All’età di 98 anni si è spento il 12 giugno 2023 Paolo Di Paolo, fotoreporter d’eccezione nell’Italia liberata. Nella fase cruciale del passaggio dalla ricostruzione postbellica al miracolo economico, Di Paolo ha dato un contributo primario alla formazione dell’immaginario nazionale: con sguardo ironico e partecipe ha ritratto la nascita della civiltà dei consumi di massa, il turismo, lo star system, l’alfabetizzazione delle campagne, l’impatto tra l’Italia contadina e quella avviata verso l’industrializzazione, con l’irrompere della modernità dei nuovi stili di vita. La sua opera è stata resa nota al grande pubblico con la retrospettiva Paolo Di Paolo. Mondo perduto. Fotografie 1954-1968 curata da Giovanna Calvenzi al MAXXI nel 2019. Prima di allora la sua opera era caduta nell’oblìo, per la drastica decisione dello stesso fotografo di prendere le distanze da una fase di folgorante vitalità e soddisfazione professionale, che sentiva dolorosamente inattuale per l’affermazione del giornalismo dei paparazzi.

Fu, quello di Di Paolo, un silenzio drastico e assoluto, interrotto per caso dalla figlia Silvia, che una volta scoperti in cantina i 250.000 negativi dell’attività di suo padre, divenne l’appassionata custode nonché la meritoria promotrice del recupero di un patrimonio visivo di straordinaria portata. Una scelta radicale, che colpì l’immaginario di un grande fotografo e regista americano, Bruce Weber. Quando scoprì alcune sue fotografie presso una piccola galleria romana specializzata, il Museo del Louvre, Weber si mise sulle tracce del loro autore. L’inspiegabile contrasto tra il glamour internazionale, frequentato da Di Paolo ai massimi livelli per una quindicina di anni, e il ritiro in una dimensione privata, che lo portò a lavorare per i successivi 47 anni come storico, Art Director e Photo-Editor per l’Arma dei carabinieri, è alla base del documentario The Treasure of His Youth (Paolo Di Paolo: un tesoro di gioventù), presentato al Festival di Roma del 2021. Il 16 maggio 2023 l’Università La Sapienza ha voluto conferire al Di Paolo una Laurea honoris causa in Storia dell’arte: un segnale importante nell’ambito dei tutto sommato limitati riconoscimenti accademici alla fotografia nel nostro Paese.

Nato nel 1925 a Larino, in Molise, si trasferì ventenne a Roma viaggiando in terza classe con la valigia di cartone. Qui si iscrisse ai corsi di Storia e Filosofia dell’Università La Sapienza, frequentando le lezioni di Guido De Ruggiero e di Luigi Scaravelli insieme all’amico fraterno Lucio Colletti. La sua formazione umanistica, nutrita anche di una sensibilità per l’arte alimentata dagli incontri con Mario Mafai, Giovanni Omiccioli, Renato Guttuso, Giulio Turcato, Pietro Consagra, Mimmo Rotella e Carla Accardi, lo portò a individuare ben presto la sua strada nella fotografia. Rapidamente e quasi per caso si introdusse nell’effervescente circuito dei rotocalchi e della stampa illustrata, collaborando con alcuni tra i nuovi periodici come “Il Mondo”, “Tempo”, “Successo”, “La Settimana illustrata Incom”, che interpretarono le esigenze di alfabetizzazione di un paese impoverito e distrutto dalla guerra. 

Di Paolo deve la sua maggiore notorietà alla collaborazione continuativa tra il 1954 e il 1966 a “Il Mondo”, diretto da Mario Pannunzio, il più nobile erede della lezione dell’”Omnibus” di Longanesi. Portatore di una visione aristocratica della cultura, grazie anche alla presenza in redazione di intellettuali come Ennio Flaiano e Alfredo Mezio e alle prestigiose collaborazioni, il “Mondo” fu la più autorevole e temuta tribuna di confronto per professionisti, fotoamatori e dilettanti che allora formarono le nuove leve della fotografia italiana. Al corredo delle immagini, sganciato dalla illustrazione della notizia, Pannunzio affidava il compito di interpretare la realtà al pari dei testi. Di Paolo seppe fare propria quella linea editoriale, una media via tra adesione ai fatti ed evocatività, tra cronaca e sospensione temporale, diventando l’autore più assiduamente pubblicato. Rese così l’affresco memorabile di un’epoca della storia d’Italia con uno sguardo personale, che fu riconosciuto da una testata che per lungo tempo non dichiarò i crediti dei fotografi: sua fu la prima fotografia firmata su “Il Mondo” il 20 gennaio 1959, sua l’ultima ad essere pubblicata nel 1966.

Entrato nell’universo dei professionisti con il tocco leggero dell’autodidatta, portò la sua cultura umanistica dentro la costruzione dell’immagine, mettendo sempre la scena o il soggetto che si trovava a ritrarre a confronto con le sue conoscenze e le sue idee. Di Paolo non fu solo un tecnico dell’immagine, ma un autore capace di interpretare la realtà con una cifra inconfondibile, come mostrano i suoi ritratti di personalità del cinema, dell’arte e della letteratura. 

Nel pantheon dei ritratti di scrittori, quali Giuseppe Ungaretti, Dino Buzzati, Carlo Emilio Gadda, Vincenzo Cardarelli, Oriana Fallaci, Alberto Moravia, Ezra Pound, Salvatore Quasimodo, colse con arguzia i caratteri della loro personalità umana e statura intellettuale. Indimenticabile rimane il ritratto di Pasolini del 1960, seduto sull’altura del Monte dei Cocci di fronte a un paesaggio urbano di periferia, coronato da un cielo gonfio di nubi. Racconta Di Paolo che, una volta accortosi che un ragazzo di borgata timidamente li aveva seguiti, cambiò rapidamente l’obiettivo per includerlo nell’immagine. La fotografia restituisce in una cornice quasi epica la flagranza di quel momento. Con Pasolini aveva appena realizzato un reportage rimasto nella storia, La lunga strada di sabbia, commissionato da Arturo Tofanelli per “Successo”: un viaggio estivo sulle coste italiane nel quale memorie letterarie e culturali del passato entravano in collisione con le vistose trasformazioni indotte dal turismo di massa. Dopo la prima tappa insieme a bordo della fuoriserie del fotografo, ciascuno proseguì il reportage per proprio conto, ma il rapporto di stima e di fiducia si rinsaldò negli anni. Lo testimoniano i ritratti di Pasolini con la madre, e la presenza di Di Paolo sui set del Vangelo secondo Matteo e di Mamma Roma.

Nei servizi di cronaca mondana Di Paolo realizzò reportage di successo su protagonisti del costume dell’epoca, a suo agio tra i ricevimenti della nobiltà romana (il Ballo Pallavicini) e nelle case reali (Farouk d’Egitto, Umberto II di Savoia in Portogallo, lo Scià di Persia), vicino a celebrità internazionali (il torero Luis Miguel Dominguín appena fidanzato con Lucia Bosé), icone del glamour e attrici e attori attirati nella capitale dai fasti di Cinecittà e della Dolcevita. Faye Dunaway Grace Kelly, Kim Novak, Yves Montand, Gloria Swanson, insieme a Sofia Loren, Vittorio Gassman, Marcello Mastroianni, Stefania Sandrelli, Alberto Sordi, Monica Vitti e molti altri si concessero con spontaneità al suo obiettivo. Significativo anche nella seconda metà degli anni Sessanta il suo sodalizio con Irene Brin, l’aristocratica regina del giornalismo di moda, con la quale realizzò reportage esclusivi con inarrivabili celebrità del tempo, oltre ad alcuni servizi di moda per la neonata rivista “Domina”, che durò tuttavia solo pochi anni.

Di fronte all’importazione dei modelli del divismo consolidati nelle testate giornalistiche statunitensi e internazionali, Di Paolo seppe conquistare la fiducia di molti suoi protagonisti, presentandosi come un interlocutore non solo competente, affabile e dotato di una spiccata empatia. Soprattutto si distinse per il rispetto della privacy che nasceva dalla consapevolezza del suo delicato ruolo di mediatore della loro immagine pubblica. A lui si rivolse Anna Magnani, giocando d’anticipo contro le pressioni della stampa per ritrarla con il figlio affetto da una paralisi infantile. L’attrice si offrì al suo obiettivo con inusitata familiarità e rilassato abbandono, come mostra il servizio pubblicato su “La Settimana Illustrata Incom” l’11 febbraio del 1956. La dimensione etica della professione rimase un punto irrinunciabile del suo modo di intendere la professione di fotoreporter. Per questo non fece compromessi di fronte alle trasformazioni innescate dalle incalzanti logiche commerciali e all’affermarsi del giornalismo scandalistico, che si accompagnarono alla chiusura de “Il Mondo” e di “Tempo”. Cominciò allora per lui una seconda vita.

Accanto ai personaggi celebri Di Paolo restituì la quotidianità senza nome degli italiani con uno sguardo acuto e nutrito di una cultura visiva esteticamente sorvegliata, che conferisce alle sue scene una solidità fuori dal tempo. Le processioni nelle province meridionali e la vita di città, il lavoro in fabbrica e la reclusione in carcere, i matrimoni nel sud contadino e i divertimenti del turismo balneare, l’inaugurazione dell’autostrada del sole e l’asino al pascolo nel nuovo aeroporto di Pantelleria offrono una sintesi fra tradizione e modernità in immagini rimaste emblematiche. Al centro di queste domina l’interesse autentico per la persona: fotografare per Di Paolo significa coglierne la relazione con lo spazio circostante e con gli altri attori della scena, captarne i gesti e gli sguardi in un processo di costruzione graduale della visione, che all’istante decisivo di Cartier-Bresson preferisce i tempi lenti dell’ascolto e della presenza. Nel tratteggiare il confronto tra i sessi, tra le diverse generazioni e classi sociali degli italiani Di Paolo ha restituito con acuta ironia e sincera partecipazione l’affresco sociologico di una umanità aperta al dialogo e pronta a misurarsi con un presente in rapido divenire, restituendo il senso della loro presenza nella storia. 

Riferimenti bibliografici
Paolo Di Paolo. Mondo perduto. Fotografie 1954-1968, catalogo della mostra a cura di Giovanna Calvenzi (MAXXI, Roma), Marsilio, Venezia 2019. 

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