Il primo capitolo del libro di Sabatino si intitola Galassia amatoriale, richiamando un’opera di Francesco Casetti, La galassia Lumière (2015), che a sua volta evoca quella di McLuhan, La galassia Gutenberg (1962). L’immagine della “galassia”, associata in tutti e tre i testi all’universo dei media, porta con sé l’idea di una complessità e molteplicità priva di baricentro, fatta di corpi affini e dipendenti l’uno dall’altro sempre in continua espansione e mutazione.

L’autrice si avvicina nuovamente ai media amatoriali (un suo articolo sulla questione, In materia di autoritratto amatoriale, era già stato pubblicato nel 2020) a partire da un’ampia interrogazione sulle nuove condizioni di esistenza del cinema. Sia Sabatino che Casetti pensano al cinema non come un dispositivo chiuso e inflessibile, ma capace di riconfigurarsi di volta in volta sulla spinta di un’urgenza e di un bisogno che sorge dall’esperienza più viva: «[…] Non è più un apparato, ma piuttosto un assemblage. E non è più la “macchina” a determinare l’esperienza, ma è l’esperienza a trovare la sua “macchina”» (Casetti 2015, p. 112).

Negli ultimi quindici anni l’evoluzione dell’amatorialità digitale – dal content creator sui social media al documentarista cineamatore – sembra riaffiorare da un sogno di radicale “democratizzazione” dei media e di assoluta mobilitazione della popolazione. Sogno condiviso da gran parte delle avanguardie politiche, dal primo Vertov a Zavattini fino al movimento latino-americano del Third Cinema (cfr. Salazkina, Fibla-Gutiérrez 2021). Sabatino, dopo aver sottolineato nelle prime pagine la modalità emancipatoria ed espressiva delle configurazioni amatoriali, la lega alla rilocazione del cinema in altri ambienti e altri dispositivi: un cinema che nasce attorno e fuori dalla sala, creato e fruito su dispositivi mobili ma soprattutto, ed è questo che interessa alla studiosa, un cinema in cui «l’attendance lasci il posto alla performance» (Casetti 2015, p. 287).

Il libro, estendendo l’idea di “performance” – che per Casetti comportava una modificazione dello statuto rigido e passivo dello spettatore a uno attivo, coinvolto in pratiche partecipative – propone il concetto di amautore per nominare un nuovo modello di autorialità amatoriale. Non si tratta solo di fare cinema come “hobby” oppure come “amatorialità seria”, ma di rendersi conto della potenziale reversibilità della posizione di autore e fruitore in uno spazio transizionale fondato sulla processualità performativa dei media audiovisivi. Amautore, perciò, ci pare una crasi efficace perché, col suo alone di senso apparentemente contradittorio (può un amatore essere un autore e viceversa?), opera un riposizionamento della nozione di autore: non essere “autore”, ma divenire “autore”, degerarchizzando e fluidificando lo sguardo autoriale nell’esperienza della performance incompiuta, in un esercizio autorappresentativo che innesca processi agentivi.

A proposito, Sabatino riprende il concetto di agency proposto dall’antropologo Alfred Gell per attestare l’esistenza «di un isomorfismo strutturale tra i processi cognitivi che intendiamo (dall’interno) come coscienza e le strutture spazio-temporali degli oggetti distribuiti nel campo artefattuale» (Gell 2021, p. 292). Secondo l’autrice, l’agentività si sviluppa nella medialità tramite una «circolarità indessicale» (Sabatino 2024, p. 76): una condizione delle occorrenze rappresentative in cui, in un’attiva griglia di connessioni tra “agente” e “paziente”, la figura del creatore e del fruitore finiscono per coincidere, definendo una corrispondenza deittica tra lo sguardo autoriale e quello spettatoriale.

L’autorialità amatoriale audiovisiva, che implica costitutivamente la produzione di manufatti digitali, è dunque esemplare per l’esercizio di un’agentività – anch’essa digitale – virtuosamente circolare: servendosi di quelle tecniche del corpo che rendono possibile la circolarità deittica finora descritta, nonché di quelle tecnologie del sé con cui il soggetto si esprime e si racconta, e per mezzo delle quali si trasforma, lo scambio costante e produttivo tra l’immagine di sé e la sua produzione avviene in un feedback audiovisivo che interviene su diversi livelli, talvolta efficacemente sullo stesso autore che lo ha prodotto (ivi,  p. 83).

Le immagini amautoriali sono quindi performing images, immagini-atto, immerse in un ambiente mediale nel quale tutto media, influenza e veicola: immagini percepite e comprese, ma anche vissute come esperienze performativamente assimiliate che, attivando processi di identificazione e proiezione, impegnano la totalità del corpo fruitore. Ancora un evidente rimando a un’altra opera di Casetti (2023), in cui l’autore analizza una strategia fondamentale nella storia dei media, il complesso proiezione/protezione. Un meccanismo «tecno-ambientale» di disconnessione e riconnessione con la realtà che si genera in un ambiente di mediazione sicuro, attraverso l’interfaccia dello schermo: il complesso «risponde alle sfide di un mondo percepito come sempre più faticoso e vessatorio con tecnologie che rendono disponibili nuove forme di confronto» (ivi, p. 12).

Tentare una mappatura delle costellazioni amautoriali nell’affollato panorama mediale contemporaneo è faticoso ma, certamente, come Sabatino sottolinea nel paragrafo del testo Cornici documentarie e campo audiovisivo, il cinema documentario è un esempio straordinario di dinamiche agentive perché fonda la sua stessa possibilità d’esistenza sulla relazione intersoggettiva filmato-filmante, su una performance condivisa che obbedisce a quella che Comolli definiva “drammaturgia dell’implicazione”. Lo sottolineava Dario Cecchi anni fa, come il cinema documentario stesse dimostrando di poter integrare al suo interno nuovi dispositivi di produzione e condivisione dell’immagine secondo una logica intermediale e interattiva,  divenendo «la forma di cinema che più e meglio si candida ad approntare il laboratorio di verifica, perfino di avanguardia, sperimentale di tali pratiche» (2016, p. 10); lo confermava Patricia Zimmerman qualche anno dopo, proclamando la nascita di «nuove ecologie documentarie» fondate su modalità amatoriali, co-creative, decentralizzate e interattive (cfr. 2019).

Un esempio di produzione amatoriale “implicata”, che Sabatino cita a buon diritto perché si tratta di un “suo” esperimento operativo sull’agentività delle immagini nella prospettiva delle Medical Humanities, è il videofarmaco (cfr. Sabatino, Saladino, Verrastro 2020). Un set terapeutico audiovisualbased che coinvolge i “pazienti” – termine che possiamo leggere anche sulla scorta della corrispondenza deittica di Gell – con il supporto e la facilitazione di uno psicoterapeuta e di un regista, nella progettazione di un microfilm. Il documentario partecipativo permette al paziente di dar vita ad un racconto di sé che funziona come un «artefatto autobiografico», «un corpo mediale sostitutivo e ricostitutivo del reale» (Sabatino 2024, p. 95) che rimedia la storia del soggetto, sia nel senso mediale (utilizzare il materiale filmato editandolo) che nel senso terapeutico (raccontare attraverso il medium un sé ulteriore che generi nuove images).    

Riferimenti bibliografici        
F. Casetti, La galassia Lumière. Sette parole chiave per il cinema che viene, Saggi Bompiani, Milano 2015.
Id., Schermare le paure. I media tra proiezione e protezione, Bompiani, Milano 2023.              
D. Cecchi, Immagini mancanti. Estetica del documentario nell’epoca dell’intermedialità,Pellegrini Editore, Cosenza 2016.            
A. Gell, Arte e agency. Una teoria antropologica, Raffaello Cortina Editore, Milano 2021.    
A. C. Sabatino, V. Saladino, V. Verrastro, Cinema terapeutico. Linguaggi audiovisivi e percorsi clinici, Carocci editore, Roma 2020.         
M. Salazkina, E. Fibla-Gutiérre, Global perspectives on amateur film histories and cultures, Indiana University Press, Bloomington 2021.           
P. Zimmerman, Documentary across platforms. Reverse Engineering Media, Place, and Politics, Indiana University Press, Bloomington 2019.

Anna Chiara Sabatino, L’autore amatoriale. Configurazioni audiovisive del sé dal cinema ai social media, Edizioni ETS, Pisa 2024.

Tags     amatoriale, autorialità
Share