Il modo più semplice per vederla è spostandosi in barca. Ma anche a chi si muove lungo le calli, a ridosso dei canali, sarà capitato almeno una volta di scorgere i bagliori di luce riflessa che insistono sotto l’arco dei ponti o si spingono fino all’interno dei palazzi, proiettandosi sul soffitto dei saloni privati. A Venezia la chiamano “gibigiana”. Alcuni vi si riferiscono come “la vecia” (la vecchia), quasi a manifestare il carattere ancestrale o radicale di questo spettacolo. Certo, in città ci sono tanti altri attrattori dello sguardo, ma una volta che ci si è fatto caso diventa impossibile non attardarsi a osservarla, quasi come se si trattasse di qualcosa di voluto, un’installazione multimediale, un gioco di proiezioni che trasforma le architetture sull’acqua in media façades.
Prende avvio da questo riferimento veneziano – una suggestione esterna – la lettura del nuovo libro di Giuliana Bruno, Atmospheres of Projection: Environmentality in Art and Screen Media, uscito per University of Chicago Press alla fine del 2022. Si tratta di un libro che, fin dal titolo, esplicita l’intenzione di riflettere sulla proiezione, non più concepita come mero problema di allestimento, ma assunta come elemento costitutivo dell’estetica contemporanea, tra cinema, arti visive e nuovi media. In particolare, l’obiettivo di Bruno sembra essere quello di liberare la proiezione dalla concezione funzionale attribuitale nell’ambito della storia e della teoria delle arti, così da indagarne e valorizzarne le potenzialità.
Attraverso una rilettura della storia di Butades – raccontata da Plinio il Vecchio nella Naturalis historia e assunta da Leon Battista Alberti, Giorgio Vasari, Jean-Jacques Rousseau e altri ancora come mito fondativo della pratica pittorica – Bruno inverte o, quantomeno complessifica, il rapporto tra il fine e i media, sottolineando il fatto che la proiezione non può essere identificata con le sagome che lascia sulla superficie dello schermo né, tantomeno, con il tratto grafico che ne ricalca i contorni.
Per quanto trasversale a pratiche artistiche diverse (dalla pittura all’architettura, fino al cinema e ancora oltre) la proiezione è un «meccanismo tecnico» (technical mechanism) e una «tecnica culturale» (cultural technique), un mezzo di espressione che «prevede e trasmette una visione del mondo, veicolando un approccio moderno al sapere». In tal senso, al di là dei termini espressamente utilizzati da Bruno, qualsiasi proiezione costituisce una “positività” (tanto in quanto dispositivo, quanto in riferimento al suo potenziale espressivo affermativo), assumendo un ruolo imprescindibile nelle pratiche di rappresentazione visiva, nella configurazione di ambienti dell’esperienza spettatoriale e, dunque, nell’instaurazione e trasformazione di diversi milieux:
Lo schermo di proiezione – sottolinea Bruno – non è solo un mezzo, o semplicemente uno spazio di mescolanza sensoriale, ma piuttosto crea, ed è, un ambiente. […] Ci sono forme di passaggio atmosferico che vengono percepite e trasformate nell'atto e nello spazio stesso della proiezione, intesa come zona di attività. Per contestualizzare concettualmente questa visione ambientale degli spazi proiettivi, occorre indagare le fonti di questa relazione materiale tra medium, milieu e ambiente, guardando indietro nella storia (Bruno 2022, p. 25).
Se l’introduzione focalizza l’attenzione sull’importanza della proiezione nelle diverse forme artistiche e mediatiche, il resto del libro indaga le sfumature di tale termine. Proiezione è infatti il termine generico attraverso il quale, anche in italiano, ci riferiamo a una gamma estremamente ampia di fenomeni naturali e tecnici, ma anche psicologici, sociali e politici. I primi tre capitoli del libro affrontano dunque specifici nodi teorici: il rapporto tra proiezione e configurazione ambientale (capitolo 1, in un confronto con le prospettive di autori come Walter Benjamin, Gilles Deleuze e Félix Guattari), la questione della trasmissione e la costruzione di un sistema di relazioni (capitolo 2, in un confronto con la teoria dell’Einfühlung, da Adolf von Hildebrand a Michele Guerra e Vittorio Gallese) e quella della Stimmung (capitolo 3, da Georg Simmel a Emanuele Coccia).
I capitoli successivi, che pure si caratterizzano per il dialogo con diversi orizzonti teorici e metodologici, vedono l’affermazione di un pensiero artistico progettuale, qui inteso come capacità dei film o delle installazioni di esprimere, di volta in volta, nella loro singolarità, il potenziale della proiezione: da Abel Gance a Fabio Mauri, da Nam June Paik a Clemens von Wedemeyer, da Agnes Varda a Chantal Akerman, fino alle installazioni “veneziane” di Giorgio Andreotta Calò dove, come esplicita Bruno, «per via trasduttiva, anche lo stato fluttuante di Venezia come città marittima, costruita su una laguna e che rischia di scomparire sott’acqua, tende a manifestarsi» (ivi, p. 256).
Tra le diverse prospettive tracciate nel libro, una in particolare sembra affermarsi attraverso i capitoli. È l’idea che affrontare la questione della proiezione costituisca, oggi più che mai, un modo per riflettere sul rapporto tra la capacità dei media di costruire ambienti e il carattere mediale degli elementi naturali stessi. Concentrarsi sulla proiezione può significare, in altre parole, riflettere sul passato e il presente delle arti multimediali e del cinema, necessariamente intesi come qualcosa di “espanso”, capace di uscire fuori di sé, qualcosa di fruibile attraverso dispositivi e in ambienti sempre specifici e sempre diversi.
Parlare di “expanded cinema” oggi – riprendendo una fortunata espressione proposta da Gene Youngblood più di cinquant’anni fa – significa riflettere sul rapporto tra quegli ambienti che abbiamo facilità a riconoscere come “artificiali” – siano essi frutto di un lavoro architettonico, urbanistico o allestitivo – e quegli ambienti che chiamiamo “naturali”, come se non fossero essi stessi il frutto di un processo – umano e non umano – di formazione (era questo uno dei temi centrali della XXIII Esposizione Internazionale di Milano del 2022).
Come osserva Bruno, citando un passo di Youngblood e connettendo efficacemente la stagione delle sperimentazioni visive e “proiettive” della seconda metà del Novecento con il contesto contemporaneo,
"da alcuni anni l'attività dell'artista nella nostra società si sta orientando sempre più verso la funzione dell'ecologo: colui che si occupa di relazioni ambientali". Si tratta dunque di esplorare ulteriormente questo milieu reticolare di spazi proiettivi intesi come ‘ambientalità’, assumendo una prospettiva storico-artistica sensibile ai movimenti della cultura visuale e attenta al modo in cui le ecologie si relazionano ai siti di osservazione e circolazione (ivi, p. 31).
In altre parole, se la proiezione non si verifica esclusivamente o primariamente all’interno delle sale cinematografiche e gallerie d’arte (ma anche lungo i canali di Venezia e in molti altri ambienti artificiali e naturali), il cinema e le arti contemporanee hanno la possibilità di valorizzare la propria confidenza con tale meccanismo tecnico per riflettere criticamente ed ecocriticamente sull’ambiente considerato in quanto spazio “proiettivo” e “relazionale”. Come dire che le forme e i contenuti di un’opera audiovisiva sono interconnessi all’ambiente spettatoriale che viene configurato dalla sua proiezione, nonché alle coordinate ambientali più vaste nelle quali esso si inscrive e con le quali, inevitabilmente, si relaziona.
Atmospheres of Projection non parla della gibigiana. Eppure vorrei concludere questa lettura tornando sulla suggestione d’apertura, sul fascino indiscutibile di quel fenomeno ottico che dinamizza i paesaggi d’acqua. Con grande stupore, come ci racconta l’Accademia della Crusca, le prime occorrenze del termine gibigiana o gibigianna, sono registrate nel Settecento in area lombarda (farà piacere ai flâneur dei Navigli), in riferimento tanto al «lampo di luce riflessa su una superficie da uno specchio, dall’acqua» quanto al carattere di una «donna che sfoggia un’eleganza vistosa» (e qua si aprirebbe una lunga digressione didi-hubermaniana sulla “Ninfa fluida”). In una poesia giovanile, Alessandro Manzoni assegna al termine il carattere progressivo di un gerundio, cogliendo così il suo dinamismo, il suo essere-divenire: «Del sole il puro raggio / rotto dall’onda impura, / sulle vetuste mura / gibigianando va».
A queste due accezioni, occorre dunque aggiungerne una terza, più prosaica ma particolarmente significativa all’interno del nostro discorso: gibigiana è anche un termine utilizzato sui set cinematografici. È la parola attraverso la quale, molto concretamente e senza sapere di scomodare il Manzoni o le rifrazioni sotto i ponti della Serenissima, ci si riferisce ai supporti impiegati per fissare le “gelatine”, ovvero i filtri colorati semitrasparenti utilizzati per alterare la qualità della luce e definire le scelte fotografiche del film.
Dalle occorrenze lessicografiche agli usi correnti, la gibigiana è al contempo un fenomeno ottico (gli accesi riflessi), una questione di costume e morale (le apparenze sgargianti delle figure femminili) e un oggetto inerente la pratica fotografica e cinematografica. Gibigiana, dunque, come fenomeno sfaccettato che interconnette ambiti distinti e distanti nella definizione critica di nuove ecologie del visibile. Gibigiana in questo senso intesa come una parente di “Fata Morgana”: dall’effetto ottico al capolavoro di Werner Herzog del 1971, fino al nome di queste stessa rivista.
Leggere Atmospheres of Projection in Laguna è un viaggio appassionante che ci spinge prima di tutto a fare i conti con un’archeologia della luce e dell’acqua e, dunque, per chi coltiva il gusto della digressione, con il dialetto milanese e con quello veneto, con la poesia romantica e con il gergo dei set cinematografici. Alla fine della lettura, ecco un’ipotesi: forse, se proprio a Venezia, ogni anno, a settembre, si svolge uno dei più bei festival cinematografici del mondo è anche perché lungo i suoi canali, da sempre, ogni giorno, va in scena uno spettacolo di proiezioni, un cinema tanto naturale quanto espanso. Chiamiamolo “Gibigiana Film Festival”.
Giuliana Bruno, Atmospheres of Projection: Environmentality in Art and Screen Media, The University of Chicago Press, Chicago 2022.