A Miloš Forman, come a tutti, è toccato il destino di invecchiare, poi di morire (a 86 anni), ma il suo cinema rimane eternamente giovane nella percezione collettiva. Come Polanski, come Skolimowski, partiti dalla Polonia, aveva lasciato la natia Cecoslovacchia dopo l’invasione russa del ’68 e continuato all’estero una fortunata carriera, non senza aver dato, prima, un contributo fondamentale al nuovo cinema del suo paese, la Nová Vlna di Menzel, Chytilová, Ivan Passer ecc., più o meno corrispondente alla Nouvelle Vague francese.
Da subito, già negli anni di formazione alla FAMU (la scuola di cinema di Praga), sua nemica è l’ottusità burocratica, allora incarnata dal Partito Comunista, poi identificata nei vari aspetti che assumono, anche in Occidente, anche nella terra promessa dell’individualismo (gli USA), le istituzioni del Potere.
La burocrazia si impadronisce letteralmente delle nostre vite, pretende di dirigerle e regolarle, imponendo, anche con la violenza (se occorre), una serie di regole assurde, finalizzate al conseguimento di obbiettivi fittizi. Contro questa violenza, contro questa sistematica coercizione delle più naturali e innocenti aspirazioni, uniche armi sono la musica, espressione di rivolta e anti-conformismo (soprattutto giovanile), e l’ironia, che mette a nudo le ipocrisie e smaschera l’assurdità truffaldina di convenzioni appositamente elaborate in vista del profitto di pochi. Tutto questo già da L’asso di picche (1964) e Gli amori d’una bionda (1965), storie emblematiche di giovani che sembrano avere una percezione istintiva dello squallore nascosto dietro la retorica dei grandi ideali “socialisti”, e tentano la difficile salvaguardia di aspirazioni magari confuse, ma genuine, senza escludere l’accesso a un erotismo liberatorio.
Da questo punto di vista, va considerato esemplare un film come Al fuoco, pompieri! (1967), l’ultimo girato da Forman in Polonia, prima dell’espatrio. È un’opera in cui il regista, allora già conosciuto anche all’estero, si scontra con l’ottusità dei burocrati di partito, che si riconoscono, senza bisogno di accenni espliciti, in quella ridicola festa dei pompieri, durante la quale si svolge una lotteria i cui premi vengono tutti rubati, e quando scoppia un vero incendio nessuno è in grado di spegnerlo.
Di conseguenza arriva la censura di partito, ma non solo: Forman ha modo di saggiare anche le delizie del modo di produzione capitalistico, visto che vi partecipa, con una certa quota, addirittura Carlo Ponti, il quale naturalmente non gradisce la radicalità dell’ironia del regista, si tira indietro, minaccia azioni legali con vari pretesti.
Dunque Forman deve aver capito subito che, lasciando la Cecoslovacchia, non avrebbe trovato necessariamente rose e fiori sulla sua strada, ma ormai per lui l’aria si era fatta irrespirabile, la rottura col regime irrevocabile, e l’espatrio diventava necessario.
Il primo film girato negli Stati Uniti sarà Taking Off (1971), sceneggiato, tra gli altri, da Jean-Claude Carrière. La vena ironica non viene certo meno nella società americana, in cui si ritrovano i vizi dell’ipocrisia mascherata di perbenismo piccolo-borghese, e la ribellione giovanile, che cerca sfogo nella musica e nelle canzoni, qui e ora, si confronta anche con la droga. Jeannie, ragazza di buona famiglia, fugge di casa, tenta un’audizione a New York, insieme a centinaia di altre ragazze; i genitori la cercano, prima privatamente, poi tramite una grottesca “Associazione dei Genitori con Figli Scappati”. Finiscono anche loro per provare la marijuana, e quando la figlia tornerà a casa li troverà impegnati in una ridicola partita a carte con spogliarello, assieme a un’altra coppia di genitori. Naturalmente, nessuno è mai sfiorato dall’idea di cercare di capire le ragioni del disagio dei figli, ma risulta emblematico il fatto che Jeannie presenti ai genitori il nuovo fidanzato, e si tratti, guarda caso, d’un musicista rock, ribelle e capelluto, che però (dettaglio non insignificante) guadagna già un sacco di soldi.
Le successive tappe della carriera di Forman sono note. La consacrazione internazionale avviene col grande successo di Qualcuno volò sul nido del cuculo (1975), contro l’istituzione psichiatrica. In proposito, Forman ebbe a dichiarare: «Per voi è solo un personaggio inventato, ma io ho provato sulla mia pelle le angherie dell’infermiera Ratched, ed erano quelle dei burocrati del Partito Comunista cecoslovacco». L’altro grande successo, di nuovo nel segno della musica, fu Amadeus (1984), dove a un Mozart tutto genio e sregolatezza si contrappongono le convenzioni e le ipocrisie d’una società settecentesca sull’orlo della sparizione; ma va notato che anche Salieri, l’antagonista, finirà in manicomio, tormentato dall’invidia e dai sensi di colpa.
Nel mezzo, altri successi: Hair (1979), Ragtime (1981) e poi Valmont (1989), Larry Flint (1996), Man on the Moon (1999, biografia del comico Andy Kaufman), fino alla malattia agli occhi, rapidamente degenerata, che però non gli impedirà di girare un altro capolavoro, L’ultimo inquisitore, del 2006, con Xavier Bardem e Natalie Portman. Ancora alle prese con gli inquisitori, il pittore Goya, ormai completamente sordo, e la cui vista si sta – come quella del regista – abbassando, lotta per la sua libertà e per quella della sua arte, contro gli apparati infami del Fanatismo e dell’Ortodossia. Lotta per essere libero di dipingere i mostri, i capricci, i disastri della guerra, fino all’ultimo autoritratto in forma di rovina.
Riferimenti bibliografici
J. Slater, Milos Forman. A Bio-bibliography, Greenwood Press, New York 1987.