144. Ma, dopotutto, forse assomiglia davvero a un fuoco - al suo nucleo blu, non al teatrale crepitio arancione. Ho passato molto tempo a fissare quel nucleo nella mia “camera oscura” e posso assicurare che è un esempio eccellente di come il blu ceda il passo all’oscurità - e poi di come, senza preavviso, l’oscurità cresca in un cono di luce (Nelson 2023, p. 64).
È una sera d’inverno e sul farsi del crepuscolo guardi fuori dalla finestra. C’è ancora luce e il cielo chiaro ti inviterebbe a uscire, non è però l’aria fresca ciò che vuoi ora. Guardi l’orizzonte, il cucuzzolo argenteo delle montagne, che sta sfumando nella palette asettica della loro aurora. È questo che vuoi: dissolverti in quell’impasto di colore. La roccia è grigia, ma assorbe perfettamente tutto l’azzurro del cielo che, come il tuo cuore, si tonalizza per contrasto, si satura sopra le macchie d’arancio e di rosa con cui l’ha sporcato la terra.
Il libro di Maggie Nelson è in primis un viaggio tra delle emozioni estatiche, narrate attraverso centinaia di aforismi e pensieri raccolti nell’arco dei tre anni di ricerca sul blu. La recente traduzione di Alessandra Castellazzi per Nottetempo rende in modo molto sensibile tutta la polisemia di questi blues di cui Nelson ci parla, di tutti i frammenti, le suggestioni e le chincaglierie di cui riempie le pagine. Non c’è distinzione tra momenti di riflessione filosofica, di critica artistica, scrittura lirica o di pura illuminazione. Come quando racconta la propria reazione alla vista dei quadri blu di Yves Klein a Londra:
Alla Tate, in piedi davanti a questi dipinti, o proposizioni, blu, sentendo il blu irradiare in maniera così incandescente da darmi l’impressione che mi toccasse, forse persino ferisse, i globi oculari, ho scritto una sola parola sul mio taccuino: troppo. Avevo fatto tutta quella strada e riuscivo a malapena a guardare (ivi, p. 41).
Quella col blu è un’affinità elettiva e un’attrazione innata per Nelson, un colore a cui dice di voler dedicare la propria vita, il colore del suo amare. Attraverso le sue tonalità ci racconta non solo l’altezza dell’arte e dello spirito, quanto pure la scomodità del corpo quadriplegico della sua amica infortunata, di una rottura, e del volersi perdere nel sesso. Il blu è quello di Billie Holiday che canta Lady Sings the Blues, la quale sapeva bene che «vedere il blu in maniera via via più satura finisce per avvicinare l’oscurità» (ivi, 61). Eppure il blu è anche quello di Andy Wharol, del suo dramma erotico e porno chic Blue Movie, altresì detto Fuck (1969). A tutta prima questo potrebbe già sembrare troppo messo insieme, quando in verità è proprio la leggerezza a sconcertare di queste pagine. Si tratta sempre di una leggerezza densissima, la stessa che potrebbe avere un pigmento o una parola:
229. Sto scrivendo con inchiostro blu, come per ricordarmi che tutte le parole, non solo alcune, sono scritte nell’acqua (ivi, p. 95).
L’acqua del fiume eracliteo, su cui pure riflette a più riprese, fino a domandarsi da dove venga la sensazione che qualcosa comunque permanga immobile in tanto mutamento. Sono domande che riguardano il sé: cos’è rimasto della vita della sua amica ora? E dell’amore finito, o dei bigliettini blu, che ha condannato a sbiadirsi ogni giorno sotto la luce del sole? Alcune domande trovano una risposta negli amuleti blu, altre rimangono sospese come quelle dei bambini: «Il mondo è più azzurro visto da occhi azzurri?» (ivi, p. 27). Nei giorni successivi alla lettura di questo libro ho fatto caso a molti dei blu nella mia vita, alla ricorrenza degli occhi azzurri, e ai miei amuleti, che sono principalmente verdi. In fondo, questi aforismi puntano al centro girevole dell’esperienza d’amore, di vita, quel perno misterioso che potrebbe essere qualsiasi colore:
Che cosa ne pensano i biologi della domanda: Esiste il colore?, gli chiedo. Bah, risponde. A un pesce milione maschio in cerca di una compagna non importa se il colore esiste, dice. A un pesce milione maschio interessa solo di essere arancione per attrarne una. Ma possiamo davvero dire che al pesce milione interessa essere arancione?, chiedo. Noo, ammette lui. Il pesce milione maschio semplicemente è arancione. Perché arancione?, chiedo. Scrollare le spalle. Davanti a certe domande, dice, i biologi possono solo sgombrare il campo (ivi, p. 29).
Tutti i telegrammi, le lettere e le citazioni, tutto il materiale accumulato serialmente nel libro, è il tentativo di articolare alla fin fine un’esperienza mistica, e di farlo in modo del tutto asistematico, rimescolando l’ordine naturale di questi pensieri.
219. Allo stesso modo, posso dire che avendolo visto sono diventata credente, sebbene non sappia dire in che cosa, o in cosa, io abbia cominciato a credere. 220. Immagina qualcuno che dice: “La nostra condizione essenziale è la gioia”. Ora, immagina di crederci. 221. O lasciamo stare il credere: immagina di sentire, anche solo per un momento, che è così (ivi, p. 92).
Il colore si sente, come nella pittura materica di Joan Mitchell, dove l’artista sperimentava tramite l’impasto cromatico tutto il piacere o la repulsione per le tonalità e i colori dei suoi paesaggi, quelli che vibravano da una materia all’altra, dalla natura fin dentro la sua anima. Ognuno ha il proprio medium, un prisma privilegiato per rifrangere la luce, e delle frequenze da captare, e i colori sono tanti quante le daltonie e i feticci a cui sono soggetti. La filosofia è l’arte del pensiero che rifiuta l’arte, e la poesia è quest’arte nel suo farsi parola. Ma si può parlare di un colore, si può dire quanto azzurro sia il cielo? Forse lo si può accennare, ammiccarlo e accarezzare l’amore altrui, per dei colori che magari nemmeno ci appartengono o vedremo mai. Ma che esistono, foss’anche e unicamente nell’effimera camera oscura che siamo:
134. Pensare che il blu sia il colore della morte mi calma. A lungo ho immaginato il sopraggiungere della morte come un’onda che si ingrossa - un muro torreggiante di blu. Annegherai, mi dice il mondo, da sempre. Discenderai in un aldilà di blu, blu di fantasmi affamati, blu Krishna, blu dei visi delle persone che hai amato. Sono tutte annegate, anche loro. Fare un respiro d’acqua: il pensiero ti manda nel panico o ti entusiasma? Se ami il rosso tagli o spari. Se ami il blu ti riempi le tasche di pietre ottime da succhiare e ti avvii verso il fiume. Qualsiasi fiume andrà bene (ivi, p. 60).
La tentazione di chiamare in causa un Freud o un Lacan per dire dell’altro potrebbe essere forte qui, quasi impellente. Ma quello che Bluets invita a fare è invece abbandonare il lettino, o tenerlo, ma soltanto per guardarlo e sentirne la stoffa, lasciarlo sbiadire o tingerlo di nuovo. Questo libro invita a pensare quando non serve, a smettere quando invece si dovrebbe farlo, e soprattutto a sentire la vita, sentirne tutti i blues. Ubriacarsi di luce e smaltirla nel colore, seguire le forme di tutto ciò che non ha confini, come i ricordi, i sogni o le domande. Quello di Nelson è un tipico libro da treno, in tutto ciò che un libro da treno dovrebbe saper fare: accompagnare per la durata di un viaggio e farti guardare fuori dal finestrino di tanto in tanto, per vedere com’è cambiato il paesaggio.
240. Va bene, allora, lasciami riformulare. Quando ero viva non ho voluto essere una discepola del desiderio, ma della luce (ivi, p. 98).
Maggie Nelson, Bluets, Nottetempo, Milano 2023.