Secondo Deleuze e Guattari la filosofia «è l’arte di formare, di inventare, di fabbricare concetti». Ma cos’è, propriamente, un concetto? Una risposta potrebbe essere: la connessione fra due o più immagini, o meglio, la messa in connessione fra immagini che, di primo acchito, non sembrano avere nulla in comune. La filosofia vede, nel senso che istituisce, una possibile analogia fra fenomeni disparati, fra i quali ancora nessuno vede comunanze né somiglianze (il concetto è questa connessione). Ma per «fabbricare» un concetto, proseguono Deleuze e Guattari, servono dei «personaggi concettuali che contribuiscano alla loro», dei concetti, «definizione». Il primo «personaggio concettuale» del libro di Cary Wolfe (che insegna alla Rice University, in Texas, nel Department of English) Davanti alla legge. Umani e altri animali nella biopolitica, appena pubblicato in italiano con l’editore Mimesis a cura di Cristina Iuli, è la mucca che vedete qui a lato.
La mucca, dall’immagine non si capisce se si tratta di una vacca o di un toro, ci osserva come ci osservano, di solito, gli animali non umani; con indifferenza e una certa preoccupazione. Ma non di questo sguardo, o non solo, si occupa Cary Wolfe. Quello che gli interessa, ed è quello che interessa anche a noi, in Italia, dove ancora non si è capito di che cosa si parla quando si parla di animali e animalità, è cogliere quello che questa immagine ha in comune con quest’altra immagine, che sembra appartenere ad un mondo completamente diverso, quello dell’economia e di internet.
Si tratta di una questione di cui in Italia si è molto parlato qualche tempo fa, i cosiddetti braccialetti elettronici che Amazon fa indossare ai propri dipendenti negli enormi magazzini dove vengono smistate le merci che spedisce in tutto il mondo. Secondo Amazon lo scopo di questi congegni, così riporta un articolo sul New York Times, sarebbe quello di «semplificare le attività “che richiedono tempo” (time consuming), come rispondere agli ordini e impacchettarli per una consegna rapida. Con la guida di un braccialetto, i lavoratori potrebbero riempire gli ordini più velocemente». Una mucca non è un operaio, certo, e poi mentre le etichette identificative che pendono dalle orecchie della mucca non può certo staccarsele, l’operaio può sempre licenziarsi, e buttare via il braccialetto (che, fra l’altro, serve in realtà a registrare i suoi movimenti nello spazio, in modo di arrivare prima possibile a sostituire il suo lavoro con quello di un robot).
Tuttavia una terza immagine, quella conclusiva, permette di “formare” un concetto in cui, forse, la connessione fra animalità, economia e politica si comincia a scorgere. Si tratta di un dispositivo, collegato alla rete satellitare GPS (Global Positioning System), che permette di sapere – con un margine d’errore di pochi metri – dove si trova il corpo che è solidale con quello stesso dispositivo. Un dispositivo usato con le persone che sono condannate agli arresti domiciliari, in modo che sia sempre possibile sapere dove si trovano. Se un tempo i condannati venivano rinchiusi nelle carceri, ora il corpo stesso del detenuto diventa il carcere in cui è rinchiuso. Neanche il grande Platone avrebbe potuto immaginare quanto fosse vero quello che, nel Fedone, dice Socrate a proposito del corpo: «purificazione non è dunque adoperarsi in ogni modo a tenere separata l’anima dal corpo, fuori da ogni elemento corporeo», cioè come «liberazione dal corpo come da catene?» (Fedone, XII, 67, c-d).
Cos’hanno in comune la mucca, l’operaio di Amazon, e la caviglia del prigioniero stretta dal “braccialetto” (sic) elettronico? Sono corpi, e in particolare sono corpi biopolitici, ossia corpi soggetti al potere di un controllo biopolitico. Spesso si pensa che la biopolitica sia una questione un po’ remota, che ha a che fare con controlli polizieschi e grandi multinazionali (come il recentissimo caso di Facebook che ha venduto i dati personali di decine di milioni di utenti alla società di marketing e consulenza Cambridge Analytica). In realtà la biopolitica è una faccenda molto più “terra terra”, come il pascolo in cui vive la mucca. Biopolitica significa che la politica, e l’economia, hanno come principale prestazione controllare e mettere a valore i corpi. Corpi in senso generico, non corpi umani, e nemmeno corpi animali, dal momento che la grande questione di questi anni, quella ambientale, ha a che fare con il controllo dell’intera biosfera terrestre.
La posta in gioco è il corpo, e il suo controllo. Ma attenzione, non c’è bisogno di una telecamera per controllare un corpo. Il corpo è, Platone ce lo ricorda, quell’entità che da sempre è controllata. Che cos’è, infatti, la distinzione fra mente e corpo se non quella fra padrone e schiavo? Fra chi controlla e ciò che è controllato? In realtà il corpo sta alla mente esattamente come la targhetta identificativa – targhetta che letteralmente significa totale controllo sul corpo dell’animale – sta alla mucca. In questo senso la questione dell’animalità non è una questione che riguarda solo quelle persone un po’ buffe, e talvolta intolleranti, che si battono per i diritti animali: la questione dell’animalità è quella di come gli esseri umani si pongono rispetto a sé stessi e al mondo. La mucca “dice” al nostro sguardo: “quello che fai a me lo fai a te stesso, al tuo corpo”. In realtà la mucca è ancora più precisa: “siccome tratti il tuo corpo come qualcosa da controllare, allora puoi trattare me come tratti il tuo stesso corpo”.
Qui si chiarisce la ragione del titolo del libro di Cary Wolfe, che riprende quello di un celebre racconto di Kafka: «vivere in condizioni di biopolitica significa vivere in una situazione nella quale siamo tutti sempre già (potenziali) “animali” davanti alla legge – non solo gli animali non umani, secondo la classificazione zoologica, ma qualsiasi gruppo di esseri viventi» (Wolfe 2018, p. 31). Il problema dell’animalità è solo marginalmente il problema dei “diritti” animali, è piuttosto il problema di come la vita, umana e non umana, animale e non animale, da sempre si trovi “di fronte alla legge”, cioè al potere e al controllo. Perché biopolitica non significa altro, controllo della vita. Da questo punto di vista è anzi paradossale che chi si batte per i “diritti” animali non si renda conto che chiede proprio ciò che è all’origine del loro assoggettamento: chi è, infatti, il soggetto giuridico se non quell’entità che ha come primo scopo controllare il “proprio” stesso corpo? «La filosofia dei diritti degli animali continua, a dispetto delle proprie intenzioni, a fondarsi su un modello di soggettività specista (o meglio, forse, antropocentrico) nella definizione dei criteri con cui determina quali esseri meritino diritti» (ivi, p. 36). Non ci sarebbe il braccialetto di Amazon se non ci fosse la mucca con il marchio. Davanti alla legge significa, allora, che non c’è forma di vita che sfugga alla presa della biopolitica: i dispositivi che assoggettano la vita degli animali non umani
sono parte di una matrice che, in condizioni di globalizzazione, individua sempre più il proprio oggetto nella vita stessa del pianeta, al livello della “carne”, e costituiscono una biopolitica che ingloba e congiunge i regimi politici teoricamente opposti della democrazia liberale, fascismo e comunismo. Queste pratiche comportano l’espansione esponenziale e la routinizzazione di meccanismi e logiche che vanno dai mattatoi di Chicago a cavallo del secolo scorso, passano per le catene di montaggio sviluppate da Ford, arrivano ai campi di sterminio nazisti, e tornano ai mattatoi, attraversando ciò che oggi siamo obbligati a chiamare una comunità di viventi nuovamente allargata (ivi, p. 86).
Mai come in questo tempo parlare di animali significa parlare delle nostre esistenze. Veniamo ora al secondo versante di questo libro, quello propositivo, strettamente connesso alla prima parte, quella critica. Una politica che non sia immediatamente tanatopolitica, una «biopolitica affermativa», non può non partire da una radicale tematizzazione della questione animale come questione politica e filosofica generale:
Da questa prospettiva, ribellarsi agli allevamenti intensivi costituirebbe un “nuovo schema di politicizzazione”, non solo in quanto si opporrebbe resistenza ai dispositivi formativi della biopolitica moderna nella loro forma più sfrontata, ma anche in quanto ciò significherebbe articolare altre dimensioni di resistenza politica, come ad esempio l’opposizione alla mercificazione e alla proprietà privata al servizio del capitalismo maturo. In questa luce, prestare attenzione alla questione della vita animale non umana ha la potenzialità effettiva di radicalizzare il pensiero biopolitico oltre i suoi parametri classici (ivi, p. 84).
L’obiettivo è condivisibile, una politica che non significhi immediatamente controllo e morte. Tuttavia si pone un paradosso, di cui Wolfe è pienamente consapevole, ma di cui forse non riesce a scorgere la radicalità. Il paradosso è semplice: la mucca è vita sotto la presa della biopolitica, cioè sotto la presa di una forma di vita che si divide in mente e corpo, padrone e schiavo, controllore e controllato. Può salvare quella vita, cioè liberarla dalla morsa biopolitica, soltanto un soggetto umano, cioè appunto la principale manifestazione della biopolitica. Lo stesso vivente che incarna il prototipo dell’assoggettamento biopolitico dovrebbe liberare la mucca dalla biopolitica, cioè, in sostanza, da sé stesso.
Facciamo un esempio: si pone la questione di salvare la mucca dalla sua condizione di merce, perché si ritiene (molto plausibilmente) che la mucca soffra a vivere la vita degli allevamenti industriali. Cioè si decide della sua vita. Lasciando davanti alla legge altre forme di vita, ad esempio quella dei pesci, che al momento non vengono considerate vite meritevoli della stessa attenzione etica. Il paradosso è che questa decisione è una decisione radicalmente biopolitica. Alla fine Cary Wolfe è costretto ad appellarsi a quella stessa entità – il soggetto umano – che, da un altro punto di vista, è all’origine della questione biopolitica: «non è che non dobbiamo lottare per l’ospitalità incondizionata e cercare di essere pienamente responsabili; è semplicemente che far ciò significa necessariamente operare in modo selettivo e parziale [appunto, salvare le mucche e dannare le sardine], e quindi condizionato: il che, a sua volta, richiama la necessità di essere più pienamente responsabili di quanto non siamo mai stati» (ivi, p. 128).
Ma cos’è la “responsabilità” se non l’aspetto etico del soggetto biopolitico? L’etica non è contrapposta alla biopolitica, al contrario, l’aspetto “responsabile” della biopolitica si chiama appunto etica. Il libro di Wolfe si chiude con questa aporia, che è inevitabile, ma che non per questo smette di essere inquietante: «dobbiamo scegliere, e per definizione non possiamo scegliere tutto e tutti allo stesso tempo. Ma questo è esattamente ciò che garantisce che, nel futuro, avremo avuto torto» (ivi, p. 149). Chiudiamo permettendoci una osservazione completamente diversa: Davanti alla legge mostra il modo “americano” di fare filosofia, che cerca sempre, alla fine, una soluzione ai problemi che affronta. Per questo c’è sempre un risvolto etico, o pragmatico, in questi libri. E questo è nobile, ma anche molto ingenuo. Intanto la mucca ci guarda.
Riferimenti bibliografici
G. Deleuze, F. Guattari, Che cos’è la filosofia?, Einaudi, Torino 2002.
C. Wolfe, Davanti alla legge. Umani e altri animali nella biopolitica, a cura di Cristina Iuli, Mimesis, Milano 2018.