La pandemia che stiamo ancora vivendo ha plasmato in modo prepotente le nostre vite e il nostro immaginario. Volatile come il virus che l’ha causata, la paura non è più rimasta relegata al singolo episodio o alla singola esistenza ma si è incistata nella quotidianità collettiva, divenendo parte integrante della realtà condivisa e della percezione comune. Ma è «inutile lamentarci: siamo quello che siamo, l’essere più pauroso al mondo, l’essere che più fa paura al mondo. Possiamo vagheggiare paradisi sicuri, ma in terra non esistono. Dovremo farci i conti, una volta terminata la pandemia attuale. Prudente dovrà essere l’epoca nuova che ci attende» (Filoni 2021).

Dell’irruzione della paura nella nostra società come presenza invisibile eppure corposa, tutt’altro che fantasmatica, si occupa Il calcolo della paura, l’ultimo libro di Marco Filoni, uscito ne I Quanti, la nuova collana della casa editrice Einaudi. Non è certo un caso che I Quanti nasca proprio in un tempo di rimescolamento del mondo conosciuto, un tempo in cui si cercano strumenti che possano tematizzare in modo inedito domande e risposte del presente. L’idea innovativa di questa collana digitale è ben delineata qui e la sua identità volutamente ibrida – tra rivista letteraria e collana editoriale vera e propria – emerge come tratto distintivo, in sintonia perfetta con un presente ancora limbico, tutto da decifrare e illuminare. Viene chiamata in causa una buona dose di proattività da parte del lettore, al quale si richiede di comporre la “propria” rivista, la “propria” collana, costruendo il puzzle di sapere che più lo interessa e che ritiene utile per ottenere risposte su un presente magmatico e complesso come quello che ci troviamo a vivere. Ecco perché I Quanti: le particelle che compongono il cosmo diventano le particelle che strutturano l’universo di riflessione di ogni lettore. La collana prevede tre uscite annuali, ognuna costituita da diversi titoli pubblicati in contemporanea.

Uno dei primi sei titoli di questi Quanti è, appunto, Il calcolo della paura, un libro che ci conduce con la scrittura mite e sapiente di Marco Filoni, una scrittura dal passo sicuro eppure dolce, nei meandri di una tematica come la paura, «questo ospite ingrato, inatteso, eppur tutt’uno con l’uomo», che solo così può essere affrontato, trasmettendo la fiducia necessaria a fronteggiarlo e a procedere. Questo è un libro denso di citazioni, come Filoni stesso esplicita in una nota bibliografica, ed è una scelta consapevole dettata anche dalla tematica, oltre che dalla straordinaria ampiezza culturale dell’autore. Le citazioni sono usate qui esattamente come le intendeva Walter Benjamin: «Le citazioni, nel mio lavoro, sono come briganti al bordo della strada, che balzano fuori armati e strappano l’assenso all’ozioso viandante».

Il richiamo continuo a romanzieri, filosofi, poeti, non è certo un esercizio di stile, quanto una bibliografia anche sentimentale che infonde coraggio e illumina la strada. E c’è un “brigante”, tra gli altri, che pian piano diventa compagno e incarna il filo di Teseo: quando ci s’inerpica nei sentieri della paura meglio avere una sicura via di fuga. Il brigante che Filoni trasforma in compagno di viaggio è Paul Celan, che con i suoi versi ci conduce in un corpo a corpo al cospetto della paura – e non si potrebbe aspirare a compagno più esperto. Questo è forse uno dei pregi più grandi del lavoro di Filoni, chiamare a raccolta le menti più lucide e vibranti insieme ai cuori più impavidi della nostra modernità, da Hobbes al Novecento, per farne dono alla comunità in un ragionare organizzato, in un periodo in cui la paura emerge dai gangli delle nostre vite. Ma non è la paura a doverci spaventare, quanto la sua declinazione più cieca: «Ecco perché dobbiamo esser liberi di avere paura: per essere liberi dal terrore», ci ricorda Filoni.

Perché la pandemia non ha «parole per essere detta. Quindi pensarla assomiglia a un oltraggio, perché eccede i nostri sistemi di pensiero: fatichiamo a trovare una misura, perché i nostri schemi, i codici di cui disponiamo e le formule che abbiamo usato finora faticano a contenerla, non bastano. Troppo grande lei, troppo piccoli noi». Ed è per questo, ci dice Filoni, che «serve una filosofia. E serve perché non è una guerra, dove il nemico è chiaro, dove la violenza e la morte sono indirizzate, dove la logica è ordinata. Ognuno non è piú il nemico di nessun altro, ma la sua peste. Ognuno è la peste di chiunque. Ogni ordine sparisce, qualunque prevedibilità è cancellata. La peste mescola le ragioni su cui siamo abituati a strutturare il nostro pensiero».

Il procedere raziocinante del pensiero va strutturando una nuova realtà in fieri, e questo è al contempo un appello alla necessità della filosofia nella nostra contemporaneità ma anche al compito primario della politica. Se il tocco magico ma razionale della filosofia permette di pensare ciò che appare impensabile, di addomesticare la realtà fino a renderla intellegibile o, almeno, non più amorfa o spaventosamente polimorfa, è però la politica a dover gestire la realtà organizzata e restituita dal pensiero, includendo quella componente essenziale ma non sempre ponderabile chiamata “emozione”: «Come governare le emozioni e come si governa con le emozioni?» E quando l’emozione diviene magma collettivo, come nel caso di una pandemia, questa domanda appare ancora più appropriata – e stringente per tutti noi. Allora è questo, fra gli altri, il dono più grande che Filoni ci fa con questo suo libro: dopo averlo letto ci sentiamo sicuramente meno persi di fronte alla paura e ai suoi interrogativi. E non più soli.

 Marco Filoni, Il calcolo della paura, Einaudi, Torino 2021. 

*L’immagine di anteprima dell’articolo è un dettaglio de L’urlo (Munch, 1893).

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