Il 9 dicembre 2021 è morta Lina Wertmüller. Pensando al suo carattere, alla sua grinta, ai suoi film, non la si può immaginare altro che mentre fa uno sberleffo anche alla morte. Era la vedova dello scenografo Enrico Job, con il quale aveva formato coppia fissa per decenni. Era la zia dell’attore Massimo Wertmüller. Amica di Flora Carabella, ex-moglie di Marcello Mastroianni. Assistente di Fellini per La dolce vita e 8 ½. Scopritrice e valorizzatrice del talento attoriale di Giancarlo Giannini. Prima donna candidata all’Oscar per la regia. Quasi tutti i suoi film avevano titoli lunghissimi, per non dire chilometrici. Facevano parte a pieno titolo del repertorio italiano del grottesco, ma il grottesco, in lei, non escludeva il politico.
Si potrebbero citare moltissimi esempi, ma solo riportare per intero i titoli di certi suoi film porterebbe via gran parte dello spazio concessoci. Pensiamo allora a uno soltanto, per esempio a Scherzo del destino in agguato dietro l’angolo come un brigante da strada (1983), che non è neppure dei suoi più noti. Il Ministro dell’Interno (Gastone Moschin), per un guasto al complicato cervello elettronico che lo comanda, rimane prigioniero, assieme al suo autista, della macchina superblindata con la quale effettua i suoi spostamenti. La macchina è impossibile da aprirsi dall’esterno, e i due occupanti involontari rischiano di morire prima per il troppo caldo, poi per il troppo freddo, infine per la fame, dato che non è possibile neppure introdurre qualcosa dall’esterno all’interno.
Del guasto si accorgono due carabinieri (uno è Massimo Wertmüller) e l’onorevole De Andreis (Ugo Toganazzi), democristiano, la cui nomina a sottosegretario a suo tempo era stata bocciata dal Ministro. Ora fa trasportare la macchina nel suo garage, chiama la Digos (nella persona di Renzo Montagnani) ed esperti meccanici, nella speranza di riparare il guasto e riconquistare la stima del Ministro. Tentativi vani. Solo il cervellone elettronico in tilt (situato addirittura in Giappone) potrebbe fornire le istruzioni per l’apertura, e il Ministro, inferocito, comincia a insultare De Andreis con gesti muti, ma eloquenti – “Sei uno stronzo!” è l’epiteto più gentile. Intanto la figlia di De Andreis, Adalgisa (Valeria Golino) amoreggia con uno dei carabinieri, mentre sua moglie (Piera Degli Esposti) se la fa addirittura con un terrorista (Jannacci) nascosto nelle cantine di casa De Andreis. Ogni tentativo risulta inutile. Non solo la macchina non riparte, ma quasi come in un grottesco miracolo, incorpora anche tutti coloro che le stanno attorno, carabinieri, Digos, De Andreis, meccanici… Alla fine, in un grande bagliore, scompare assieme a tutti i suoi occupanti: sogno di tutti noi, forse – sicuramente sogno di Lina, l’allegra anarchica.
Film d’amore e d’anarchia, i suoi, nei quali le istituzioni non fanno mai una gran bella figura. Ma la lucidità dello sguardo di Lina non tollera neppure soluzioni individualistiche, destinate al fallimento. Organizzare la resistenza, sì, ma è inutile, anzi controproducente, tentare da solo di uccidere Mussolini. Lo aveva già scritto l’anarchico Malatesta, e Lina non manca di riportare le sue parole a chiusura di Film d’amore e d’anarchia. Titoli chilometrici, s’è detto. Basti pensare a Travolti da un insolito destino (con Giannini e Melato). Si pensi anche a Pasqualino Settebelezze, tanto apprezzato in America, dove il grottesco si colora di tragedia. Eppure Lina, dopo le esperienze alla Rai e quelle con Fellini aveva esordito nel lungometraggio, nel 1963, con un film in bianco e nero dal titolo brevissimo, secco come una frustata: I basilischi.
Girato in un paesino tra Puglia e Basilicata, narra della vita senza ideali e senza prospettive che vi si conduce. I personaggi principali sono tre amici, Antonio, Francesco (Satta Flores) e Sergio, che passano le giornate in lunghe passeggiate senza scopo. Antonio è iscritto all’università di Bari, ma non ha molta voglia di studiare. Sergio sarà costretto a sposare una ragazza che non ama, solo perché futura proprietaria d’una farmacia. Francesco è l’unico con qualche idea in testa, parla di formare una cooperativa tra i contadini, ma incontra l’ostilità dei possidenti del luogo, fascisti o parafascisti. Corteggia una ragazza, ma è sempre lasciato in sospeso. Ai tre giovani, la notte, non resta che ammirare da lontano, di nascosto, la moglie d’un notabile del luogo, una signora di “coscia lunga”, che ama esibirsi mezza nuda alla finestra.
Un giorno in paese arriva la zia di Antonio, col marito e un’amica che riprende con una cinepresa i volti dei locali, scandalizzandosi quando questi confessano di rimpiangere i tempi del fascismo. Gli zii si portano via con loro Antonio, a Roma, per strapparlo all’abulia che tutto pervade – ma dopo qualche tempo, Antonio torna. Si dichiara entusiasta dell’esperienza romana, ma, guarda caso, non è mai riuscito ad abituarcisi veramente.
Ci si ricorda qui, certo, dei vitelloni felliniani, ma la situazione è completamente senza uscita. I tre amici continueranno a condurre la loro via senza scopo, mentre un’anziana vedova, con più coraggio, si uccide saltando in strada dal suo terrazzino. Alla dirimpettaia che le urla di fermarsi, fa il gesto del silenzio, portandosi il dito sulla bocca. Partendo dal silenzio, il grottesco estenderà il suo manto, anche rumoroso, sull’universo di Lina Wertmüller, sui corpi delle sue attrici e dei suoi attori. Corpi anarchici, amore senza regole. Non stuzzicate la zanzara, neppure dopo morta.
Lina Wertmüller, Roma 1928 – Roma 2021.