“Cambiando il corpo si cambia la società. Cambiando la società si cambia l’anima. Cambiando l’anima si cambia la società. Cambiando la società si cambia tutto”. Intonando queste parole l’avvocata Rita cerca di convincere un medico titubante a dedicarsi, nella massima discrezione, al caso del suo assistito, Manitas del Monte, uno dei più pericolosi boss del cartello messicano. Il narcotrafficante vuole cambiare genere. Nato in un corpo maschile e ai margini del corpo sociale, cresciuto praticando la violenza al fine di ottenere potere, Manitas vuole cambiare vita, far finalmente emergere la propria anima cambiando il proprio corpo. Da questo cambiamento nasce Emilia Pérez, protagonista dell’omonimo gangster musical di Jacques Audiard. 

Emilia Pérez non si limita a costruire una narrazione complessa intorno ad una protagonista transessuale, ma tematizza la riflessione sul genere come costrutto sociale, sulla codificazione convenzionale dei concetti di femminile e maschile e sulla possibile deflagrazione del binarismo di genere, innescata da uno sguardo intersezionale, quindi non dimentico delle questioni etniche o di classe, sui soggetti e sulla società. Assumendo questo punto di vista, a livello formale, un film “di genere” come Emilia Pérez non può che ragionare sulla fluidità del proprio corpo testuale, nato dall’ibridazione di due generi cinematografici, il musical e il gangster movie. In fondo, anche il genere cinematografico è il prodotto di una negoziazione tra soggetti sociali – produzione e distribuzione, spettatori, critica e teoria secondo la proposta di Altman (2004).

Nonostante nel cinema americano classico essi pongano ossessivamente sotto i loro riflettori la formazione di una coppia eterosessuale (Altman 1989), è proprio nei musical che si registrano alcune delle prime rappresentazioni della transessualità nel cinema popolare (Richardson, Smith 2022, p. 20): tra tutti restano memorabili Anybodys in West Side Story (Wise, Robins, 1961) e Franken Furten in The Rocky Horror Picture Show (Sharman, 1975). D’altro canto per sua natura (convenzionale) il musical è corpo fluido caratterizzato da continue transizioni tra scene parlate e numeri musicali che riscrivono le coordinate del verosimile e di ciò che è percepito come “consueto”, “normale”. Ecco che, orchestrando un musical, Audiard può far implodere dall’interno i meccanismi patriarcali dei gangster movie, dominati da protagonisti maschili il cui praticare violenza è una legittimazione testosteronica (anche quando, piegati dai loro conflitti, diventano degli antieroi). Il regista e sceneggiatore attribuisce così al suo boss una disforia di genere che lo porta a mettere in discussione per intero la propria attività criminale.

Nelle mani di Audiard, insomma, il musical si trasforma in un dispositivo tellurico capace di riconfigurare geografie identitarie e di genere. Conseguenza di questo smottamento è l’eruzione delle anime delle sue splendide protagoniste che proprio attraverso i numeri musicali riescono ad intonare le loro verità. Nella sequenza d’apertura del film Rita (Zoe Saldana) canta della sua frustrazione di donna nera costretta a rinunciare ai propri desideri e a perorare le cause amorali – un femminicidio fatto passare per suicidio – dello studio legale per cui lavora al fine di sostenersi. In seguito, durante un galà, nella “finzione” di un numero musicale, unico spazio in cui può far sentire la sua voce, danzando libera e sensuale sui tavoli smaschera le ipocrisie dei potenti che la circondano, mentre questi si muovono come marionette. Jessi (Selena Gomez), moglie di Manitas, obbligata a vivere con i suoi figli dopo la presunta morte del marito nella casa della presunta cugina di questi, Emilia, manifesta il suo desiderio di evasione grazie ad una danza nervosa che le permette di varcare le soglie dalla gabbia dorata in cui si ritrova rinchiusa e accedere ad uno spazio altro, in cui poter decidere autonomamente del proprio destino. Emilia (Karla Sofía Gascón) rivela il suo amore sincero per Epífania (Adriana Paz) intonando una melodia in cui si commuove ammirando la luce che sta rischiarando la sua esistenza.

Perché cambiare corpo ha significato per Emilia cambiare vita. Almeno apparentemente. Nel secondo atto del film, la donna intraprende un percorso di redenzione che sembra allontanarla dai tracciati narrativi codificati del gangster movie. Diventa un’attivista e, ancora supportata da Rita, fonda La Lucecita, un’associazione che ha lo scopo di ritrovare, “portare alla luce” i corpi delle migliaia di vittime dei narcotrafficanti e restituirli alle loro famiglie. La donna vuole scuotere la società denunciando la collusione delle istituzioni con i cartelli. Ma cambiare corpo non ha significato per Emilia cambiare anima. E quando Jessi “evade” dal suo controllo, decidendo di risposarsi e di trasferirsi altrove con i suoi figli, riemerge l’anima criminale di Emilia, che torna ad assumere atteggiamenti violenti da gangster testosteronico. Un tracollo che la conduce alla morte.

Laddove altri recenti film vestiti di un femminismo performativo (Babygirl e Love Lies Bleeding tra gli altri) suggeriscono, più o meno velatamente, l’assunzione da parte delle donne di atteggiamenti prevaricatori e convenzionalmente “maschili” come una maniera per incrinare dall’interno il sistema patriarcale, Emilia Pérez mette in scena il destino tragico che attenderebbe il corpo sociale qualora si muovesse in questa direzione. Ecco la riconfigurazione del genere che lo sguardo queer, mediato dal musical, di Audiard propone sul gangster movie e sull’ideologia binaria: a prescindere dall’identità di genere di chi la pratica, non c’è eroismo nella criminalità. Una semplificazione buonista? Non nell’opera polimorfa di Audiard, che si chiude con una scena corale in cui individui inconsapevoli di chi fosse Emilia prima della sua transizione portano in processione una sua statua e cantano in suo onore. Come nel più classico dei musical, il numero musicale rivela un’utopia (ibidem), quella di un’armonia sociale intorno ai valori incarnati da Emilia, paladina della verità. Un’armonia che il film suggerisce trovarsi al di là dei generi come costrutti coercitivi. Non nel loro annullamento, quindi, ma nella piena comprensione dei loro meccanismi, fluidi al punto da permettere a qualunque individuo, a qualunque film, di attraversarli, ibridarli, riconoscersi o meno in essi.

Riferimenti bibliografici
R. Altman, The American Film Musical, Indiana University Press, Bloomington 1989.
Id., Film/Genere, Vita e Pensiero, Milano 2004.
N. Richardson, F. Smith, Trans Representations in Contemporary, Popular Cinema, Routledge, Londra 2022.

Emilia Pérez. Regia: Jacques Audiard; sceneggiatura: Jacques Audiard, Thomas Bidegain, Léa Mysius, Nicolas Livecchi ; fotografia: Paul Guilhaume; montaggio: Juliette Welfling; interpreti: Karla Sofía Gascón, Zoe Saldana, Selena Gomez, Edgar Ramirez, Mark Ivanir, Adriana Paz, James Gerard, Shiraz Tzarfati, Agathe Bokja; produzione: Why Not Productions, Page 114, Saint Laurent Productions, Pathé, France 2 Cinéma, Pimienta Films; origine: Francia, USA, Messico; distribuzione: Lucky Red; durata: 132′: anno: 2024.

Share