Non ci sono pezzi più folgoranti della Preghiera che Camillo Langone pubblica su “Il Foglio”, francobolli di concinnitas, l’esatto contrario di ciò che ci aspettiamo da un giornale: non una parola fuori posto, ogni virgola è necessaria, prova che la scrittura ha un rigore e una oggettività non inferiori a quelli della scienza, anche se diversi. La ragazza immortale, secondo romanzo di Langone (il primo, Scambio coppie con uso di cucina, uscì vent’anni fa per i tipi di ES), è pensato così: pochi elementi e combinati nel modo giusto, senza niente di superfluo. Per essere precisi gli elementi sono due: un signore in là con gli anni – non viene detto quanti ma lo spettro di un infarto che incombe fa pensare a un cinquanta-sessantenne, l’età più probabile per questo genere di accidenti – e una studentessa dell’università di Bologna che all’inizio del racconto di anni ne ha diciannove. Dopo poche pagine li troviamo seduti al ristorante che si scambiano pareri sui piatti da ordinare. Come ci sono arrivati? Quando si sono conosciuti? Non lo sappiamo.
Altri scrittori si sarebbero scervellati per rendere la situazione credibile, passando in rassegna pretesti: una festa mucciniana, un amico pronubo, uno sguardo raccolto per strada… cose che avrebbero aumentato il numero delle pagine e forse anche il successo del romanzo presso un pubblico – l’italiano – che sembra amare i racconti-fiume, le serie letterarie, le descrizioni infinite, la micrologia sul nulla. Se non si è Proust – che Langone, nel suo smisurato snobismo, dice di non aver letto – è meglio evitare di far perdere tempo a chi ha comprato il libro. Inoltre: chi se ne importa come e perché lui e lei si sono conosciuti. Bisogna mettere a fuoco la cosa stessa, non il contorno. L’amore è retrospettivo solo quando finisce, e invece il signore e la ragazza sono infinitamente attratti l’uno dall’altra.
Lui non si stanca di scandirne il nome, Be-ne-det-ta, allo stesso modo in cui il vecchio professore di francese faceva ballare nella bocca le sillabe che formano il soprannome della sua Dolores Haze. Si sono conosciuti e innamorati perché la vita è così: i maschi nascono imbecilli e – nella migliore delle ipotesi – diventano più o meno accettabili dopo i quarant’anni, le donne nascono interessanti, scoprono presto l’imbecillità dei coetanei e, se nulla osta, agiscono di conseguenza. Nella vita di tutti i giorni, però, molte cose ostano ed è per questo che la situazione descritta dal romanzo sembra esotica quando invece è naturalissima. Non glielo auguro ma è probabile che qualche associazione di genitori o femminarde o un’altra di stampo neosavonaroliano (esistono solo quelle) faccia causa all’autore per apologia di reato.
Ma torniamo al romanzo: cos’hanno da offrirsi i due amanti? Lei è bellissima, ha gambe chilometriche, un fondoschiena che più alto non si può, legge molto. Lui invece cos’ha da mettere sul piatto? Anzitutto è un misantropo, che, insieme al senso dell’umorismo, è l’unica cartina di tornasole per riconoscere l’intelligenza di un uomo. Se dopo una certa età il maschio si ostina a cercare solidarietà generazionali, frequenta congreghe, partiti, clubs, significa che non è uscito dallo stato naturale dell’imbecillità. Inoltre: Benedetta legge molto ma lui – se non altro perché ha parecchio tempo libero, mentre lei deve sottoporsi alla tristissima corvè degli esami universitari – legge ancora di più, le consiglia i libri, la porta nei musei.
Al centro del racconto c’è quello che una volta si sarebbe chiamato eros pedagogico, che non è, come credono i nostri esangui psicologi, una “sublimazione” del sesso ma “sesso + libri + conversazioni”. Last but not least lui possiede una bella macchina e quel che basta di soldi per vivere con comodità. Soprattutto sa spendere. Soldi spesi bene sono quelli per chi si ama e per l’arte. Se poi a uno riesce di spendere per tutt’e due in un colpo solo, allora non si pentirà.
Siccome il tempo passa e rischia di sciupare la bellezza di Benedetta, il signore pensa che bisogna rendere quel corpo eterno. In che modo? Commissionando ritratti ai più bravi pittori italiani (che, se siete curiosi, trovate qui www.eccellentipittori.it). La pittura c’è per resistere al tempo ed è soprattutto la bellezza che deve avvantaggiarsene. Non sappiamo come sono i quadri e allora, senza guardare su internet qual è lo stile dei pittori commissionati, li ho immaginati nello stile di Langone, che oltre alla brevitas e alla concinnitas ha un’altra caratteristica: l’eccezionale chiarezza, la claritas, il rifiuto dell’allusione e del criptico. Se invece di scrivere dipingesse, nei suoi quadri non ci sarebbero angoli di invisibilità o oggetti voluminosi che nascondono altri oggetti, primo piano e sfondo avrebbero la stessa importanza, tutto bagnerebbe nella luce. Alla fine il corpo dipinto di lei l’ho immaginato come le tempere ritagliate di Matisse o come le nature morte che Schifano sfornava a raffica negli anni ottanta.
Ordinando ritratti agli artisti il signore raggiunge il culmine dell’eros pedagogico, perché adesso cava fuori dal corpo di Benedetta una bellezza singolare eppure astratta e la sua esperienza relativa di innamorato diventa assoluta. Attraverso i quadri non è in gioco soltanto l’educazione di Benedetta ma l’esperienza oggettiva della bellezza per mezzo di lei. La ragazza immortale serve a riconciliarsi con aspetti della vita e dell’amore che la feroce stupidità di tutti i giorni, l’ipocrisia – come la chiamava il poeta – di chi sta sempre con la ragione e mai col torto, hanno trasformato in cose disdicevoli oppure ci hanno fatto dimenticare.
Non c’è niente di più storto e degno di essere vissuto e raccontato dell’innamoramento tra il signore e la ragazza. In tempi come i nostri, poco propizi alla verità, addirittura sciagurati, quando l’ordine del giorno è dettato dalle leghe piagnone di cui sopra, ci vogliono il rigore stilistico, il coraggio intellettuale, la libertà di spirito, la solitudine appassionata di Camillo Langone per ricordarci come stanno le cose.
Camillo Langone, La ragazza immortale, La Nave di Teseo, Milano 2023.