Quest’anno si celebra il centenario della morte di Eleonora Duse (1858-1924) con conferenze e mostre, con ricerche e libri, e anche con lavori di diverso tipo di attori e soprattutto attrici. C’è da chiedersi come mai un’artista di un passato remoto, di un teatro molto lontano, sia invece percepita come una compagna dal teatro vivo, come un segreto non risolto dagli studi.
Era famosissima, si sa, del suo livello c’era solo Sarah Bernhardt, di una quindicina d’anni più vecchia, attrice inappuntabile, di grande potenza e bellezza vocale, maestra nella pubblicità. La Bernhardt aveva saputo crearsi un suo stile, un suo pubblico a Parigi, un suo teatro stabile. Era una grande artista in armonia col suo tempo, forse un po’ esteriore, ma magnifica. Intelligente, anche come manager.
La Duse era tutt’altro. Aveva la capacità di afferrare i suoi spettatori, di coinvolgerli non solo nelle peripezie dei personaggi, ma anche nell’empatia che lei stessa mostrava verso di essi. Sapeva misteriosamente comunicare emozioni profonde che andavano ben al di là delle complicate vicende amorose della storia rappresentata. Sapeva scuotere il pensiero di chi la guardava.
Su di lei sono state scritte testimonianze uniche per intensità di sentimenti: la sua arte rompeva le convenzioni della scrittura. «Perché appunto l’arte della Duse è una confessione, non una declamazione, è un sacrificio, non una gloria, è un tormento, non una gioia», scrive un critico italiano, Vincenzo Morello. Generalmente fama e bravura di una primadonna non venivano celebrate così. Famosissime sono le parole con cui George Bernard Shaw paragona l’elaborato trucco e la curatissima recitazione della Bernhardt all’effetto Duse: «Quando entra in scena prendete pure il binocolo e contate quante rughe il tempo e gli affanni hanno tracciato sul suo volto. Sono le credenziali della sua umanità, ed essa sa fare qualcosa di più che occultarle sotto una pelle di pesca comprata in farmacia».
Gli indizi migliori per capire la differenza di Eleonora Duse stanno qui, nella peculiarità delle voci dei suoi spettatori. Non sono lodi, sono segni di frattura, mostrano turbamento e sconcerto, come di persone che annaspino per ritrovare la via, la normalità, la terraferma. Ne aggiungo ancora una, lo scritto privato di uno spettatore russo, Mikhail Gerscenzov, del 1891:
Finisco la lettera dopo lo spettacolo; dal momento in cui ho scritto le ultime parole a ora sono passate soltanto dodici ore, eppure mi sembra di aver vissuto un anno. Non sono capace di raccontarti l’effetto che ha prodotto su di me la recitazione della Duse. Provavo una tensione che mi stringeva il cuore, avevo voglia di piangere. Chi può spiegare l’impressione che producono i suoi occhi meravigliosi, pieni di lacrime? Non è bella, ma di fronte al suo sorriso, al suono della sua voce divina, Romeo avrebbe dimenticato Giulietta e Otello la sua gelosia. Getta la testa all’indietro e parla del proprio amore con una passione così ardente, le sue carezze sono così intense, che senti il sangue affluirti al cuore. Nessuno che abbia una minima sensibilità può uscire dal teatro senza essere innamorato di questa donna, e senza provare un senso di vaga, pungente angoscia.
La parola chiave è angoscia. Ma anche la descrizione dell’effetto fisico della sua arte è importante: non era un’attrice così spirituale come spesso la si vuole presentare. Era selvaggia, intensamente erotica, e lacerante.
Affermare che, nonostante tutto questo, la Duse non ha avuto il riconoscimento dovuto può sembrare un’assurdità. Pure, in un certo senso è così, perché le capacità creative e non solo esecutive di un attore sono le più difficili da ammettere e le più facili da dimenticare. La Duse, pur non essendo niente di simile a una regista, è stata capace di trasformare il teatro, di dargli un senso nuovo, e ha saputo organizzare intorno a sé l’intero spettacolo in funzione di questo effetto.
Fin dagli inizi la sua presenza in scena esplode come una rivoluzione. Da un punto di vista stilistico spazza via i più grandi attori del suo tempo. Ma non è tutto qui: la sua arte cambia il modo in cui viene usato il teatro, il tipo di emozioni che implica, la loro profondità. In più, la Duse ha continuato tutta la vita a creare terremoti nella sua stessa arte: il pubblico italiano le si rivolta perfino un po’ contro quando comincia a recitare non più solo grandi storie di passione, ma Ibsen, D’Annunzio, Shakespeare. Perché i suoi spettatori coltivano con lei un rapporto di intensità inusuale e si sentono traditi quando cambia repertorio, proprio come quando comincia a girare sempre di più in tutto il mondo.
Era nata da attori, e suoi primi anni sembrano un romanzo d’appendice: povertà, anche artistica, qualche successo momentaneo, disprezzo dei colleghi, un primo figlio illegittimo, morto a pochi giorni dalla nascita. Capisce che possono esserci modi diversi di essere attrice all’inizio degli anni Ottanta, attraverso Giacinta Pezzana, donna di teatro indipendente, forte, celebre (una di quelle di cui l’esplosione Duse determinerà un invecchiamento precoce), poi attraverso Sarah Bernhardt, che passa in tournée per l’Italia, e che la Duse osserva e studia. Cominciano i primi successi non sporadici. E di colpo è “la Duse”, un’attrice capace di stregare, di cambiare le minute abitudini del pubblico, che comincia a tornare a teatro per rivederla in una stessa parte, una sera dopo l’altra. Dopo i primi successi internazionali, nel 1887 diventa capocomica. Il teatro ottocentesco è un luogo in cui le donne avevano possibilità sconosciute altrove. Non ne sembrano quasi consapevoli, ma possono comandare e dirigere, essere riconosciute come apici della loro arte. La Duse e la Bernhardt sono state direttrici di polso, abili leader e strateghe, punti di riferimento artistici.
Di fronte a una personalità e a un’arte così complesse, è triste constatare come, ancora oggi, la Duse sia ricordata solo per la sua storia d’amore con Gabriele d’Annunzio, un episodio importante, tanto dal punto di vista artistico quanto da quello sentimentale, e tuttavia non centrale. Ma è difficile sfatare i luoghi comuni. L’immagine di una donna che si rovina per mettere in scena le opere di un amante più giovane è meglio accettata di quella di un’artista sicura, che sperimenta, sceglie, rischia e abbandona. Dopo d’Annunzio, la Duse continua la sua strada di ricerca, collaborando con artisti innovativi, come Edward Gordon Craig, dedicandosi ad autori difficili, come Ibsen o Maeterlinck, coltivando rapporti con gli estremisti del suo tempo, da Stanislavskij a Isadora Duncan.
Nel 1909 lascia il teatro. Tenta sperimentazioni anche con il cinema, poi rinuncia dopo un solo film, più interessante che riuscito, Cenere. Però, nel 1921, torna alla sua arte, ed è forse la sua stagione d’oro. La novità del suo teatro è ormai pienamente visibile, nonostante l’età e la fragilità fisica. Ci sono alcune serate difficili, ma affascina di nuovo un pubblico internazionale, viene ammirata da Lee Strasberg, proclamata la più grande attrice del mondo da Charlie Chaplin. È morta al lavoro, in tournée, negli Stati Uniti, in una stanza d’albergo, poi la bara attraversò l’America tra ali di folla che le rendevano omaggio.
Avrebbe potuto essere solo una grandissima diva, e invece è uno dei numi tutelari della ricerca. La sua rivoluzione non è stata inferiore a quella di grandi artisti come Stanislavskij o Craig. Ma non ha mai teorizzato, ha solo lasciato tracce da identificare. La sua è stata una rivoluzione silenziosa, che riguardava l’essenza del teatro, il suo senso, il valore che può assumere per chi guarda (e per chi lo fa), l’importanza delle emozioni quando non sono solo convenzionale e gradevole sentimentalismo. Era più facile riconoscerla unica, che cercare di capire. Ma essere unici complica le cose, per la memoria, che si ripiega e offre versioni più semplici: una recitazione “moderna”, la dedizione a un poeta, una donna irrequieta e volubile. Però così ci lasciamo sfuggire tra le mani qualcosa di essenziale.
Riferimenti bibliografici
C. Molinari, L’attrice divina. Eleonora Duse nel teatro italiano fra due secoli, Bulzoni, Roma 1985.
D. Orecchia, La prima Duse. Nascita di un’attrice moderna, Artemide, Roma 2007.
M. Schino, Eleonora Duse. Storie e immagini di una rivoluzione teatrale, Carocci, Roma 2023.
Id., Il teatro di Eleonora Duse, Il Mulino, Bologna 1992.
F. Simoncini, La Duse capocomica, Le Lettere, Firenze 2011.
E. Duse-A. Boito (epistolario), Lettere d’amore, a cura di Raul Radice, Il Saggiatore, Milano 1979.
E. Duse (epistolario), Ma Pupa, Henriette. Le lettere di Eleonora Duse alla figlia, a cura di Maria Ida Biggi, Marsilio, Venezia 2010.
Eleonora Duse, Vigevano, 3 ottobre 1858 – Pittsburgh, 21 aprile 1924.