In una delle sequenze di Kill the Jockey, ultimo film dell’argentino Luis Ortega, presentato in concorso alla 81° Mostra di Venezia, un’inquadratura fissa in campo lungo riprende l’eccentrico ballo dei due amanti Remo Manfredini e Abril, interpretati da Nahuel Pérez Biscayart e Úrsula Corberó; intorno a loro un gruppo di gangster osserva la scena con distacco. Entrambi i personaggi protagonisti sono dei fantini ingaggiati dai malavitosi, inseriti in una Buenos Aires ossessionata dalle corse: ovunque in città troviamo decorazioni e oggettistica a tema equestre. Mentre le figure animali sembrano comparire soprattutto in illustrazioni e sculture, sono gli stessi fantini ad essere chiusi in recinti al posto delle bestie: il protagonista, infatti, verrà trattenuto in una stalla per evitare che faccia uso di sostanze stupefacenti destinate ai cavalli. In maniera simile, una sequenza successiva ci mostra la stilizzata coreografia di Abril insieme ad altre fantine, e anche questa volta alcuni dei loro movimenti e gesti ricordano quelli degli animali su cui andranno a gareggiare.

In particolare, quella di Remo è una figura liminale che si trasformerà più volte nel corso del film. La prima volta avviene in seguito a un incidente quasi letale. Dopo essersi risvegliato in ospedale, con la testa ancora bendata dalle ferite, in una forma che richiama quella del caschetto da fantino, egli indossa gli indumenti della donna anziana con cui condivide la stanza e inizia a girovagare per la città. Il personaggio alieno attraversa soglie e passaggi nascosti, facendo incontri surreali. Insieme a lui, accediamo ad un mondo altro, esplorando le esistenze di chi si trova ai margini.

Le periferie sociali diventano il rifugio di forme di vita altre. Lo spazio dell’alterità è caratterizzato proprio dal suo porsi nel confine, dal suo statuto ambiguo rispetto alle dicotomie di dentro e fuori, urbano e rurale, intimo e pubblico (Veliz 2017). A questo spazio è associato un superamento dei limiti temporali: passato, presente e futuro entrano in una relazione di coalescenza, in cui spettri e sopravvivenze diventano manifestazioni di questa temporalità eterogenea (ibidem).

Nella ricerca di forme per raffigurare l’alterità, dunque, sorgono spazi, temi e soggetti imprevisti. Così, nel film di Ortega, il protagonista non riesce più a ritornare allo stato delle cose precedente, e capisce di dover morire per poter rinascere, e in questo modo riconquistare la sua libertà. Remo decide di far fuori i criminali che minacciavano lui e Abril, per poi ricominciare una nuova vita in prigione adottando il nome di Dolores. In questa sua nuova esistenza, la sua fama come ex-fantino la perseguita, e nonostante la donna abbia cercato di dimenticare il passato, decide di partecipare ad un’ultima corsa: ecco che avviene un ulteriore cambiamento, in cui indossando i vecchi indumenti da jockey, la donna riesce a performare con facilità la sua vecchia identità. In ogni caso, come afferma lei stessa, Dolores “si è partorita da sola”: nei termini di Haraway, la donna riesce a «generare parentele in maniera imprevedibile e imprevista, invece che imparentarsi con una divinità o una famiglia biogenetica o genealogica» (2019, p. 14). Nel finale del film, infatti, Dolores rinascerà per un’ultima volta nei panni della bambina di Abril.

Con questo film, Ortega problematizza una concezione dell’alterità fissa e delimitata in zone precise. Quest’operazione avviene soprattutto attraverso il corpo del protagonista, completamente mutabile, e sottoposto a continui rispecchiamenti, travestimenti, sostituzioni; ma anche mediante la forma filmica, essa stessa ibrida, in grado di alternare con facilità le scene musicali con il genere gangster o la commedia slapstick.

Riferimenti bibliografici
D. Haraway, Chthulucene. Sopravvivere su un pianeta infetto, Nero, Roma 2019.
M. Veliz, Introducción: Figuraciones de la otredad en el cine latinoamericano contemporáneo, in “Imagofagia. Revista de la Asociación Argentina de Estudios de Cine y Audiovisual”, Aprile 2017, 15.

Kill the Jockey. Regia: Luis Ortega; sceneggiatura: Luis Ortega, Rodolfo Palacios, Fabián Casas; fotografia: Timo Salminen; montaggio: Rosario Suárez, Yibrán Asuad; musiche: Sune Rose Wagner; interpreti: Nahuel Pérez Biscayart, Úrsula Corberó, Daniel Giménez Cacho, Mariana Di Girolamo, Daniel Fanego, Osmar Núñez, Luis Ziembrowski; produzione: Rei Pictures, El Despacho, Infinity Hill, Exile, Warner Music Entertainment; origine: Argentina, Messico, Spagna, Danimarca, Usa; durata: 97’; anno: 2024

Tags     alterità, Venezia 81
Share