Nell’ambito del festival UnArchive Found Footage Fest di Roma, si è tenuta l’anteprima europea di Darker del filmmaker Bill Morrison su musiche di David Lang, in collaborazione con la Triennale di Milano e l’American Academy in Rome. Darker è un’opera multimediale di found footage che rappresenta un’esplorazione profonda e meditativa dei temi della memoria, della decadenza e della trasformazione. L’opera si inserisce all’interno di una consolidata liaison artistica che vede i due autori impegnati nella ricerca di un linguaggio artistico distintivo, attraverso l’utilizzo di materiali d’archivio e tecniche che esaltano il processo stesso del deterioramento come atto creativo.

Bill Morrison, nominato agli Oscar 2025 per Incident, è un artista e filmmaker che ha fatto del deterioramento della pellicola cinematografica il fulcro della sua poetica. Opere come Decasia: The State of Decay (2002) o Dawson City: Frozen Time (2016) hanno dimostrato la sua capacità di trasformare i difetti fisici del materiale filmico in elementi narrativi autonomi, dove le macchie, i graffi e le dissolvenze non sono semplici incidenti tecnici ma diventano parte integrante dell’estetica del film. In Darker, Morrison riprende questa ricerca, utilizzando immagini d’archivio che sembrano emergere da un oblio. A differenza di Decasia, qui il degrado, cioè la decomposizione chimica dell’emulsione della pellicola, è ancora più accentuato e raggiunge un’intensità tale da ribaltare la dinamica visiva: non sono più le figure umane a dissolversi nell’astrazione della decomposizione, ma al contrario, è il pattern caotico della pellicola corrotta a farsi primario, lasciando che le forme antropomorfe e gli spazi della realtà emergano solo come residui spettrali. Si dissolvono risultando incidentali, come se fossero le figure umane a rappresentare il danno collaterale. Le sequenze del film giocano costantemente sull’ambiguità tra figurazione e astrazione: ciò che inizialmente appare riconoscibile – un volto, un salotto, un edificio – si trasforma progressivamente in una trama di aloni lisergici e scintille elettrostatiche, dove la materia stessa dell’immagine sembra liquefarsi sotto gli occhi dello spettatore.

L’estetica della decomposizione non è mai fine a sé stessa; per Morrison diventa una potente metafora della fragilità della memoria e dell’inesorabilità del tempo. L’opera di Morrison può essere letta come una meditazione sulla mortalità, non solo delle persone raffigurate, ma anche dei dispositivi mediali che le hanno fissate nel tempo, delineando un discorso complesso sulla trascendenza. Le pellicole utilizzate da Morrison sono ritrovamenti di archivio, film dimenticati che recano tracce di vite passate, e il loro lento disfacimento sullo schermo assume un valore quasi rituale. Come un archeologo, Morrison scava negli strati temporali della pellicola, portando alla luce non reperti intatti, ma tracce di un’erosione che diventa forma. La decomposizione rivela una topografia in cui l’umano sopravvive come impronta fossile. Mentre Decasia documenta il processo del decadimento, Darker ne esplora l’esito ultimo: il punto in cui la materia filmica cessa di essere supporto per farsi pura traccia astratta. Lo spettatore è chiamato a decifrare un paesaggio in cui figure e fondo si invertono; al contempo, i volti che emergono dall’astrazione indistinta della materia degradata sembrano raccontare una storia oscura, “più cupa”, di possessione, amori terribili, famiglie spezzate, conflitti, danze macabre. Una brevissima sequenza sembra mostrare un prestidigitatore con il cappio al collo che ricorda Houdini, quasi ad affermare il potere alchemico delle immagini tra figurazione e astrazione, suggerendo una sorta di metamorfosi e trasmutazione in cui la materia si trasforma in pura energia.

La composizione di Lang, eseguita dall’orchestra PMCE – Parco della Musica Contemporanea Ensemble, diretta da Tonino Battista, si sviluppa come una lenta e ossessiva progressione di accordi, dove il movimento armonico crea un effetto ipnotico da mantra, che ricorda le tecniche del minimalismo musicale, in particolare quelle di autori come Arvo Pärt, ma con un’introduzione di dissonanze che conferiscono al brano un carattere inquietante e oppressivo, in linea con il titolo Darker, che evoca un progressivo approfondirsi dell’oscurità, discesa negli abissi della percezione e della memoria. La musica di Lang in Darker si basa su un principio di accumulazione e variazione infinitesimale, dove piccoli cambiamenti si sovrappongono a un materiale di base estremamente ridotto, generando un senso di attesa e di sospensione che riflette, in modo quasi speculare, il processo di deterioramento visivo presente nelle immagini di Morrison. Il compositore americano dimostra una particolare attenzione per le strutture ricorsive; la partitura sembra sgretolarsi e ricomporsi in un ciclo senza risoluzione, come se la musica stessa fosse soggetta alla stessa erosione temporale che caratterizza le pellicole. L’orchestrazione, carica di risonanze, contribuisce a creare un’atmosfera claustrofobica, in cui il suono trascina lo spettatore in un viaggio attraverso strati sempre più profondi di oscurità.

L’interazione tra la musica di Lang e le immagini di Morrison è ciò che rende Darker un’esperienza artistica così coinvolgente e innovativa. I due linguaggi non si limitano ad accompagnarsi reciprocamente, ma si fondono in un’unità indivisibile, si influenzano e si modificano a vicenda. Questo dialogo costante crea un ritmo interno all’opera che non è dettato né dalla narrazione né dalla struttura musicale tradizionale, ma da un flusso di percezioni sinestetiche. La composizione di Lang, con la sua lenta evoluzione, riflette perfettamente questo stato di sospensione. La musica si dissolve gradualmente, come le immagini di Morrison, lasciando lo spettatore in uno stato di attesa senza risposta. Allo stesso tempo, però, ci sono momenti di struggente lirismo, in cui le immagini sembrano entità fantasmatiche che si rifiutano di scomparire del tutto. Ci ricordano che ciò che è nascosto, oscuro, sul punto di svanire, può essere altrettanto potente – se non più potente – di ciò che è esposto in piena luce. In questo senso, Darker può essere considerato non solo un’opera d’arte, ma anche un’esperienza quasi filosofica, che interroga il nostro modo di relazionarci con il tempo, con la memoria e con l’inevitabile decadenza di tutte le cose. Non è semplicemente un concerto accompagnato da proiezioni, né un film con colonna sonora: è semmai un’entità autonoma, in cui suono e immagine sono inseparabili.

In conclusione, Darker è un’opera che costringe lo spettatore a confrontarsi con domande essenziali sulla natura della percezione, sulla fugacità dell’esistenza e sul potere dell’arte di trasformare anche il degrado in bellezza. Si tratta di un’opera carica di emotività e di significato, un’esperienza che continua a risuonare nella mente e nel cuore molto dopo che le luci si sono spente e l’ultima nota si è dissolta nel silenzio prima degli applausi.

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