Il cinema, offrendoci un’esperienza di visione e ascolto, ha la capacità di riportarci alle fonti originarie del racconto. Non leggiamo le storie sulla pagina, le ascoltiamo dalla viva voce dei personaggi e dei narratori, li vediamo muoversi non su una scena ma nel mondo. Di più, dato che il montaggio ci sottopone a un continuo lavoro di raccordo tra suoni e immagini, il cinema permette di riconoscere i presupposti del racconto e di ritrovare le sue condizioni di senso. Da tutto ciò segue che il cinema può attivare immediatamente e con un’intensità speciale un esercizio riflessivo interno allo svolgimento della storia. Così, la ricognizione delle condizioni di senso del racconto può avvenire, e spesso di fatto avviene, senza abbandonare il terreno di una narrazione costruita secondo le regole e le formule del racconto tradizionale. Rientra in questo genere di film La bambina segreta, il lungometraggio del giovane regista iraniano Ali Asgari, già conosciuto dal pubblico italiano per Kafka a Teheran.

Com’era già accaduto con Kafka a Teheran, il titolo italiano è completamente diverso da quello originale, che è To farda: “fino a domani”. L’azione comincia infatti quando la protagonista, la giovane Fereshteh, deve trovare qualcuno disposto a tenerle la figlia di due mesi fino al giorno successivo. La ragazza sta per ricevere la visita dei genitori, i quali non sanno nulla della bambina. Fereshteh ha partorito in segreto e non ha registrato la figlia all’anagrafe, perché non è sposata. In Iran per una donna avere un figlio fuori dal matrimonio non è solo oggetto di un pesante stigma sociale, ma è anche un crimine punito severamente dal regime dei mullah. La bambina di Fereshteh è dunque un fantasma, inesistente  per la legge e noto solo al padre, il quale però non vuole occuparsene e avrebbe preferito che Fereshteh abortisse, e ad Atefeh, la migliore amica della ragazza. Per tutti gli altri – la famiglia di Fereshteh, i vicini di casa, i colleghi di lavoro – la bambina o non esiste oppure è una presenza misteriosa e non chiaramente identificata.

L’avvocata che al telefono si era detta disponibile a tenere la bambina per una notte è stata arrestata, probabilmente per motivi politici. Inizia così il pellegrinaggio di Fereshteh e Atefeh da un quartiere all’altro della caotica Teheran in cerca di ospitalità per la bambina, prima che dalla provincia arrivino i genitori di Fereshteh. L’ex fidanzato di Atefeh prima acconsente, ma poi deve ritirare la sua offerta di fronte all’ostinato rifiuto della moglie. L’infermiera che il padre della bambina ha presentato come sua parente la prende nell’ospedale dove lavora, ma finisce per mettere Fereshteh in una situazione peggiore: il direttore dell’ospedale ha scoperto tutto e prova a estorcere favori sessuali dalla ragazza in cambio del suo silenzio. Alla fine non resta che la soluzione più semplice e rischiosa: far entrare di nascosto la bambina nell’alloggio studentesco dove vive Atefeh, la quale promette di prendersene cura per la notte.

Mentre sta rientrando in taxi a casa, i genitori sono già lì ad attenderla, Fereshteh trova nella borsa il ciuccio della figlia. Proprio ora che tutto sembra sistemato, questa banale scoperta produce una crisi. L’evento provoca nella ragazza reazioni e sentimenti contraddittori. Da una parte c’è la paura di aver lasciato su di sé la traccia di questa presenza segreta che è la figlia, dopo aver fatto di tutto per eliminarla prima dell’arrivo dei genitori. La sequenza iniziale del film, in cui Fereshteh passa di vicina in vicina per chiedere di custodirle temporaneamente le cose della bambina, ricevendo rifiuti e ostilità, è una rappresentazione del sentimento che prova questo mondo verso una donna sola con un figlio. Dall’altra parte c’è il senso di colpa per aver lasciato la figlia sola per una notte, tutta condensata nell’oblio di quel ciuccio che avrebbe surrogato l’assenza rassicurante della madre. Ferehsteh torna indietro, riprende la figlia e la riporta a casa con sé. Solo alla fine ci rendiamo conto che La bambina segreta è un film che ci parla delle condizioni e dei limiti del racconto. Il film finisce infatti quando prende forma un’altra storia, più difficile da raccontare: quella della confessione di Fereshteh.

Qui inizia, o meglio inizierebbe, un secondo film, che Asgari sceglie di non raccontare, o per il quale gli mancano i mezzi espressivi per farlo: la storia di una ragazza che confessa ai genitori di essere diventata madre senza essere sposata. Parlando di una mancanza di mezzi espressivi, non mi riferisco a un limite del regista, ma a una soglia, a qualcosa di indicibile. Questo finale fa venire in mente un celebre finale della storia del cinema iraniano. Penso all’ultima scena di Sotto gli ulivi: mentre insieme al regista vediamo allontanarsi Hossein e Tahereh che si rincorrono tra gli ulivi, non sapremo mai se alla fine la ragazza ha deciso di ricambiare l’amore che il ragazzo ha potuto dichiararle grazie alla scusa del film. Anche lì emergeva una soglia che segnalava l’impossibilità di distinguere tra sentimenti diversi: chi non acconsente al matrimonio con Hossein? È Tahereh che non lo vuole o è la nonna che non lo ritiene un pretendente adeguato a sua nipote? E Hossein è solo un ostinato o ha saputo leggere nel cuore della ragazza meglio degli altri?

Così, La bambina segreta non è solo il prologo a una storia che non viene raccontata, ma è anche un accompagnamento verso il riconoscimento di un sentimento che ancora non ha nome. Come reagiranno il padre e la madre di Fereshteh di fronte alla scoperta della nipote? Sappiamo solo che la scoperta avverrà, perché il film si conclude proprio con l’incontro tra Ferehsteh e i genitori: il padre le chiede subito chi è la bambina. Asgari avrebbe potuto terminare il film quando vediamo la protagonista di nuovo sul taxi, con in braccio la figlia che ha deciso di riprendere. A quel punto sappiamo già qual è la sua decisione. Per certi versi l’effetto di pathos sarebbe stato più forte. Ma è probabile che la scelta di proseguire la narrazione fino al momento in cui la protagonista sta per iniziare la sua confessione abbia un senso preciso. La ragazza attraversa la ringhiera ormai buia del condominio dove vive fino alla porta del suo appartamento. È seguita dai genitori, di cui sentiamo solo le voci che cominciano a domandare spiegazioni. Di fronte alla porta la ragazza si gira e, tenendo in braccio la figlia, si appresta a cominciare il suo racconto. È l’immagine, potrebbe dire un occhio occidentale, di una Madonna.

In un certo senso il regista ha denunciato il fatto che è arrivato alle soglie di un sentimento per il quale manca un’immagine al suo “occhio culturale”. O meglio la deve prendere in prestito: è l’immagine della purezza della maternità al di là delle norme che definiscono il lecito e l’illecito.

Riferimenti bibliografici
D. Cecchi, Abbas Kiarostami: immaginare la vita, Fondazione Ente dello Spettacolo, Roma 2013.
P. Montani, L’immaginazione narrativa, Guerini, Milano 1999.

La bambina segreta. Regia: Ali Asgari; sceneggiatura: Alireza Khatami, Ali Asgari; fotografia: Rouzbeh Raiga; montaggio: Alireza Khatami, Ali Asgari; musica: Ali Birang; interpreti: Sadaf Asgari, Ghazal Shojaei, Babak Karimi, Amirreza Ranjbaran; produzione: Taat Films, Novoprod, Silk Road Productions, Premium Films; origine: Francia, Iran; durata: 86′; anno: 2022.

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