Ci sono poche parole spese per l’arte nel libro che condensa la filosofia di Luc Dardenne, L’affare umano, e sono poste in conclusione: «L’arte esprime la sofferenza umana. Sembra non poter far altro che esprimerla». È una chiave per rileggere il libro a ritroso, e insieme al libro anche tutto il cinema di Jean-Pierre e Luc Dardenne, sebbene il cinema non sia mai direttamente convocato in L’affare umano, testo filosofico elaborato durante la preproduzione del film Il ragazzo con la bicicletta (2011), pubblicato nel 2012 in Francia da Seuil, ora finalmente tradotto in italiano e introdotto da Paolo Stellino per Meltemi. 

Cominciamo dunque dalla fine, dalla sofferenza umana che l’arte è chiamata a esprimere. Di quale sofferenza si tratta? Non di quella fisica legata a contingenze storiche (fame, schiavitù, sopraffazione, violenza) né di quella interiore sempre storicamente determinata (alienazione, depressione). Luc Dardenne parla di una sofferenza che ha radici profonde nell’umano stesso, nell’essere umano comunque definito. Si tratta di una condizione che avvertiamo alla nascita, quando passiamo dal non-tempo al tempo. Questo passaggio è un grande trauma (Luc Dardenne lo chiama «separazione») perché comporta la brusca transizione dall’indiviso al diviso, dalla continuità alla discontinuità, ma soprattutto dall’eternità alla finitezza, ossia alla mortalità.

La paura di morire è ciò che ci individua quando veniamo letteralmente al mondo; ce lo dice Leopardi, «nasce l’uomo a fatica ed è rischio di morte il nascimento», e la nostra prima sensazione è di «pena e tormento»: nelle parole di Luc Dardenne, «nascere vuol dire morire» perché entriamo nel dominio della temporalità. Questa paura di morire è universale e ineludibile e ci accompagna per tutta l’esistenza; ma è nella gestione della transizione dall’infinito al finito (l’atto della nascita) che si decidono le sorti dell’esistenza stessa, destinata a disporsi sotto il segno della paura di morire oppure capace di sottrarsene.

La mossa filosofica di Luc Dardenne consiste nell’impostare la questione come se si trattasse di un problema di sceneggiatura, ossia di un punto di svolta nella drammaturgia dell’essere. Nella lettera all’editore, Dardenne dichiara infatti che il libro nasce dagli appunti presi mentre si interrogava sul destino di due personaggi di finzione, Cyril e Samantha, i protagonisti del film che stava scrivendo, Il ragazzo con la bicicletta:

Cercavo di capire cosa potesse passare per la testa di un bambino solitario, abbandonato, in che modo la violenza delle percosse ricevute potesse non generare in lui una violenza tanto distruttrice come quella che lo distruggeva. Tentavo di immaginare l’amore di una donna, di una madre, che avrebbe forse potuto lenire questa violenza e permettere a tale bambino di trovare la sua infanzia, di sfuggire alle sofferenze e alle paure tra le quali sopravvivono coloro che non possono fidarsi di nessuno.

Dallo scavo profondo operato a partire dal problema narrativo si apre la possibilità del discorso filosofico sulla paura della morte come condizione umana. La paura di morire è paragonabile a un campo magnetico che ci attrae verso la pre-esistenza, lo stato di non-separazione; ma il ritorno a tale stato non è possibile, dunque si aprono soluzioni alternative che hanno un impatto decisivo sulla vita dell’uomo. Una soluzione è quella di tornare alla bolla di non-tempo creando una «bolla immaginaria» in cui trovare rifugio per non subire le minacce del reale, in cui proteggersi dall’ordine dei successivi, vale a dire lo scorrere del tempo stesso.

Le conseguenze di questa vita nella bolla immaginaria sono deleterie in quanto «questa nuova bolla è al contempo dissoluzione dell’essere venuto al mondo e chiusura nei confronti del mondo, dell’ambiente ostile, dell’altro, dell’esterno, di ciò che è “causa” della mia paura». L’uomo si chiude al mondo, lo vediamo nei ragazzi dei film dei Dardenne, pensiamo a L’età giovane (2019), in cui il protagonista è un adolescente musulmano che da un momento all’altro radicalizza l’adesione alla fede collocandosi nella bolla immaginaria dell’integralismo religioso, «una cerchia di appartenenza colma di paura e odio per l’altro»; e ancora nel film scritto proprio durante la stesura di L’affare umano, il protagonista entra nella bolla di un gruppo fondato sulla «continuità d’odio», una dimensione in cui il soggetto pratica «l’esclusione, l’annientamento, la messa a morte dell’altro».

C’è soltanto una via d’uscita dalla paura della morte che genera avversione alla vita come successione finita e forme di autoprotezione che sfociano nell’odio. Questa via d’uscita, per Luc Dardenne, è l’amore incondizionato di una madre che (questo punto è molto importante) non è necessariamente una donna, né un genitore; è una “madre” virgolettata, che per Dardenne può essere «biologica o no, donna o uomo, giovane o vecchia»: è un soggetto portatore di amore assoluto, in grado di formare con il bambino una quasi-bolla positiva, una dimensione a due che trasforma la paura di morire in possibilità di vivere.

Questo particolare intervento dell’altro è decisivo proprio perché incondizionato: in Il ragazzo con la bicicletta Cyril sceglie Samantha come madre in un istante, senza un motivo pragmatico, senza conoscerla, senza averla mai vista prima, la stringe a sé mentre fugge dai responsabili della struttura di accoglienza che vorrebbero riportarlo indietro («la richiesta d’amore», spiega Luc Dardenne, «è anzitutto una richiesta d’aiuto»). Samantha, a sua volta, non conosce Cyril e ne riceve il disperato abbraccio; tutto quel che segue – ossia la convenzionale concatenazione causale della forma tragica – per lei non costituirà mai un fattore di allontanamento. Lei sarà sempre lì per lui, e questo amore renderà possibile lo svilupparsi dell’intreccio commedico, cioè della vita autentica, quando, come scrive Roberto De Gaetano, «emerge la capacità e forza che ha un soggetto, e il cinema che vuole raccontarlo, di riprendere il filo del suo percorso».

Non è questione, torniamo a ripetere, di famiglia tradizionale: in Tori e Lokita (ad oggi forse il film più esemplificativo del Dardenne-pensiero) c’è una ragazza che ha riconosciuto in un bambino il proprio fratello, e questa relazione immette il bambino nel dominio del tempo ben più di un codice genetico o di un documento di identità. Per questa relazione la ragazza è disposta a tutto, anche a morire, perché amare, educare, curare è anche «dimenticare se stesso in favore di un altro» e dunque imparare a morire, accettare l’inevitabile. La morte di Lokita è il frutto della concatenazione causale della forma tragica, cui allude una delle due canzoni portanti del film, Alla fiera dell’Est di Angelo Branduardi («E venne il cane, che morse il gatto, che si mangiò il topo / Che al mercato mio padre comprò»); ma la seconda canzone è una filastrocca africana che ci riporta a quell’amore di madre che consente di amare la vita.

Intorno ai personaggi dei Dardenne c’è spesso un’umanità che soccombe alla paura e combatte la temporalità saturandosi di potenza, vale a dire distruggendo sistematicamente l’altro. Invece la finalità ultima dell’amore di Lokita e di tutte le altre donne del cinema dei Dardenne è consentire all’altro il superamento della paura della morte, generando le condizioni del convivere, che per l’autore è «la sola via d’uscita possibile dopo la morte di Dio e degli idoli che ne facevano le veci»; vengono in mente le conclusioni analoghe cui giunge Maurizio Ferraris in Imparare a vivere, quando scrive: «Quello che propongo con l’idea del convivere come elemento costitutivo della natura umana […] è una trascendenza nell’aldiquà».

Idea del convivere che è il principio di costruzione del cinema di Jean-Pierre e Luc Dardenne, come sottolinea Daniele Dottorini, quando riconosce che il «due» caratterizzante dei Dardenne è, per estensione, «il due che unisce, è il germe, il nucleo originario di ogni collettività, di ogni essere insieme». In questo senso, l’arte è davvero l’espressione più alta della sofferenza umana, che è sofferenza per l’altro che amiamo.

Riferimenti bibliografici
R. De Gaetano, Umano, in Jean-Pierre e Luc Dardenne, a cura di A. Cervini e L. Venzi, Pellegrini, Cosenza 2014.
D. Dottorini, I nomi e la storia, in Fata Morgana Web 2023. Le visioni, a cura di A. Canadè, R. De Gaetano, D. Dottorini, Mimesis, Milano-Udine 2023.
M. Ferraris, Imparare a vivere, Laterza, Bari 2024.

L. Dardenne, L’affare umano. Al di là della paura di morire, tr. it., Meltemi, Milano 2024.

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