Da critico cinematografico, Ennio Flaiano è stato un cultore di Rossellini e del cinema capace di mettersi di fronte al reale, che è complessità irriducibile a formule, schemi, pattern; solo così il cinema può andare incontro alla «felicità della scoperta». Per questo Flaiano detesta Via col vento e adora Stromboli, e teniamo presente che quando parla di cinema hollywoodiano non lo fa per sentito dire: ha partecipato alla stesura dello script di Vacanze romane (1953) di William Wyler. In generale, non ama le sceneggiature «scritte in città», ossia messe a punto a tavolino in qualche stanza lontana dalla vita vera, dalla strada, dalle storie in circolazione.
Coerentemente, il Flaiano soggettista e sceneggiatore (più di sessanta le opere che firma tra il 1942 e il 1972) non crede in una narrazione preformata, industriale; non si trova a proprio agio a scrivere con persone che mostrano idee granitiche in partenza o che «parlano per schemi». La scrittura di una storia è un lungo processo di negoziati, aggiustamenti e mediazioni che si svolgono in un campo di relazioni cui appartengono tanto gli sceneggiatori quanto i personaggi; in questo senso, chi scrive non inventa, ma va alla scoperta di qualcosa: «Non vi sono più storie e trame da inventare e da sviluppare, ma storie, ambiente, caratteri e situazioni da scoprire e da conoscere a fondo», dichiara Flaiano alla rivista “Cinema nuovo” nel 1954.
Per Flaiano la sceneggiatura appartiene alla classe documentale dei progetti, ma è un progetto opinabile, permeabile all’intervento della soggettività più di ogni altra scrittura che si possa dire progettuale. Tutto il cinema di Fellini con Flaiano rappresenta un esempio molto chiaro al riguardo. Prendiamo il caso di 8 ½ (1963) e mettiamo a confronto alcuni documenti riguardanti il processo di elaborazione della sceneggiatura e il film finito, a titolo puramente esemplificativo e senza alcuna pretesa filologica (esistono studi storiografici molto seri sull’argomento, a cui rimandiamo).
Partendo dalla lettera che Fellini scrive allo sceneggiatore Brunello Rondi in una fase preparatoria in cui si accumulano disordinatamente idee, disegni, dialoghi, situazioni, si può notare anzitutto che esiste un soggetto che prevede l’alternanza fra un piano reale e un piano fantastico, è stato individuato un luogo (le terme di Chianciano), ma soprattutto c’è un protagonista assai definito nei dettagli psicologici: «La disponibilità totale del suo modo di essere, a lungo andare gli si è dimostrata come una specie di pauroso delirio senza senso e senza scopo», annota Fellini a proposito di Guido Anselmi, il regista che sarà interpretato da Marcello Mastroianni. Anche i personaggi secondari, in particolare l’amante Carla, la moglie Luisa, il cardinale, la coppia telepatica, la ragazza delle terme («Immaginati Claudia Cardinale, bella, giovanissima, ma già matura interiormente, solida, un’offerta di autenticità che il protagonista non sa più accettare», scrive Fellini), Gloria, Mezzabotta, la Saraghina, sono caratteri perfettamente individuati in questa fase della stesura.
Il film però non ha ancora un titolo, sebbene Ennio Flaiano proponga La bella confusione, che Fellini rifiuta; il titolo sarà 8 ½, il numero che il regista ha scritto sul frontespizio della cartellina che raccoglie materiali e appunti sul film, e che deriva dalla somma dalle opere firmate fino a quel momento. Considerato il tema meta-cinematografico del film, è piuttosto sconvolgente sapere che, sebbene il ritratto del protagonista sia molto delineato, Fellini si interroghi ancora sulla professione del personaggio: «È uno scrittore? Un professionista qualunque? Un impresario teatrale?».
Per quanto riguarda la sceneggiatura pubblicata in volume (prima da Cappelli nel 1965, successivamente da Einaudi nel 1974 nell’antologia Quattro film, con la prefazione di Italo Calvino) non soltanto essa differisce dal film realizzato finanche negli episodi fondamentali, ma il testo scritto lascia volutamente irrisolti («appunti per la scena») alcuni passaggi, affidandoli ad una fase ulteriore di scrittura. Le differenze tra il testo pubblicato e il film realizzato sono talmente numerose da sconsigliare uno sterile elenco; soltanto a titolo esemplificativo, basti notare ancora quanto segue. Alcune scene assenti in sceneggiatura sono presenti nel film (nella hall dell’albergo, sulla pagina manca l’arrivo del produttore al quale Guido si inginocchia ironicamente); i segmenti onirici del film realizzato risultano molto più articolati, ricchi di personaggi e dialoghi (per esempio, quando Guido sogna il padre e la madre, nel film appare anche il produttore, e anche il sogno dell’infanzia è più lungo rispetto alla sceneggiatura, ove non figura la bambina che ripete “asa nisi masa”); alcuni caratteri risultano parzialmente modificati, per esempio in sceneggiatura lo scrittore Daumier è italiano, si chiama Carini e dà del tu al regista.
Per quanto inessenziali drammaturgicamente, nel passaggio dalla pagina allo schermo si precisano alcuni elementi simbolici, per esempio i dati anagrafici di Guido che prima (46 anni) avvicinano soltanto, poi fanno coincidere (43 anni, l’età di Fellini all’epoca) l’invenzione con il fatto biografico. Infine, al di là dei completamenti e cambiamenti di ordine narrativo, va anche detto che il montaggio contribuisce non poco a distanziare il film realizzato dal film progettato: basti pensare a come si semplifica il terzo blocco di eventi, in cui lo spettacolo della coppia telepatica viene mostrato dopo la conversazione a tavola, mentre in sceneggiatura si indicava un montaggio alternato convergente delle due serie.
In un altro caso di grande interesse, La dolce vita (1960), l’instabilità del processo di elaborazione riguarda addirittura il finale, che nella forma del lungometraggio narrativo è decisiva ai fini dell’interpretazione del film, il luogo di massima esposizione del nucleo tematico. Il finale sembrerebbe la parte meno opinabile della sceneggiatura-progetto, in quanto responsabile di un imprevedibile spostamento di senso, ma quanto sappiamo intorno a La dolce vita colloca anche la chiusura del film al di fuori del dominio progettuale. Il finale previsto in scaletta e in sceneggiatura prevede infatti un incontro ravvicinato, sulla spiaggia di Fregene di fronte al pesce-mostro che giace sul bagnasciuga («un povero pescione morto», nel testo). Marcello scorge un gruppo di ragazze e tra loro riconosce Paolina, la cameriera della trattoria; si ferma a parlare con lei, poi, quando Paolina lo saluta e si allontana con le amiche, Marcello le segue e le osserva mentre fanno il bagno; quindi si china a prendere le scarpe che la ragazza ha abbandonato sulla spiaggia. È commosso dal contatto con queste «povere, graziose scarpine da poche lire». Infine «guarda laggiù, nel mare fermo e luminoso, le ragazzette che impazzano felici misteriose messaggere di una nuova vita».
Premesso che esistono versioni ancora più orientate a una sorta di redenzione del personaggio, il finale effettivamente girato assegna alla scena un segno opposto, privo di salvezza e redenzione: sulla pagina lo sguardo del protagonista si dirige verso un’ipotetica nuova vita; sullo schermo, come sappiamo, Marcello non sente le parole di Paolina che lo chiama, non si avvicina, resta nel proprio mondo (Michel Chion definisce questo suono «parola-emanazione», una parola non compresa, un atto comunicativo mancato).
Durante il processo che porta dalla pagina allo schermo, evidentemente, non nasce un’altra opera, ma l’unica opera: il film. Di questo era ben consapevole Ennio Flaiano, che nell’intervista già citata di “Cinema nuovo” disse anche: «Il triste della sceneggiatura è questo: che una volta consegnata alla copisteria non ti appartiene più ed è meglio non contarci».
Riferimenti bibliografici
A. Minuz, Viaggio al termine dell’Italia. Fellini politico, Soveria Mannelli, Rubbettino 2012.
F. Natalini, Ennio Flaiano. Una vita nel cinema, Artemide, Roma 2005.
Id., Fellini, Flaiano, Pinelli… e gli altri. Considerazioni sul finale di “La dolce vita”, in “Immagine – Note di Storia del Cinema”, n. 7, 2013.
Ennio Flaiano, Pescara 1910 – Roma 1972.