Michelle è una signora in pensione che vive da sola in una bella casa di campagna in Borgogna e trascorre le giornate curando l’orto, passeggiando nei boschi con un’amica, leggendo gialli. Nell’attesa di una visita della figlia da Parigi, accompagnata dall’amato nipote, la donna raccoglie funghi per il pranzo; l’incontro, però, riporta alla luce attriti familiari mai appianati. Alla vicenda di Michelle si lega, simmetricamente, quella dell’amica Marie-Claude, che ha un figlio in uscita dal carcere; i destini di questi figli di madri sbagliate, gravate da sensi di colpa, andranno fatalmente ad intrecciarsi.

Notevole successo in patria, poco visto in Italia, l’ultimo film di Ozon dialoga intensamente con l’ormai remoto, terzo lungometraggio del regista francese, Sotto la sabbia (2000), ed è forse a questo legame che si deve il titolo italiano, Sotto le foglie, che non traduce l’originale Quand vient l’automne (Quando viene l’autunno). In quel film che gli diede fama internazionale, Ozon metteva al centro della storia una perdita: durante una giornata al mare, un uomo si allontana dalla moglie per andare a fare un bagno e non se ne sa più niente; la moglie continua a vederlo, come un fantasma buono, e a negarne la scomparsa.

Sotto le foglie è diviso in due da un evento tragico di cui non possiamo dire nulla, non per rispetto del lettore, ma perché il film non ce lo mostra, passando direttamente dall’antefatto alle conseguenze. Anche in questo caso, la persona non più in vita appare alla figura familiare che più si strugge per la sua scomparsa; anche qui, la rimozione non si esaurisce nell’ellissi narrativa che elimina la causa per concentrarsi sugli effetti, perché l’ellissi è il sintomo di una rimozione più estesa che ha condizionato pesantemente le vite dei personaggi. La prima parte del film prepara l’evento, anticipandone il contenuto, come se si trattasse di un destino ineluttabile; allo stesso tempo, dissemina indizi del passato in cui risiede il problema di fondo. Pensiamo alla prima scena, quando Michelle va a messa e ascolta la lettura dell’episodio del vangelo di Luca in cui Maria Maddalena lava i piedi a Gesù di fronte a Simone il Fariseo; oppure pensiamo al pranzo, che anticipa in forma embrionale l’evento tragico di metà film, anche nella forma enigmatica e irrisolvibile (l’intossicazione da funghi è stata intenzionale?).

In questa prima parte, la cinefilia di Ozon, cifra indiscutibile del suo cinema, dispensa ampi riferimenti a Claude Chabrol (Grazie per la cioccolata, 2000) e naturalmente al Bergman di Sinfonia d’autunno (1978). La musica di Evgueni e Sacha Galperine (già autori della partitura della miniserie Scene da un matrimonio di Hagai Levi), più atmosferica che tematica, è proprio una pianistica “sonata d’autunno” caratterizzata da una scrittura più verticale che orizzontale, tutta sottrattiva per accogliere le immagini, anziché additiva. L’ambientazione, dal canto suo, sembra orientata ad accogliere un congegno narrativo tanto lento quanto inesorabile verso lo scioglimento tragico, che però si colloca nel mid-point e non nel finale, aprendo la seconda parte del film alla possibilità contemplativa. Sotto le foglie, in questo senso, diventa un “sopra” le foglie, vale a dire che Ozon esplora tutte le istanze di un atteggiamento spaziale di ecofilia, di fusione tra personaggio e paesaggio, attraverso campi lunghi e attenti accordi cromatici che mettono in relazione figure e sfondi, con il contributo decisivo di costumi e scenografia perfettamente armonizzati dalla fotografia di Jerome Alméras.

Inizialmente, pur con una notevole propensione all’inquadratura in esterni, in campo aperto, Ozon punteggia il film di cornici che reinquadrano uno spazio già inquadrato, come a suggerire che la complessa stratificazione di eventi e sentimenti necessita di un procedimento analitico. Progressivamente, Michelle entra in rapporto con la natura fino a fondersi con essa, che è l’esito ultimo dell’atteggiamento ecofiliaco, come si evince dall’ultima inquadratura del film, in cui la macchina da presa in posizione zenitale mostra il corpo di Michelle che giace tra la bassa vegetazione dell’amato bosco. Ma fin dall’inizio del film abbiamo avuto molteplici manifestazioni di questo amore per la natura che, nell’interpretazione classica di Erich Fromm, «permette di superare il senso di isolamento e separazione» (1963, p. 17).

La condizione di isolamento è strutturale per Michelle, ed è risolta da Ozon nella messa in scena di una sostanziale solitudine umana, come quella di chi deve scontare una colpa. Pur avendo a disposizione un’attrice teatrale di grande talento, la regia non impegna Helene Vincent (Michelle) in lunghi piani-sequenza, ma la obbliga al monologo muto del pensiero rimuginante, tradotto dalla microdrammatica del volto o dal movimento nello spazio, in inquadrature raccordate in cui riprendere e reinventare ogni volta il filo della continuità. Se la possibilità del paesaggio è offerta proprio dalla separazione fra soggetto e natura, perché configura una condizione di apprezzamento estetico dello spazio, resta però inevasa l’aspirazione a ricolmare quella separazione, a risarcire quella ferita.

Sotto le foglie si articola dunque in un percorso narrativo fondato sull’ordine dei successivi e orientato (come tutti i dispositivi temporalizzati) alla morte; in un percorso contemplativo fondato sull’ordine dei coesistenti e, come tutti i dispositivi spazializzati, orientato alla physis: ma c’è un terzo itinerario le cui tappe sono istituite da un movimento di macchina molto esplicito, la panoramica verticale. Se essere narrati vuol dire procedere verso la morte, per fondersi con la natura da cui siamo stati generati, l’umano aspira comunque a un altro tipo di salvezza: ecco allora che la panoramica verticale punteggia il film descrivendo la relazione spaziale tra cielo e terra, come nelle chiese gotiche della Borgogna in cui Michelle cerca pace, senso o perdono. Il terzo ordine del discorso è dunque quello trascendentale e si articola in sommesse, tutt’altro che spettacolari, eppure ricorrenti ierofanie, atteggiamenti spaziali che rivelano non ambienti né paesaggi ma traiettorie lungo le quali «qualcosa di sacro si mostra a noi» (Mircea Eliade, 1982, p. 122).

Riferimenti bibliografici
G. Barbiero, R. Berto, Introduzione alla biofilia. La relazione con la Natura tra genetica e psicologia (nuova edizione), Carocci, Roma 2024.
M. Eliade, Religione, in Enciclopedia del novecento, Istituto Treccani, Roma 1982.
E. Fromm, L’arte di amare, Il Saggiatore, Milano 1963.

Sotto le foglie. Regia: François Ozon; sceneggiatura: François Ozon, Philippe Piazzo; interpreti: Hélène Vincent, Josiane Balasko, Ludivine Sagnier, Pierre Lottin, Garlan Erlos, Sophie Guillemin, Malik Zidi, Paul Beaurepaire, Sidiki Bakaba, Vincent Colombe; produzione: FOZ; distribuzione: BiM Distribuzione; origine: Francia; durata: 102’; anno: 2024.

Tags     ecofilia, paesaggio, physis
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