova opportunità per il Parlamento, risollecitato – ma in parte pure aiutato – dalla Corte ad assumersi la responsabilità di restituire adeguata tutela alla dignità umana nella più drammatica e delicata fase della vita, quella terminale». Invero, il Parlamento non si è mai assunto questa responsabilità: la L. 219/2017, dedicata al consenso informato e alle disposizioni anticipate di trattamento, si è rivelata una soluzione sterile e l’intervento diretto dei cittadini mediante la proposta di un quesito referendario abrogativo dell’art. 579 del Codice Penale, in tema di omicidio del consenziente, è stata bloccata nel 2021 dalla stessa Corte Costituzionale, che ha rinnovato la richiesta di un intervento deciso e mirato da parte del Legislatore.
Siamo arrivati, così, ai nostri giorni. Il problema è ancora oggi presente e continuerà a persistere per chissà quanto altro tempo. Ma quale può essere la risposta a questo stallo istituzionale? A questo dilemma risponde l’arte cinematografica con tutta la sua potenza evocativa, suggerendo chiavi di lettura e producendo pensiero volto ad incrementare la sensibilità non solo della gente comune, ma anche di chiunque detenga il potere all’interno di ciascuno Stato. Perché tematiche come l’eutanasia sono collegate a doppio filo con la vita e, pertanto, ci riguardano direttamente e non possono essere trattate con indifferenza, perché la narrazione potrebbe riguardare noi o persone che ci sono care. Si realizza quella che Italo Calvino ha efficacemente definito la «funzione conoscitiva del cinema», consistente nella capacità di «darci una forte immagine d’un mondo esterno a noi che per qualche ragione oggettiva o soggettiva non riusciamo a percepire direttamente; l’altra è quella di forzarci a vedere noi stessi e il nostro esistere quotidiano in un modo che cambi qualcosa nei nostri rapporti con noi stessi» (Calvino 1974, p. XVIII).
Ancora una volta, Almodóvar è riuscito a restituire tramite i suoi personaggi la complessità dell’animo umano e delle sue numerose sfaccettature, ponendoci dinanzi ad alcuni dubbi ineludibili: la società in cui viviamo è davvero giusta? Coloro che versano in condizioni negative riescono a ricevere la tutela di cui hanno bisogno? Ma soprattutto, il diritto ad una morte dignitosa può essere garantito alla stessa stregua di quello alla vita? Trattasi, del resto, di due facce della stessa medaglia. A queste domande non possono essere date risposte certe e nello spettatore si fa strada una sensazione di insoddisfazione, che prende forma nell’amara consapevolezza di trovarsi al cospetto di una situazione ancora irrisolta e apparentemente irrisolvibile. Ma la sensazione di turbamento provocata da questa combinazione di sincerità e fantasia ha il pregio di mantenere vivo l’interesse per una disputa sociale che si svolge sui corpi delle persone e che richiede con urgenza una soluzione praticabile al fine di garantire a quanti soffrono quella dignità che, sfortunatamente, la vita non è stata in grado di offrirgli.
Riferimenti bibliografici
I. Calvino, Autobiografia di uno spettatore, in F. Fellini, Fare un film, Einaudi, Torino 1974, pp. VII-XXIV.
L. Chieffi, La gestazione per altri nella settima arte: spunti di riflessione sul bilanciamento tra aspettative di genitorialità e benessere del nascituro, in Cinema e diritto. La comprensione della dimensione giuridica attraverso la cinematografia, a cura di O. Roselli, Giappichelli, Torino 2020, pp. 101-129.
M.T. Cicerone, La vecchiezza, BUR Rizzoli, Milano 2018.
Plinio, Storia naturale, IV, Einaudi, Torino 1986.
G. Ziccardi, Il diritto al cinema. Cent’anni di courtroom drama e melodrammi giudiziari, Giuffrè, Milano 2010.
La stanza accanto. Regia: Pedro Almodóvar; sceneggiatura: Pedro Almodóvar; fotografia: Eduard Grau; montaggio: Teresa Font; musiche: Alberto Iglesias; interpreti: Julianne Moore, Tilda Swinton, John Turturro, Alessandro Nivola, Juan Diego Botto; produzione: El Deseo; distribuzione: Warner Bros. Entertainment Italia; origine: Spagna; durata: 107’; anno: 2024.