L’idea è del fotografo Di Paolo. Raccontare la «strada faticosa percorsa dagli italiani per raggiungere il benessere e le vacanze». Una lunga strada di sabbia, appunto. Poi è il direttore della rivista “Successo”, Arturo Tofanelli, a coinvolgere nel reportage lo scrittore Pasolini: «È quello che desidero. La visione di uno scrittore e quella di un fotografo sensibile come te, due interpretazioni del tutto autonome. Continuate così, state facendo una cosa che lascerà il segno» (Di Paolo 2023, p. 7).

E un segno La lunga strada di sabbia lo lascia senza alcun dubbio. Il reportage che “Successo” pubblica in tre puntate (nei mesi di luglio, agosto e settembre 1959) sarà destinato ad avere una lunga fama. Più volte pubblicato nel corso degli anni, in forme e modalità diverse che quasi sempre hanno però privilegiato il testo di Pasolini escludendo le immagini di Di Paolo. Solo in tempi più recenti, grazie a una riscoperta dell’opera di Di Paolo, aperta dalla retrospettiva al MAXXI di Roma nel 2019 Paolo Di Paolo. Mondo perduto e culminata con la Laurea honoris causa in Storia dell’arte che l’Università La Sapienza gli ha conferito nel maggio 2023, poco prima della sua scomparsa, le fotografie di Di Paolo hanno visto la luce in un volume di teNeues (che raccoglie anche molte immagini inedite), uscito sempre nel 2023.

Un percorso in auto attraverso le coste italiane che la storia editoriale del volume ha provveduto a separare ma che anche nella sua realizzazione si è presentato diviso. Perché se la prima tappa di questo «giro d’Italia sul mare», come è annunciato sulla copertina del numero di luglio del mensile, quella che va da Ventimiglia al litorale laziale, i due la compiono insieme, subito dopo però i percorsi si dividono: «Il resto della Lunga strada di sabbia Pasolini ed io l’abbiamo percorsa ognuno per conto proprio, pur tenendoci in contatto telefonico. Lui a rincorrere e a riconoscere i tratti identitari della nostra società attraverso la corrispondenza dei luoghi con le testimonianze letterarie e culturali; io, a celebrare con il mio obiettivo la perdita e la trasformazione dei valori che avevano generato quelle testimonianze» (ibidem).

Questa considerazione di Di Paolo è illuminante in quanto individua il nucleo centrale del doppio viaggio che il fotografo e lo scrittore compiono, sì separato ma per molti versi coincidente. E che concerne, in definitiva, la nozione di tempo. Una nozione non progressiva ma stratificata di temporalità che è poi uno dei cardini del pensiero pasoliniano e di cui La lunga strada di sabbia è una tappa determinante. Anche perché è il racconto di un momento decisivo della storia del nostro Paese, quello della sua veloce modernizzazione capitalista in cui proprio la coesistenza tra antico e moderno si rende evidente, e che trova nel tempo sospeso della vacanza la sua incarnazione perfetta. Proprio il periodo compreso dal 1959 al 1965 conosce un’esplosione del turismo, che vede raddoppiare gli italiani che vanno in vacanza (cfr. Crainz 2005). La vacanza diviene ormai parte integrante delle abitudini della famiglia italiana. Ed ecco che il reportage di Di Paolo e Pasolini è insieme registrazione di questi mutamenti ma anche testimonianza di un tempo perduto, così come anche di una modalità di racconto (quella del reportage fotografico) che di lì a poco sarebbe scomparso e sostituito dalle inchieste televisive.

Uno dei segni forse più evidenti di questi cambiamenti, di cui sia le immagini del fotografo che il testo dello scrittore portano traccia, riguarda l’esibizione dei corpi, soprattutto femminili. Tanto che potremmo leggere il percorso dal confine occidentale del Paese a quello orientale, dal Nord verso il Sud e viceversa, come un progressivo disvelamento e occultamento del corpo. Un percorso che dai bikini del Nord si dissolve verso gli scialli neri delle donne del Sud. È interessante come sia lo stesso Pasolini a individuare il passaggio dal Sud al Nord in questo elemento, nella comparsa delle «belle donne»: «Non voglio insinuare che nel Sud non ci siano belle donne: […] Ho visto delle femminucce nere e ineleganti, delle adolescenti gelatinose» (Pasolini 2015, p. 132)

Dicevamo dell’idea di un tempo anacronistico che il testo di Pasolini lascia emergere. Sono diversi i passaggi che lo individuano. Eccone due esempi:

I monti della Versilia… ridenti o foschi? Ecco una cosa che non si può mai capire. Un poco folli, di formi, e inchiostrati sempre con tinte da fine del mondo, con quei rosa, quelle vampate secche del marmo che trapelano come per caso. Ma così dolci, mitici. Qui c’è la spiaggia del Cinquale. Un mare di memorie […]. Qui ci fu D’Annunzio. Qui tra il ’20 e il ’30 Huxley scrisse Foglie secche, e Thomas Mann scrisse, indignato, Mario e il mago. Da queste parti veniva anche Rilke, a pensare chissà quali dei suoi sonetti. E ci venne al confino Malaparte. […] Ora cammino per la spiaggia del Cinquale, fra tutte queste memorie (ivi, p. 21). 

Oppure, più avanti, in partenza da Napoli:

Percorro la costa che il Boccaccio, settecento anni fa, in una sua novella ha chiamato la più bella costa del mondo. Lo è. Fulminata dal sole, è rimasta identica nei secoli, emanando fisicamente bellezza, come se la bellezza fosse una bava, un alone, un raggio. Cosa unica al mondo, qui la bellezza produce direttamente ricchezza. La gente vive in una specie di agio tranquillo, lasciando che la bellezza lavori per lei (ivi, p. 71).

Ora, è soprattutto il paesaggio del Sud a incarnare alla perfezione questa idea. Tanto che è la scrittura stessa di Pasolini a subire un cambiamento di tono. Alla fine del primo percorso compiuto con Di Paolo, avviandosi da Ostia verso Napoli così scrive: «E io proseguo da solo. Il cuore mi batte di gioia, di impazienza, di orgasmo. Solo, con la mia millecento e tutto il Sud davanti a me. L’avventura comincia» (ivi, p. 31). In altro passaggio, non pubblicato nel reportage ma recuperato dall’edizione Contrasto del 2015, annota: «Ischia (Casamicciola) Luglio. Sono felice. Era tanto che non potevo dirlo: e cos’è che mi dà questo intimo, preciso senso di gioia, di leggerezza? Niente. O quasi. Un silenzio meraviglioso intorno a me» (ivi, p. 63). Oppure ancora: «Da Taranto a Santa Maria di Leuca, luglio. Volo per la costa meno nota d’Italia: mi trascina una tale gioia di vedere che quasi son cieco» (ivi, p. 115).

Da questo punto di vista il celebre passaggio dedicato alle coste calabresi e in particolare a Cutro, con tutta la polemica che si porterà dietro, è esemplare: «Ecco, a un distendersi delle dune gialle, in una specie di altopiano, Cutro. Lo vedo correndo in macchina: ma è il luogo che più mi impressiona di tutto il viaggio. È, veramente, il paese dei banditi, come si vede in certi westerns. […] Si sente, non so da cosa, che siamo fuori dalla legge, o, se non dalla legge, dalla cultura del nostro mondo, a un altro livello» (ivi, p. 112).

È la scoperta di un paesaggio abitato da un tempo anacronistico, da una sopravvivenza di forme di vita “bandite”, nel senso etimologico del termine, dal mondo presente ad attirare Pasolini. Quelle stesse coste che diversi anni dopo vedranno sbarcare altri “banditi” del mondo contemporaneo. Un paesaggio in definitiva «di miseri, di ladri, di affamati», ma che è «pura e oscura riserva di vita» (ivi, p. 132). Come scrive in un altro passaggio del testo: «Vorrei scriverne, se ne fossi capace […] ma mi occorrerebbe un libro, perché non è successo niente: sono successe solo quelle cose che appartengono solo alla vita, e muoiono dopo cinque minuti» (ivi, p. 63). Ed è significativo allora come il percorso del fotografo e dello scrittore, che si era fermato nella prima tappa del viaggio, si ricongiunga un paio di anni dopo a Monte dei Cocci, nel quartiere Testaccio di Roma per un servizio fotografico sullo scrittore che lo stesso Pasolini commissiona a Di Paolo. Sono i famosi ritratti di Pasolini «sull’altura sovrastata da una croce dalla quale lo sguardo può spaziare su un largo tratto della periferia meridionale di Roma, dominata dalla mole circolare del Gasometro, che sembra poggiare sulle case come un’astronave proveniente da un pianeta remoto» (Trevi in Calvenzi 2018, p. 236).

È in questa collina artificiale dove, nel tempo, sono stati scaricati e accumulati milioni di cocci, frammenti di anfore usate per il trasporto delle merci scaricate nel vicino porto fluviale sul Tevere, che il viaggio del fotografo e dello scrittore non può non chiudersi. Perché qui prende definitivamente corpo quella idea di stratificazione temporale che fa di questo reportage uno degli esempi più proficui del rapporto tra immagine e parola e che proprio nel suo essere contemporaneamente nel tempo e fuori dal tempo rivela ancora tutta la sua vitalità.

Riferimenti bibliografici
G. Calvenzi,a cura di, Paolo Di Paolo. Mondo perduto. Fotografie 1954-1968, Marsilio, Venezia 2018.
G. Crainz, Storia del miracolo italiano, Donzelli, Roma 2005.
P.P. Pasolini, La lunga strada di sabbia. Fotografie Philippe Séclier, Contrasto, Roma 2015.

S. Di Paolo, a cura di, La lunga strada di sabbia. Fotografie di Paolo Di Paolo, teNeues, Augsburg 2023.

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