This is the way the world ends
This is the way the world ends 
This is the way the world ends 
Not with a bang but a whimper.
T. S. Eliot

T. S. Eliot non vede la fine del mondo come un cataclisma, un baccano (bang) assordante che d’improvviso disintegra ogni cosa, bensì come un flebile piagnisteo (whimper) che lentamente erode gli argini della nostra esistenza (Eliot 2002, p. 81). Per il poeta la fine è un evento realistico, svuotato di qualsivoglia proiezione immaginifica, un esito banale della decadenza occidentale. Nel poema, infatti, il mondo moderno è destinato a spegnersi gradualmente, proprio come quegli uomini vuoti privi della forza di opporsi all’imminente tragedia, capaci solo di sussurrare parole sconnesse. L’Occidente contemporaneo sembra aver recuperato quella sensazione di soffocamento di fronte ad un futuro incerto e un presente incomprensibile: i bombardamenti mediatici, l’eccessiva ingerenza del mondo virtuale nella vita privata e l’interpassività digitale hanno progressivamente anestetizzato la nostra capacità di desiderare e lottare per un mondo diverso.

Il regista rumeno Radu Jude con il suo nuovo film Do Not Expect Too Much from the End of the World (2023), presentato in anteprima nazionale alla 41ª edizione del Torino Film Festival, sembra essere riuscito a rileggere in chiave moderna le intuizioni eliottiane, senza però snaturarne l’afflato profetico. Se tuttavia per Eliot baccano e piagnisteo rappresentano due esiti distinti e antitetici della fine del mondo, nelle opere di Jude si intrecciano in un frammentato ritratto del mondo capitalistico, acquisendo una valenza più politica che poetica. La categoria di baccano esiste dunque in quanto metafora del progresso storico e come riflessione sul collasso delle ideologie: Jude, infatti, è consapevole che la fine non consiste soltanto in «una “crisi” nel tempo e nello spazio, ma in una feroce corrosione del tempo e dello spazio» (Danowski, Viveiros de Castro 2017, p. 52) provocata dalla violenza biopolitica dell’attuale sistema economico. Dunque, quelli che vediamo sullo schermo non sono presagi di una catastrofe come avviene, per esempio, in Melancholia (2011) di Lars Von Trier, o un lento appassire del tempo come in Il cavallo di Torino (2011) di Béla Tarr, ma il quotidiano deterioramento della nostra umanità intrappolata in un mondo distopico.

Anche in Do Not Expect Too Much from the End of the World ritroviamo il tema cardine dell’intera filmografia di Jude: il baccano provocato dal conflitto tra il passato e il presente, tra la tragedia della dittatura comunista e la farsa della contemporaneità. La Storia dialoga letteralmente con l’attualità già a partire dal primo atto, A) Angela: un dialogo una conversazione con un film del 1981, dove assistiamo all’interminabile giornata lavorativa di Angela (Ilinca Manolache) alle prese con il traffico di Bucarest e con numerose interviste ad operai infortunati sul lavoro. A queste immagini si alternano quelle di Angela merge mai departe (1981) di Lucian Bratu, un film “proto-femminista” di propaganda incentrato sulla vita di una giovane tassista con lo stesso nome della protagonista. I due film dialogano tra di loro con lo scopo di creare un contrappunto percettivo tra il falso benessere della Romania di Ceaușescu e la precarietà del mondo attuale. Per rinforzare il contrasto Jude decide inoltre di girare il suo film in 16 mm con un granuloso bianco e nero, mentre l’opera di Bratu viene mostrata a colori e in 35 mm. 

Il lavoro meta testuale del regista non si risolve esclusivamente in una brillante operazione di montaggio intellettuale, ma anche nella fusione dei due racconti in un unico percorso narrativo. Ad un certo punto la tassista irrompe nel film di Jude assumendo le sembianze della madre di Ovidiu, uno degli operai intervistati da Angela e protagonista del secondo atto B) Ovidiu: materia prima. Questa anomala convivenza di due opere così diverse diventa un pretesto per far dialogare virtualmente due generazioni molto distanti su un piano politico: la tassista, ormai anziana, incarna il fallimento delle speranze progressiste del regime, mentre Angela è costretta misurarsi con la precarietà lavorativa e l’instabilità del mondo contemporaneo. L’incursione della Storia nell’attualità attraverso questo escamotage metacinematografico consente a Jude di utilizzare il passato come una vera e propria arma ideologica per «pensare storicamente il presente, in un’epoca che prima di tutto ha dimenticato come si pensa storicamente» (Jameson 2007, p. 5).

Nel delineare il contrasto tra il mondo post-totalitario e la colonizzazione degli spazi da parte del capitalismo, il regista utilizza alcune soluzioni formali già riscontrate in Sesso sfortunato o follie porno (2021): le inquadrature fisse sugli spostamenti della protagonista in una Bucarest devastata dai cartelloni pubblicitari e i fotogrammi costruiti ad hoc per rinforzare l’amara allegoria del presente – come, in questo caso, l’ingresso del cimitero oscurato dalla scritta www.cimitr.ro. Il mondo che consociamo oggi, sembra volerci dire Jude, è tutto ciò che rimane quando «ogni ideale è collassato allo stato di elaborazione simbolica o rituale» (Fisher 2018, p. 31). Quindi non resta altro che il piagnisteo dell’uomo contemporaneo, sempre più somigliante agli uomini vuoti presentati da Eliot, un «consumatore-spettatore che arranca tra i ruderi e rovine» (ibidem) di un mondo con cui non riesce a comunicare.

L’incomunicabilità tra soggetto e società viene inoltre problematizzata attraverso un’attenta disamina dell’attuale panorama mediatico: Angela non lavora solo come assistente di produzione ma anche come influencer. Tra un’intervista e l’altra la donna si trasforma, grazie ad un filtro di Tik Tok, in un uomo pelato con barba e mono ciglio di nome Bobiţă, una caricatura dei content creators miliardari che infestano i nostri dispositivi. Questo “secondo lavoro” non le pesa particolarmente perché viene vissuto con un intento esplicitamente parodico. È anche una sorta di valvola di sfogo personale, un modo di scaricare la tensione dopo estenuanti giornate trascorse in macchina. Jude integra gli schermi verticali dei nuovi media all’interno della sua anarchitettura filmica per mostrare l’«edonia depressa» (ivi, p. 59) provocata dalla ricezione passiva dei social con le loro tragiche ripercussioni sulla salute mentale. Angela ad un certo punto decide di accostare con la macchina sul ciglio della strada perché troppo stanca per guidare: il suo primo pensiero però non è reclinare il sedile, bensì afferrare il telefono e scrollare senza logica alcuni demenziali reels su Instagram, immersa in uno stato malsano di dormiveglia.

Do Not Expect Too Much from the End of the World è un’opera-mondo, un viaggio rocambolesco tra le contraddizioni del presente e le rovine della Storia. Il realismo capitalista comporta un cortocircuito temporale in cui l’assenza di un futuro ci lascia inevitabilmente senza passato; il presente non riesce a riconfigurarsi in tempo per rispondere lucidamente alla catastrofe e quindi ci lascia in balia del piagnisteo profetizzato da T. S. Eliot. Il consiglio di Jude è di non aspettarsi troppo dalla fine del mondo perché forse la stiamo già vivendo, e non possiamo fare altro che esorcizzarla con un’amara risata. Forse la nostra condizione è proprio esemplificata dallo splendido fotogramma che appare verso metà film di un orologio senza lancette con sotto una scritta: «È più tardi di quello che pensi».

Riferimenti bibliografici
D. Danowski, E. Viveiros de Castro, Esiste un mondo a venire? Saggio sulle paure della fine, Nottetempo, Milano 2017.
T. S. Eliot, Collected Poems 1909 – 1962, Faber and Faber, London 2002.
M. Fisher, Realismo Capitalista, Nero, Roma 2018.
F. Jameson, Postmodernismo, ovvero La logica culturale del tardo capitalismo, Fazi editore, Roma 2007.

Do Not Expect Too Much From The End Of The World. Regia: Radu Jude; sceneggiatura: Radu Jude; fotografia: Marius Panduru; montaggio: Catalin Cristutiu; interpreti: Ilinca Manolache, Ovidiu Pîrsan, Nina Hoss, Dorina Lazar, László Miske; produzione: 4 Proof Film, microFILM, Les Films d’Ici, Paul Thiltges Distributions, Kinorama, Flaneur Films, Bord Cadre Films, Sovereign Films; origine: Romania, Croazia, Francia, Lussemburgo ; durata: 164’; anno: 2023.

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